Domenico Moro
Commento n. 173 - 6 aprile 2020
Quando il Presidente Franklin Delano Roosevelt, all’inizio del marzo 1933, lanciò il New Deal, non poteva sapere che, 35 anni dopo, il filosofo tedesco-americano Herbert Marcuse avrebbe coniato l’espressione “l’immaginazione al potere” che, alla luce del deludente esito del Consiglio europeo del 26 marzo scorso, illumina il significato profondo di quel provvedimento.
La politica di Roosevelt ha dimostrato che il potere di decidere è condizione necessaria ma non sufficiente per assumere iniziative coraggiose. Il Presidente americano che lo precedette, Herbert Hoover, riteneva che la risposta alla crisi economica fosse un compito esclusivo degli Stati membri della federazione americana. Roosevelt, con l’intervento federale, non solo rovesciò questo paradigma politico, ma cambiò anche quello economico. Il Federal Reserve System che doveva avere una durata di vent’anni, divenne un’istituzione monetaria permanente, le aliquote sui redditi più alti vennero elevate e con l’approvazione del Social Security Act venne introdotta un’assicurazione minima federale contro la disoccupazione. Di fatto, risale a quegli anni l’invenzione della moderna politica macroeconomica.
Forse meno note, ma non meno importanti, sono le altre decisioni che hanno accompagnato il New Deal: l’istituzione della Public Works Administration, della Tennessee Valley Authority (TVA) e del Civilian Conservation Corps (CCC). Con le prime due, il governo federale si dotò degli strumenti per realizzare direttamente le infrastrutture (ponti, dighe, scuole, ospedali) che interessavano più Stati membri. Con la TVA, che tocca sette Stati, si dette vita ad un’impresa pubblica per la produzione di energia elettrica. Gli investimenti della TVA, oggi la più importante impresa pubblica americana nella produzione di energia, vennero finanziati con un prestito della durata di settant’anni. Con l’istituzione del CCC, Roosevelt ha anticipato quello che oggi chiamiamo Green Deal. Esso aveva come obiettivi la tutela dell’ambiente e il lavoro giovanile. Alla fine del programma, che durò nove anni, vennero realizzati numerosi parchi su tutto il territorio americano e piantati tre miliardi di alberi, dando lavoro a tre milioni di persone.
Poco prima che Roosevelt varasse il suo piano, il governo americano prese un’altra decisione destinata a fornire un servizio pubblico essenziale ai cittadini americani: l’istituzione di quello che oggi si chiama National Institutes of Health, il più grande centro di ricerca biomedica mondiale: gestisce 27 istituti e centri di ricerca sparsi sul territorio, con un budget annuo di 32,4 miliardi di dollari per la R&D (2017), contro un miliardo di euro speso dalla Commissione europea.
Quel che preme qui sottolineare è che l’esito di questi interventi è stato il sensibile rafforzamento del governo federale, ma non a scapito del potere degli Stati, in quanto si è concentrato su attività nuove, rese necessarie dalla crisi economica degli anni ’30. L’UE oggi parte da una situazione più favorevole. Accanto ad alcune istituzioni e politiche federali – la politica commerciale, la Corte di giustizia, il mercato interno e il Parlamento eletto – vi è la BCE, istituzione permanente che ha varato la più ambiziosa politica monetaria da quando è stata istituita. Una politica che prevede anche l’acquisto di obbligazioni emesse da imprese europee, pubbliche e private, e che possono essere impiegate in investimenti aggiuntivi. È quest’ultima possibilità che va sfruttata, se si vuole dare un segnale di svolta al sistema economico europeo.
Se si continua ad insistere sul concetto di “debito comune”, la cui garanzia deve essere assicurata pro-quota dai singoli Stati membri, in quanto segno di solidarietà europea, difficilmente se ne uscirà. Questa, in realtà, è una solidarietà debole, in quanto si fonda solo sulle convenienze o, nel caso specifico, sulle urgenze del momento degli Stati membri. Di fatto, si fonda su un’ipotesi di comunità politica che continua ad essere intergovernativa e non federale. La solidarietà europea si deve invece fondare su un soggetto diverso, che peraltro già esiste e che si manifesta ogni qual volta si vota per le elezioni europee: i cittadini europei, il solo soggetto in grado di affermare una solidarietà federale europea.
Le principali istituzioni europee, Commissione e Parlamento, devono avere il coraggio di chiedere l’emissione di debito europeo, garantito da imposte europee, per uscire dal vicolo cieco dell’idea del debito comune. A che cosa dovrebbe servire questo debito europeo? I precedenti europei, anche clamorosi, non mancano. Basti pensare all’Impresa Comune Galileo, che ha realizzato un sistema di navigazione satellitare di livello mondiale, superiore allo stesso GPS americano. Oppure alla società Airbus, nata come consorzio pubblico ed oggi quotata in borsa, leader mondiale dell’industria aeronautica civile e una delle prime nel settore militare.
L’UE deve avere il coraggio di promuovere imprese pubbliche e pubblico-private che forniscano beni pubblici europei: sanità, difesa ed energia. Nel settore sanitario, l’UE ricorrendo all’art. 187 del TFUE, dovrebbe dar vita ad una European Agency for Health sul modello americano e destinarvi le stesse risorse in materia di R&D, vale a dire 30-40 miliardi di euro all’anno. La distribuzione territoriale di questi investimenti potrà essere oggetto di trattativa, ma l’importante è procedere in questa direzione.
Nel settore della difesa, occorrerà dare il via libera all’accordo tra STX e Fincantieri, estendendolo anche a Naval Group, in modo da dar vita ad uno dei leader mondiali nel settore della cantieristica civile e militare. In secondo luogo, occorrerà procedere all’istituzione di un consorzio europeo per la realizzazione del velivolo di nuova generazione promosso da Francia e Germania. Su questo punto, l’Italia, a differenza di quanto fatto al momento della costituzione del consorzio Airbus, dovrà decidersi ad una scelta di campo. La nomina di Thierry Breton quale Commissario al Mercato interno, con competenza su industria, difesa e spazio, dovrebbe agevolare queste iniziative.
Nel settore dell’energia, oltre a quanto già detto in un altro commento pubblicato dal CSF, si può pensare alla realizzazione del tunnel, sotto lo stretto di Gibilterra, che colleghi il Marocco alla Spagna. Il progetto, inizialmente pensato solo per il trasporto ferroviario, è stato rivisto in modo da prevederlo anche come infrastruttura per il trasporto dell’energia elettrica fotovoltaica prodotta dai paesi africani. Questo investimento, oltre ad essere uno strumento per l’attuazione del Green Deal, sarebbe anche il segnale alla comunità politica ed economica euro-africana, di una cooperazione strutturale tra l’UE e l’Unione Africana.
Il commento del CSF appena citato fa anche riferimento alla risorsa propria che potrebbe fungere da garanzia per l’emissione del debito europeo da utilizzare per finanziare le iniziative appena elencate: un border carbon adjustment. Sia che abbia natura di dazio doganale o di montante compensativo, essa riguarda un provvedimento inerente alla politica commerciale europea, vale a dire una competenza esclusiva dell’Unione europea. Le istituzioni europee hanno il potere di prendere questa decisione e, a differenza di Roosevelt, non devono neppure avere troppa immaginazione. Non sfruttarlo vorrebbe dire affossare definitivamente il progetto europeo e consegnare gli europei al solo volere delle potenze emergenti.
*Domenico Moro è Membro del Consiglio Direttivo e Coordinatore dell’Area Sicurezza e Difesa del Centro Studi sul Federalismo