Regno Unito-UE: l’arte di distruggere le cose e ricostruirle lentamente

Regno Unito-UE: l’arte di distruggere le cose e ricostruirle lentamente

Federico Fabbrini / 29 maggio 2025

Commento n. 001/2025 NS

Lunedì scorso, 19 maggio 2025, il Primo Ministro del Regno Unito, Keir Starmer, ha accolto a Londra la Presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e il Presidente del Consiglio Europeo, Antonio Costa, per il primo vertice tra Regno Unito e Unione Europea (UE) dopo la Brexit. L’incontro è stato celebrato dalla stampa e dagli uffici stampa delle due istituzioni come il vertice del “reset”. In effetti, la riunione dei leader dell’UE e del Regno Unito ha creato un momento politico positivo tra le parti. In un periodo in cui la guerra infuria in Europa, a causa della continua aggressione russa contro l’Ucraina, e le relazioni transatlantiche sono indebolite da incertezze significative, dovute all’atteggiamento imprevedibile del Presidente degli Stati Uniti (USA) Donald Trump in materia di commercio e difesa, l’UE e il Regno Unito hanno riaffermato la loro partnership e concordato di sviluppare ulteriormente la loro cooperazione.

Tuttavia, al di là dell’entusiasmo retorico che ha circondato l’evento, la realtà della partnership UE-Regno Unito si rivela, nei fatti, piuttosto modesta. La sostanza di quanto concordato il 19 maggio 2025 è piuttosto limitata: l’UE e il Regno Unito hanno raggiunto un accordo per estendere le disposizioni sulla pesca previste dall’Accordo di Commercio e Cooperazione del 2021 fino al 30 giugno 2038, così consentendo alle imbarcazioni dell’UE di operare nelle acque territoriali del Regno Unito in cambio di un accesso facilitato dei prodotti ittici britannici al mercato europeo. Oltre a ciò, le parti si sono limitate a colloqui esplorativi e hanno deciso di proseguire i negoziati in una pluralità di ambiti – dalla sicurezza e difesa, all’energia, alla mobilità giovanile e al commercio – incluso un accordo sanitario e fitosanitario, che favorirebbe notevolmente la libera circolazione delle merci anche nel quadro del Protocollo sull’Irlanda del Nord allegato all’Accordo di Recesso.

In particolare, il Partenariato UE-Regno Unito per la Sicurezza e la Difesa è stato deludente per chi si aspettava un patto di difesa reciproca più esplicito e giuridicamente vincolante. Le parti si sono limitate ad avviare meccanismi di dialogo e consultazione, con incontri semestrali per discutere una varietà di temi legati alla sicurezza: dalla sicurezza regionale a quella marittima e spaziale, dalle sanzioni alla cybersicurezza, alle tecnologie emergenti e minacce ibride, dal contrasto alla manipolazione e interferenza dei servizi segreti stranieri al controterrorismo, alla non proliferazione, al clima, alla salute e alle migrazioni. Va ricordato che, dopo la Brexit, l’UE aveva cercato un partenariato di sicurezza con il Regno Unito, ma il governo Johnson – in nome di una visione sovranista – aveva fermamente rifiutato di includere la difesa nel perimetro dell’Accordo di Commercio e Cooperazione. Ebbene, cinque anni dopo, con un governo laburista al potere, i progressi in questo campo restano altrettanto sfuggenti.

Questo scenario conferma l’eredità duratura della Brexit – quasi un decennio dopo il referendum – e le difficoltà politiche che il Regno Unito affronta nel ricostruire i ponti con l’UE. Infatti, i recenti successi elettorali del Reform Party – il nuovo movimento guidato dall’ideatore della Brexit, Nigel Farage – possono essere identificati come una delle principali ragioni della riluttanza del governo britannico a concludere un nuovo accordo ambizioso con l’UE. Sebbene la Brexit si sia rivelata dannosa per il Regno Unito, ogni tentativo di approfondire i legami con l’UE rischia di sembrare un tradimento della volontà popolare: ciò costringe il Regno Unito ad adottare un approccio graduale nel suo riavvicinamento all’UE, avanzando a piccoli passi in ambiti tecnici come i mercati elettrici, il sistema di scambio di quote di emissione o il programma di ricerca Horizon – anche se in ciascuno di questi ambiti il Regno Unito deve accettare l’allineamento dinamico con il diritto dell’UE, sottoporsi alla giurisdizione della Corte di Giustizia dell’Unione Europea e spesso pagare per partecipare.

Come se non bastasse, le possibilità di un ricongiungimento tra UE e Regno Unito, al di là degli attuali termini dell’Accordo di Commercio e Cooperazione, sono complicate dalla posizione ambigua del Regno Unito nei confronti degli Stati Uniti. In particolare, l’8 maggio 2025, il governo britannico ha concluso con l’amministrazione Trump un accordo commerciale molto pubblicizzato – il cosiddetto Economic Prosperity Deal (EPD) – che ha ridotto per il Regno Unito alcune delle tariffe che gli USA avevano introdotto indiscriminatamente verso tutti i loro partner commerciali, in cambio di un maggiore accesso degli USA al mercato britannico. Ancora una volta, in realtà, l’EPD non è un vero accordo commerciale. Piuttosto, si tratta solo di una cornice generale, ovvero un’intesa tra le parti a negoziare in futuro un accordo commerciale, che si preannuncia arduo da raggiungere quando si passerà dai principi ai dettagli. Tuttavia, l’atteggiamento del Regno Unito verso gli Stati Uniti si discosta dall’approccio più conflittuale adottato dall’UE e rappresenta un ostacolo all’approfondimento dei legami commerciali con l’UE – ironicamente il principale partner economico del Regno Unito.

Si possono dunque trarre alcune conclusioni. Primo, la politica globale è sempre più caratterizzata da annunci pubblicitari di marketing in cui la retorica prevale sulla realtà: ciò vale tanto per le conclusioni del vertice UE-Regno Unito, quanto per l’EPD. Secondo, l’ideologia – ossia, il carburante che ha alimentato la Brexit – continua a prevalere sugli interessi economici razionali, limitando la capacità del Regno Unito di rivedere radicalmente lo status quo e approfondire i legami economici con l’UE. Terzo, come conseguenza delle due dinamiche sopra menzionate, piccoli passi per ricostruire ciò che è stato distrutto dalla Brexit vengono celebrati come grandi successi. Così, un accordo che garantisce un dazio del 10% sulle esportazioni di automobili britanniche verso gli USA viene presentato come una grande vittoria politica; e lo stesso vale per un’intesa che esplora la possibilità per il Regno Unito di aderire al mercato elettrico europeo, ai meccanismi transnazionali di applicazione della legge, e alla libera circolazione dei professionisti. Ma non bisogna dimenticare che, prima di Trump, il Regno Unito esportava automobili senza dazi verso gli USA; e che, prima della Brexit, godeva di tutti i benefici sopra menzionati e di molti altri in quanto membro a pieno titolo dell’UE. L’arte di distruggere – ovvero la Brexit e la guerra commerciale globale scatenata da Trump – è facile; l’arte di ricostruire è molto più difficile.

*Professore ordinario di diritto dell’Unione europea presso la Dublin City University e Direttore fondatore del Dublin European Law Institute.

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