Armi all’Ucraina e difesa europea: una via per l’Italia

Armi all’Ucraina e difesa europea: una via per l’Italia

Antonio Padoa Schioppa /  27 febbraio 2024
   

Commento n. 286

La guerra scatenata dalla Russia contro l’Ucraina non accenna a fermarsi. Lo stallo ormai irrigidito da molti mesi si prospetta come irreversibile. La Russia ha un volume di risorse di uomini e di armi incomparabilmente più elevato rispetto a Kiev. E tuttavia non avanza perché l’Ucraina può continuare ad avvalersi delle armi fornite dall’Occidente. Se questo flusso si arrestasse, la sua sorte sarebbe segnata. Già dagli Stati Uniti vengono segnali di stanchezza. Pochi giorni fa l’Amministrazione Biden ha diffuso il messaggio che le risorse per Kiev sono esaurite, mentre i Repubblicani bloccano al Congresso il pacchetto di nuovi aiuti. E le prospettive di una vittoria di Trump, per nulla interessato alla difesa dell’Ucraina, sono concrete.

L’Europa è stata sinora compatta nel sostegno a Kiev. Statistiche recenti, poco evidenziate dalla stampa, hanno dimostrato che gli interventi dell’Unione europea sono stati nell’insieme decisamente superiori rispetto a quelli forniti dagli USA. Si è avvertito ovunque in Europa, non solo ad est, che l’annessione di Kiev a Mosca costituirebbe per l’intera Unione un pericolo grave. Come evidenziato in uno studio pubblicato su Le Grand Continent, ripartendo gli aiuti finanziari nelle tre categorie di aiuti “finanziari”, “umanitari” e “militari”, nel periodo gennaio 2022 - ottobre 2023 l’UE ha versato rispettivamente 83 miliardi, 8 miliardi, 39 miliardi, per un totale di 130 miliardi di euro; gli USA hanno versato rispettivamente, 25 miliardi, 3 miliardi, 44 miliardi, per un totale di 72 miliardi di dollari.

Tuttavia, anche entro l’Unione la via verso una politica comune nell’approntamento di armi a sostegno dell’Ucraina è una via tormentata: Francia e Germania sono d’accordo sui principi ma stentano ad accordarsi sulle misure concrete, le lobby nazionali premono ciascuna a proprio vantaggio, nonostante progressi significativi per la realizzazione di un aereo comune e di un carro armato comune. La via giusta e lineare sarebbe quella di conferire le necessarie risorse, anche quelle di provenienza nazionale, direttamente al bilancio dell’Unione, con la connessa competenza congiunta di Commissione, Consiglio, Parlamento europeo. E proprio secondo uno studio del Servizio Ricerca del Parlamento, il risparmio per anno grazie a una difesa comune europea potrebbe ammontare a una cifra da 24 a 75 miliardi di euro.

La posizione dell’Italia sinora è stata chiara, concorde con quanto stabilito dall’Unione europea in coincidenza con le scelte della Nato: sì alle armi, no ad un intervento di truppe che potrebbe scatenare un confronto diretto con la potenza nucleare russa, d’altronde minacciata in più occasioni da Mosca. Senonché ora in Italia questa compattezza sembra sul punto di sfaldarsi. Il Movimento Cinque Stelle è contrario a rinnovare le risorse per le armi all’Ucraina, mentre nel Partito democratico, per ora favorevole (come d’altronde già lo è stato a suo tempo il Movimento guidato da Conte), qualcuno prospetta l’astensione.

È chiaro che su un fronte così delicato né uno iato tra maggioranza e opposizione né la divisione all’interno dell’opposizione sono prospettive rassicuranti. Sul piano interno, come potrà l’opposizione proporsi come alternativa rispetto alla maggioranza di governo attualmente al potere, e agire di conserva in Europa, se non è unita su un tema cruciale quale è quello del rapporto con la guerra in corso, segnando così oltretutto un distacco dalla linea sinora seguita unanimemente dall’Italia e dall’Unione? Se così fosse, la legittima battaglia politica per predisporre un’alternativa di governo sarebbe già persa, e questo sin dalle prossime elezioni europee.

Una proposta che potrebbe superare l’impasse sarebbe a portata di mano. Il Partito democratico potrebbe dichiarare che appoggerà il sostegno ad una prosecuzione delle forniture di armi all’Ucraina, in sinergia con l’Unione europea, a condizione che le risorse italiane siano conferite direttamente al bilancio europeo, inserendole in questo modo nella prospettiva di una difesa autonoma dell’Unione. I Cinque Stelle a questo punto potrebbero concordare. E un tale accordo sarebbe di importanza strategica per l’opposizione. Anche il Governo Meloni difficilmente potrebbe dissentire.

Se così avvenisse il gesto dell’Italia potrebbe stimolare altri governi nella stessa direzione, come una vera difesa europea richiede, tra l’altro realizzando cospicue economie di scala.

In pari tempo, l’Italia dovrebbe chiedere e ottenere di entrare nell’Eurocorps già esistente, del quale sinora non fa parte, che peraltro andrebbe inserito senza ulteriori indugi nel quadro dell’Unione.

Si sta finalmente facendo strada la convinzione, peraltro giustificata da molti anni, che solo un’efficace e autonoma difesa comune nel quadro dell’alleanza occidentale può garantire all’Europa, indipendentemente dall’eventualità di un rallentamento o di un arresto dell’impegno americano, le necessarie garanzie per la propria sicurezza e per la tutela dei propri confini.

*Professore emerito di Storia del diritto all’Università degli Studi di Milano e membro del Comitato Scientifico (e già Presidente) del Centro Studi sul Federalismo

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