COP28: un passo avanti importante, ma non decisivo

COP28: un passo avanti importante, ma non decisivo

Alberto Majocchi
   

Commento n. 282 - 9 gennaio 2024

La COP28 (Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici), che si è tenuta a Dubai dal 30 novembre al 12 dicembre 2023, ha riunito 198 stati con l’obiettivo di adottare misure volte a fronteggiare la minaccia rappresentata dal riscaldamento globale dell’atmosfera. La riunione di Dubai ha raggiunto importanti conclusioni, anche se lascia aperti molti problemi ancora da risolvere per raggiungere l’obiettivo fissato dall’Accordo di Parigi (in vigore dall’ottobre 2016) di contenere l’aumento della temperatura entro 1,5 gradi centigradi. Per favorire, in prospettiva, un accordo impegnativo su scala globale un contributo importante può derivare dall’attività del Climate Club, promosso nel dicembre 2022 dai leader del G7 per accelerare l'attuazione dell'Accordo di Parigi. Il suo obiettivo è incoraggiare i paesi che ne fanno parte a unire le forze per sostenere la transizione verso la neutralità carbonio entro il 2050, affrontando le sfide di coordinamento e di attuazione legate all’utilizzo di strumenti e iniziative diversi, come il nuovo meccanismo dell’Unione europea per imporre alle frontiere un diritto compensativo pari al carbon price pagato sul mercato interno, il Piano industriale del Green Deal europeo e la legge statunitense per la riduzione dell'inflazione (Inflation Reduction Act), che prevede sostegni di rilievo per favorire la transizione verso un’economia a zero emissioni.

Un luogo di confronto fra i grandi paesi industrializzati rappresenta certamente un contributo per raggiungere l’azzeramento delle emissioni nette di CO2 entro il 2050, ma non appare sufficiente, in quanto non tiene conto dei cambiamenti intervenuti a livello mondiale, con la comparsa sulla scena internazionale dei paesi del Global South, che costituisce un’evoluzione del gruppo dei BRICS e mira a far sentire la sua voce anche per quanto riguarda le politiche per conseguire l’obiettivo della neutralità carbonio. E un confronto fra questi due gruppi di paesi appare inevitabile per raggiungere l’obiettivo fissato nell’Accordo di Parigi.

Nel documento finale approvato alla COP28 di Dubai di particolare rilievo appare l’articolo 28, che prevede il principio di “una transizione dai combustibili fossili nei sistemi energetici, in modo giusto, ordinato ed equo, accelerando l'azione in questo decennio critico, in modo da raggiungere emissioni nette pari a zero entro il 2050, in linea con la scienza". Questo risultato è stato raggiunto al termine di lunghe discussioni sulla formula da adottare, in modo tale da consentire l’adesione da parte dei paesi che dispongono di notevoli risorse in termini di petrolio e gas e che non potevano accettare una formulazione più radicale (phasing out fossil fuels), che prevedesse un’eliminazione in tempi brevi dell’utilizzo di queste fonti di energia. Il testo finale è riuscito a ottenere un consenso maggioritario tra i paesi partecipanti grazie a una formulazione che prevede una “transizione” graduale dai combustibili fossili, che sono responsabili di quasi il 90% delle emissioni globali di anidride carbonica, secondo le Nazioni Unite. Anche in questa versione più moderata, occorre sottolineare che si tratta della prima volta che in un consesso internazionale viene affermato il principio di un progressivo abbandono dei combustibili fossili, accompagnato dall’impegno a triplicare la produzione di energie rinnovabili e a raddoppiare l’efficienza energetica entro il 2030. Obiettivi difficile da conseguire, ma che rappresentano un traguardo decisivo in vista del conseguimento di una neutralità carbonio entro il 2050.

Il secondo punto di rilievo contenuto nelle Conclusioni finali è rappresentato dall’approvazione di un "Fondo per le perdite e i danni da disastri climatici", proposto già alla COP27 in Egitto lo scorso anno. Il Fondo è destinato a sostenere le comunità vulnerabili e i paesi in via di sviluppo che lottano per far fronte all'impatto dei disastri climatici, come la distruzione dei raccolti causata dalla siccità o dalle inondazioni. Tuttavia, i paesi sviluppati sono stati criticati per la quantità di denaro limitata che si sono dichiarati disponibili a stanziare, che ammonta a circa 700 milioni di dollari. Questa cifra appare ben lontana dai 400 miliardi di dollari di danni stimati ogni anno a causa dei cambiamenti climatici. A settembre del 2023, un gruppo di paesi in via di sviluppo aveva chiesto di impegnare nel Fondo almeno 100 miliardi di dollari.

Al di là del problema delle misure da assumere per raggiungere l’obiettivo della neutralità carbonio, occorre porre una particolare attenzione sui cambiamenti indotti dalle politiche adottate, che sono molto impegnativi, richiedono una notevole quantità di risorse finanziarie e presuppongono un largo consenso da parte dell’opinione pubblica. Nel Rapporto preparato per il governo francese (Les incidences économiques de l’action pour le climat, Mai 2023) Jean Pisani-Ferry e Selma Mahfouz stimano che, nell’Unione europea, la riduzione delle emissioni di CO2 debba avvenire a un tasso pari al 2,7% annuo – doppio rispetto al tasso  dell’1,3% relativo al periodo 2010-2020 – al fine di conseguire una diminuzione delle emissioni pari al 55% nel 2030 rispetto al 1990. Nell’Impact Assessment per il Fit for 55% Package la Commissione europea stima che saranno necessari maggiori investimenti in una misura compresa fra lo 0,5% e l’1% del Pil. La crescita degli investimenti e della spesa per beni capitali da parte di famiglie e imprese, se non provocherà una riduzione (crowding-out) di altre forme di investimento, potrà avere un effetto espansivo sul Pil e sull’occupazione. Questi effetti positivi potranno essere bilanciati da effetti negativi sulla produttività legati alla sostituzione di investimenti mirati ad accrescere l’efficienza energetica a investimenti in capitale produttivo. Accanto a questi effetti macro-economici occorrerà altresì garantire che la politica adottata per la transizione verso un’economia carbon neutral sia “giusta”. All’interno dell’Unione europea occorrerà quindi tener conto anche di questo obiettivo nella definizione delle scelte per redistribuire il gettito del carbon pricing, in modo tale che siano protetti gli interessi delle classi di reddito più vulnerabili.

In definitiva, l’indicazione emersa alla COP28 di Dubai di una transizione graduale dai combustibili fossili verso le energie rinnovabili e una maggiore efficienza energetica rappresenta un passo avanti importante, ma per raggiungere l’obiettivo della decarbonizzazione occorre che i paesi del Nord non solo armonizzino le loro politiche con impegni sempre più stringenti, ma altresì promuovano in tempi brevi un accordo con i paesi del Global South, che ormai giocano un ruolo decisivo per il raggiungimento della neutralità carbonio entro il 2050 e non sono più disponibili ad accettare passivamente le decisioni dei paesi più ricchi. E, in questa prospettiva, un’Unione europea riformata, con maggiori poteri nel settore della politica estera e della sicurezza, potrà giocare un ruolo decisivo, con la conclusione di un Patto di Partnership con i paesi dell’Unione africana.

*Professore Emerito di Scienza delle Finanze all’Università di Pavia, membro del Comitato Scientifico del Centro Studi sul Federalismo

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