Andrea Cofelice
Commento n. 205 - 30 dicembre 2020
Il 7 dicembre scorso il Consiglio affari esteri ha approvato, con la Decisione (PESC) 2020/1999 e il Regolamento 2020/1998, il primo regime globale di sanzioni in materia di violazioni e abusi dei diritti umani adottato dall’Unione europea (UE). Si tratta di un’importante risposta a fronte della progressiva erosione delle libertà fondamentali e dei principi liberali a livello internazionale: con il nuovo regime, le istituzioni europee rafforzano i propri meccanismi di tutela dei diritti umani, che rappresentano uno dei valori fondamentali della stessa UE e della sua politica estera.
In realtà, le violazioni internazionali dei diritti umani possono già oggi divenire oggetto di sanzioni da parte dell’UE: è stato il Trattato di Maastricht, con l’istituzione della PESC, ad aver fornito la base giuridica necessaria. Il primo provvedimento post-Maastricht ha riguardato l’embargo sulle armi imposto al Sudan nella primavera del 1994. Da allora, il numero di sanzioni adottate dall’UE è gradualmente aumentato, fino a raggiungere uno stock annuale di oltre 20 sanzioni a partire dal 2010. Se l’embargo sulle armi rappresentava la tipologia di sanzione più comune negli anni ‘90, il blocco dei beni e il divieto di ingresso nell’UE sono divenute le forme più diffuse negli ultimi 15 anni. I paesi del Vicinato orientale sono stati spesso oggetto di sanzioni per minacce alla pace e alla stabilità regionale; nel Mediterraneo meridionale le sanzioni si sono concentrate sul terrorismo, mentre in Asia e nell’Africa subsahariana su violazioni di diritti umani e principi democratici.
Il limite principale dell’attuale regime è che esso prevede unicamente sanzioni “localizzate”, ovvero collegate a determinati contesti geografici (paesi o regioni) o a specifiche crisi o conflitti, con la necessità, per le istituzioni comunitarie, di stabilire di volta in volta un quadro giuridico ad hoc per ogni singolo caso. Ma collegare le sanzioni a singoli paesi o conflitti può limitare la capacità dell’UE di rispondere rapidamente all’insorgere di nuove crisi o violazioni dei diritti umani. Il nuovo regime globale di sanzioni, che si affiancherà alle attuali “sanzioni geografiche” e agli altri strumenti già utilizzati dall’UE per promuovere i diritti umani (su tutti il dialogo politico e le clausole di condizionalità nei trattati commerciali e di cooperazione allo sviluppo), introduce importanti novità, in particolare sui soggetti che possono essere colpiti, sulle violazioni dei diritti umani sanzionabili e sulle tipologie di provvedimenti che possono essere imposte.
Anzitutto, il nuovo regime globale è indirizzato a individui e persone giuridiche (attori statali e non-statali) responsabili o coinvolti in gravi violazioni dei diritti umani commesse in ogni parte del mondo (nonché a coloro che forniscono supporto materiale, finanziario o tecnico), indipendentemente dalla loro nazionalità o dal luogo in cui sono commesse le violazioni. I soggetti interessati potranno far ricorso alla Corte di giustizia dell’UE contro i provvedimenti sanzionatori.
In secondo luogo, il Regolamento 2020/1998 specifica che il nuovo regime si applica a quattro tipologie di violazioni: a) genocidio; b) crimini contro l’umanità; c) gravi violazioni dei seguenti diritti umani (c.d. norme di jus cogens): tortura e altri trattamenti o pene crudeli, inumani o degradanti; riduzione in schiavitù; uccisioni extragiudiziali, sommarie o arbitrarie; sparizioni forzate; arresti o detenzioni arbitrari; d) altre violazioni dei diritti umani, purché abbiano carattere diffuso e sistematico, tra cui: tratta di esseri umani, violenza sessuale e di genere, violazioni della libertà di riunione e associazione, opinione ed espressione, religione o credo.
Infine, le sanzioni europee saranno mirate e individuali, e includeranno: il divieto di ingresso e viaggio nell’UE; il congelamento di fondi e risorse economiche; il divieto per gli operatori economici e finanziari europei di mettere fondi e altre risorse economiche a disposizione dei responsabili. L’obiettivo generale è quello di minimizzare impatti negativi e indesiderati sulla popolazione civile: è prevista anche una clausola con una “deroga umanitaria”, che consente agli Stati membri di sbloccare determinati fondi o risorse per fornire aiuti umanitari (assistenza medica o alimentare, trasferimento di operatori umanitari, evacuazione della popolazione ecc.).
Il nuovo regime sanzionatorio europeo si inserisce in una tendenza globale all’adozione di sanzioni tematiche (o “orizzontali”, ovvero svincolate da specifici contesti geografici). Il primo strumento giuridico ad affrontare in maniera globale le violazioni dei diritti umani attraverso l’applicazione di sanzioni è stato il Magnitsky Act, adottato dagli Stati Uniti del 2012. Da allora, Canada, Estonia, Lettonia, Lituania e Regno Unito hanno plasmato i propri regimi sanzionatori in base a tale modello, mentre Giappone e Australia ne stanno valutando l’adozione. La stessa Presidente della Commissione Ursula von der Leyen, nel suo Discorso sullo stato dell’Unione, il 16 settembre scorso, aveva sottolineato che “Il Parlamento ha chiesto molte volte una legge Magnitsky europea e posso annunciare che ora presenteremo una proposta”.
Rispetto al passato, dunque, il nuovo regime sanzionatorio ha tutto il potenziale per conferire maggiore flessibilità e rapidità alla risposta europea di fronte a gravi violazioni dei diritti umani. Ponendo l’accento sulla responsabilità individuale (piuttosto che sulla nazionalità) di persone fisiche e giuridiche, il nuovo regime rompe, in una certa misura, il legame di appartenenza tra l’autore di una violazione e il suo paese d’origine, consentendo così all’UE di procedere con le sanzioni senza necessariamente innescare conflitti politici ed economici su larga scala con i paesi terzi. Inoltre, il regime globale intende responsabilizzare anche gli operatori economici e finanziari europei, che saranno chiamati, in via preliminare, a condurre uno screening più approfondito delle proprie controparti in ogni angolo del mondo.
Per tali ragioni, il nuovo regime globale ha ricevuto un’accoglienza generalmente positiva a livello politico e di società civile. Non sono mancate, tuttavia, alcune voci critiche. Dal punto di vista procedurale, le sanzioni non saranno valutate da un organismo indipendente, né dalla Commissione: spetterà al Consiglio, su proposta di uno Stato membro o dell’Alto Rappresentante, stabilire, rivedere e modificare l’elenco delle persone fisiche e giuridiche soggette a sanzioni. La designazione di un individuo o di un ente richiederà, dunque, un significativo tasso di consenso, poiché in ambito PESC il Consiglio può procedere solo all’unanimità (salvo rare eccezioni), circostanza che ha già causato ritardi ed esitazioni in recenti decisioni. La proposta olandese di adottare il voto a maggioranza qualificata è stata respinta. Sul piano sostanziale, è stato notato che tra le violazioni sanzionabili non figura la corruzione, né è prevista la partecipazione delle organizzazioni di società civile che, diversamente da quanto avviene nel modello statunitense, non possono raccomandare l’adozione di sanzioni.
Nonostante tali limiti, alcuni dei quali superabili attraverso graduali aggiustamenti e modifiche in corso d’opera, il nuovo regime globale ha il potenziale per contribuire allo sviluppo del diritto europeo e internazionale, e consentire all’UE di assumere un atteggiamento più propositivo in relazione alle gravi violazioni dei diritti umani commesse nel mondo. Il modo in cui le sanzioni saranno utilizzate e adattate nel corso del tempo rappresenterà un importante indicatore del livello di autonomia, capacità, coerenza e coesione raggiunto dall’UE quale attore internazionale.
*Mario Albertini Fellow del Centro Studi sul Federalismo (articolo pubblicato il 29 dicembre scorso da Europea, la piattaforma dei think tank su Euractiv.it)