Olimpia Fontana
Commento n. 252 - 21 novembre 2022
La Commissione europea ha presentato una proposta di riforma della governance economica europea, che si pone quale punto di partenza per discutere del quadro normativo economico europeo che dovrebbe entrare in vigore da inizio 2024. La proposta punta a rendere le regole fiscali più semplici, a conferire agli Stati membri una maggiore titolarità (ownership) dei piani di consolidamento e a concedere loro più flessibilità nel percorso di riduzione del debito. Per i paesi con debito superiore al 60% del Pil (i parametri di riferimento continueranno a essere quelli del Trattato di Maastricht: 3% per il rapporto deficit/Pil e 60% per quello debito/Pil) si applicherà una regola sulla spesa pubblica primaria netta (ovvero quella che dipende dal governo e non dalle fasi del ciclo, né dalla spesa per interessi sul debito). Tale regola sarà differenziata per paese, in base alle necessità specifiche: sarà ciascun governo a presentare il proprio fiscal-structural plan per un periodo di quattro anni, indicando come intende ridurre il rapporto debito/Pil, oltre a quali riforme e investimenti intende fare, senza discostarsi troppo dalle raccomandazioni specifiche fornite dalla Commissione. Per riforme e investimenti con un impatto positivo sulla crescita, quindi sulla riduzione del rapporto debito/Pil, sarà possibile chiedere un allungamento del piano fino a sette anni. Saranno poi i Fiscal Board nazionali e la Commissione a valutare che il rapporto debito/Pil si mantenga su una traiettoria decrescente, in modo appropriato e plausibile.
I fiscal-structural plan si dovranno collocare all’interno dell’attuale sistema di governance economica europea, un coordinamento delle politiche fiscali nazionali al posto di quella politica fiscale unica europea che ancora manca. La governance è stata rafforzata durante la crisi dell’eurozona con la creazione del Semestre europeo, procedura che prevedere che ogni anno i paesi membri presentino uno Stability and Convergence Programme e un National Reform Programme. Con la riforma ipotizzata, essi verrebbero sostituiti dal fiscal-structural plan proposto alla Commissione, cui si aggiungerebbero gli altri documenti di programmazione pluriennale già in corso. Si tratta del National Energy and Climate Plan, con cui i governi indicano le misure per realizzare gli obiettivi climatici, e del Recovery and Resilience Plan (RRP, in Italia il PNRR), in cui viene indicato come saranno spesi i fondi ricevuti dal Next Generation EU (NGEU). In pratica, una serie di documenti programmatici che devono essere coerenti tra loro, in modo da conciliare vari obiettivi della governance. Nella proposta della Commissione viene ribadito come la sostenibilità dei debiti pubblici debba andare di pari passo con la crescita, enfatizzando quella doppia finalità insita nella dicitura “Patto di stabilità e crescita” (PSC). Inoltre, la Commissione sottolinea più volte che tale crescita deve basarsi sull’imperativo della transizione ecologica.
Tenere insieme i tre obiettivi – sostenibilità fiscale, crescita e transizione ecologica – diventa più difficile oggi alla luce della crisi energetica. L’aumento dell’inflazione (oltre il 10%), iniziato con la ripresa post-pandemia ed esacerbato dallo shock energetico prodotto dalla guerra in Ucraina, ha portato la Banca Centrale Europea a una politica monetaria restrittiva, con aumenti dei tassi di interesse che stanno facendo emergere rischi di recessione e di instabilità finanziaria, soprattutto per quei governi già ad alto debito, con ridotto spazio di manovra per politiche fiscali espansive. La strategia europea per affrancarsi dal gas russo – il RePowerEU lanciato a maggio 2022 – si basa principalmente su misure di riduzione della domanda, con risparmio energetico e aumenti di efficienza, e di diversificazione degli approvvigionamenti di energia. In alcuni casi, le alternative al gas russo (riscoperta del carbone e nuove infrastrutture nel gas), seppur di breve-medio termine, sono in contrasto con gli obiettivi urgentissimi della transizione ambientale. Il rischio è di dirottare investimenti necessari alla transizione verso la nuova urgenza della sicurezza energetica.
Tuttavia, va ricordato che a fianco dei bilanci nazionali i governi possono contare fino al 2026 anche sulle risorse del NGEU, strumento di solidarietà nato ai tempi della pandemia che ha affiancato e potenziato il bilancio europeo 2021-2027. Il NGEU è stato un punto di svolta per l’UE, perché rappresenta il primo passo verso quella capacità fiscale europea che permetterebbe di avere un bilancio europeo di dimensioni adeguate a finanziare gli investimenti e le riforme previste dal NGEU e di cui ora parla anche la proposta di riforma del PSC. Una maggiore coerenza tra sostenibilità fiscale e crescita è data dal fatto che il modello proposto dalla Commissione per i previsti fiscal-structural plan ricalca quello già sperimentato con gli RRP del NGEU. La Commissione riconosce che “In addition to fiscal reporting, the implementation of reforms and investments covered by the medium-term plans would be detailed in these reports” e che “Relevant interactions with the RRPs will be taken into account during the lifetime of the RRF” (Recovery and Resilience Facility, la linea di finanziamento principale nel NGEU).
Questo passaggio è una novità positiva per la governance europea, perché riconosce che la crescita è una condizione necessaria per la sostenibilità fiscale. Tuttavia, manca un elemento fondamentale per tenere insieme i tre obiettivi. La proposta di riforma della Commissione non menziona quali prospettive ha in mente per il NGEU, nato come strumento temporaneo contro gli effetti della pandemia. La Commissione non può limitarsi a ripensare le regole fiscali, concedendo maggiori flessibilità, senza avviare al contempo una riflessione su strumenti europei permanenti che evitino di sacrificare di fatto gli obiettivi della crescita sostenibile a quello della sostenibilità fiscale e siano appropriati per affrontare nuove e crescenti sfide di tipo geopolitico. Il bilancio europeo oggi non è adeguato, per dimensioni e voci di spesa, a far fronte alla fornitura di beni pubblici europei, quali ad esempio la produzione di tecnologie per la transizione (dall’idrogeno verde, alle batterie, a un piano di investimenti in Africa) e, più in generale, per una politica industriale europea che permetterebbe all’Ue di competere sulle tecnologie del futuro. Una riflessione sull’opportunità di rendere il NGEU permanente appare quindi necessaria.
Un altro tema taciuto della Commissione riguarda l’introduzione di nuove risorse proprie europee. Il finanziamento del NGEU si basa sull’emissione di titoli di debito europei per 750 miliardi di euro. Per consentire quest’operazione il tetto sulle risorse proprie è stato modificato, passando dall'1,29% al 2% del Reddito Nazionale Lordo dell'UE, prefigurando un bilancio europeo quasi raddoppiato. Questo aumento, necessario per ripagare parte del NGEU, dovrà essere finanziato con l’introduzione graduale di nuove risorse proprie europee, come l’accordo interistituzionale tra Parlamento europeo, Commissione e Consiglio ha già definito a fine 2020. Si tratta di un paniere di entrate da varie fonti: dallo scambio delle quote di emissioni ETS (il mercato europeo del carbonio), all’introduzione di un meccanismo di aggiustamento alla frontiera sulle emissioni di Co2 (Carbon Border Adjustment Mechanism), a un prelievo basato sulla quota di profitti delle multinazionali. Il Parlamento europeo ha dato parere positivo alla proposta, ora spetta al Consiglio deliberare all’unanimità e ai governi ratificare la decisione. Senza queste risorse aggiuntive entro il 2027 (data d’inizio del rimborso del NGEU) saranno i contributi nazionali, ovvero gettito dai bilanci pubblici, a dover sopperire.
In conclusione, la proposta della Commissione va nella direzione giusta, riconoscendo dopo anni di enfasi sulla sostenibilità dei conti pubblici anche un ruolo per gli investimenti, ma non si può rischiare che nella pratica il primo obiettivo finisca nuovamente per prevaricare sul secondo. Per quello – e per le altre sfide dell’UE – serve un piano per una futura capacità fiscale europea.
*Mario Albertini Fellow del Centro Studi sul Federalismo; nel 2022 è uscito da Peter Lang il suo libro Investing in Europe. Old Problems and New Opportunities.