Domenico Moro
Commento n. 149 - 7 maggio 2019
Come ha recentemente affermato il Presidente Mattarella "per la prima volta, stiamo assistendo a una vera e propria campagna elettorale pan-europea nel senso pieno del termine". Se questo è vero, il sistema politico europeo si avvicinerà a quello americano, nel quale i maggiori partiti politici sono di fatto ampie coalizioni, socialmente e ideologicamente non omogenee, perché operano in un contesto istituzionale di tipo federale e su scala continentale. Nel caso europeo, questo non significa che iniziative costituenti partiranno dalle sole coalizioni partitiche, ma che grandi spostamenti dell’elettorato o nuove maggioranze nel Parlamento europeo, ne costituiranno il presupposto parlamentare. Si tratta di un processo che si aprirà con la prossima legislatura, ma che per manifestarsi pienamente potrà richiedere più cicli elettorali.
Fino alle elezioni del 2014, il Presidente della Commissione europea era scelto dai Capi di Stato e di governo, un vero e proprio "caucus" europeo che decideva nel chiuso di una stanza: una procedura ben più opaca di quella americana, dove inizialmente intervenivano i rappresentanti del potere legislativo. Come negli USA, con l’elezione del Presidente, così nell’UE con la nomina di Juncker, l’elettorato ha cominciato a pesare sulla scelta dell’esecutivo europeo e la lotta politica ha fatto la sua comparsa su scala continentale. La sua nomina da parte del Consiglio europeo, per la prima volta, è stata fatta tenendo conto del risultato delle elezioni europee con un voto a maggioranza, mentre il Parlamento europeo lo ha votato con il sostegno del PPE e di una parte del Partito socialista.
Il grado di autonomia di cui ha potuto godere la presidenza Juncker, che si è manifestato nel piano di investimenti che ha preso il suo nome e con le decisioni nel settore della difesa europea, ne ha sensibilmente politicizzato il ruolo. La procedura dello Spitzenkandidat si sta rivelando il motore principale del cambiamento istituzionale. È pertanto verosimile attendersi che i due tradizionali partiti che hanno fino ad ora guidato il funzionamento delle istituzioni europee evolvano in una sorta di centro di due coalizioni, o alleanze: una conservatrice ed una progressista, entrambe composite, come è normale che sia quando si tratta di coagulare il consenso dei cittadini di una comunità politica di dimensioni continentali, costituita da Stati storicamente consolidati e da una distribuzione geografica asimmetrica di gruppi e interessi economici, sociali e culturali. La loro composizione, per quanto eterogenea, dovrà comunque essere coerente con un orientamento politico inteso in senso ampio e questa aggregazione sarà, in una certa misura, favorita dalla recente decisione di modificare il Regolamento del Parlamento europeo riguardo la composizione dei gruppi politici, i cui componenti dovranno dichiarare per iscritto "di condividere la stessa affinità politica".
Nella misura in cui assumerà importanza il ruolo e l’assetto delle coalizioni, rispetto alla rigida disciplina di partito, esse rappresenteranno meglio il modo in cui si articola la società europea e potranno essere, di fatto, veicoli dei cambiamenti costituzionali che, di volta in volta, si renderanno necessari per l’avvio di efficaci politiche europee.
Il ruolo che negli USA, storicamente, le elezioni del Congresso ma soprattutto quelle del Presidente hanno svolto nel cambiamento delle regole del gioco, ogni volta che si rendeva necessario, consentono un paragone valido anche con riferimento all’esperienza europea. Dopo le elezioni dirette del Parlamento europeo, i trattati europei – rimasti immutati per quasi trent’anni –, sono stati modificati più volte. A partire dal progetto di Trattato per l’Unione europea di Altiero Spinelli, i trattati sono stati modificati cinque volte: Atto unico, Trattato di Maastricht, Trattato di Amsterdam, Trattato di Nizza, Trattato di Lisbona. Sono state altrettante modifiche che hanno recepito gran parte delle indicazioni contenute nelle proposte di Spinelli e si può sostenere che siano state l’equivalente degli emendamenti alla costituzione americana, perché hanno adattato, di volta in volta, le regole democratiche alla sempre più spinta integrazione europea, anche se molta strada resta ancora da fare.
L’esperienza americana è istruttiva anche da un altro punto di vista, che sembra rafforzare la prospettiva del ruolo costituente delle coalizioni politiche europee e che dipende dalla risposta alla seguente domanda: le istituzioni devono precedere le politiche o sono le politiche che fondano le istituzioni?
Nel caso americano, nonostante la costituzione preveda la moneta come competenza federale, non esclusiva, ci sono voluti 125 anni prima che si istituisse il Federal Reserve System; nonostante la costituzione preveda che il Presidente degli Stati Uniti sia il capo delle forze armate, per 130 anni le milizie statali hanno prevalso sulle forze armate federali; nonostante la costituzione preveda la competenza, non esclusiva, in materia fiscale, ci sono voluti circa 150 anni, con il New Deal, prima che il bilancio federale cominciasse a diventare più importante dei bilanci statali. L’esperienza americana ci dice quindi che le previsioni costituzionali sono condizione necessaria, ma non sufficiente, perché le competenze nel settore della moneta, della difesa e della politica di bilancio, si trasformino in competenze federali, di fatto, esclusive – le prime due – o condivise – la terza. È stata la lotta politica, interna, nel caso della moneta e del bilancio, a richiedere il rafforzamento delle competenze federali e non una semplice previsione costituzionale, mentre nel caso della difesa è stata la lotta politica tra Stati a livello mondiale, a sostenerne il rafforzamento.
L’esperienza europea insegna la stessa cosa. L’avventura europea è cominciata quando i paesi fondatori hanno deciso che la politica del carbone e dell’acciaio doveva essere una competenza europea ed è continuata quando hanno deciso di promuovere il mercato comune e, con esso, la politica commerciale comune. Il processo si è poi rafforzato quando hanno deciso di promuovere la liberalizzazione degli scambi di merci e servizi con il mercato interno ed hanno deciso di rafforzarla dotandosi di una moneta unica. I trattati, di volta in volta, sono stati di conseguenza adattati alla nuova realtà politica.
*Membro dell’Unione Europea dei Federalisti e Coordinatore dell’Area Sicurezza e Difesa del Centro Studi sul Federalismo