Federalismo fiscale e Regionalismo differenziato: si riparte?

Stefano Piperno
C
ommento n. 162 - 3 dicembre 2019   

Il dibattito sul federalismo fiscale sembra essersi risvegliato in una forma un po’ più organica. Lo scorso 24 ottobre la Commissione bicamerale per l’attuazione del federalismo fiscale ha approvato all’unanimità la Relazione semestrale sull’attuazione della legge delega 5 maggio 2009, n. 42, sul federalismo fiscale, la prima dell’attuale legislatura. Precedentemente, il 2 ottobre, il Ministro per gli affari regionali e le autonomie Francesco Boccia aveva esposto i nuovi orientamenti del governo in merito alle linee programmatiche del suo dicastero in una audizione presso la Commissione parlamentare per le questioni regionali. Infine, il 28 novembre vi è stata un’approvazione di massima da parte della Conferenza delle Regioni di una bozza di legge quadro per l’autonomia differenziata predisposta dal Ministro Boccia, circolata sinora solo informalmente e non ancora approvata in forma definitiva dal Consiglio dei ministri.

Partiamo dalla Relazione semestrale. Questa edizione, oltre alla consueta analisi dello stato di attuazione della L. n. 42/09, affronta anche i problemi legati al processo attuativo dell’art. 116, co. 3 della Costituzione, noto come “regionalismo differenziato” o “asimmetrico”, e del quale la Commissione si è occupata attraverso numerose audizioni. I due temi sono infatti molto connessi. Le audizioni si sono svolte tutte nel 2019, essendosi la Commissione insediata il 30 gennaio di questo anno, coinvolgendo membri del governo, amministratori, esperti e rappresentanti di istituzioni autonome come l’Ufficio parlamentare del bilancio e la Corte dei Conti. La relazione conferma quanto emerso nel dibattito degli ultimi mesi ovvero che non si può parlare di regionalismo differenziato in assenza di una attuazione completa della L. n. 42/09. Purtroppo, le iniziali ipotesi di intesa con le prime tre Regioni (Veneto, Lombardia e Emilia-Romagna) hanno sorvolato su questa necessità e solo negli ultimi mesi la questione è emersa in tutta la sua rilevanza nelle audizioni.

Nella Relazione si richiamano in maniera dettagliata anche i ritardi attuativi della L. n. 42/09 (in questo non si discosta dalle precedenti…) e si conclude sottolineando la necessità di porre fine a questo stato di “transizione senza fine” ricuperando il patrimonio di conoscenze ed esperienze disponibili per definire il sistema a regime in un ragionevole lasso di tempo. L’attuazione del regionalismo differenziato può essere portata avanti solo all’interno di questa cornice.

Le conclusioni della Commissione risultano abbastanza coerenti con quanto esposto dal Ministro Boccia nella audizione sulle linee programmatiche del suo Ministero. Nel suo intervento il Ministro si è concentrato solo sul regionalismo differenziato, salvo un richiamo a ridurre la conflittualità Stato-Regioni evidenziata dall’eccessivo numero di leggi impugnate annualmente (arrivato a circa 120). Rispetto alla prima questione ha sottolineato la necessità di considerare in maniera unitaria l’art. 116, co. 3, con gli artt. 117, 118, 119 e 120 della Costituzione, insieme alla loro legislazione attuativa (in particolare L. n. 42/09 e D. Lgs. n. 68/11) superando una notevole asistematicità delle precedenti proposte. A tale fine dichiarava il suo intendimento di predisporre un disegno di legge attuativo dell’art. 116, co. 3., anche in risposta ai suggerimenti pervenuti da numerosi costituzionalisti in merito alla necessità di dare orientamenti più precisi e di tipo generale rispetto agli schemi di intesa che devono essere sottoscritti tra Governo e ciascuna Regione.

Nella bozza di disegno legge attuativo dell’art. 116, co. 3, presentata il 28 novembre alla Conferenza Stato-Regioni (dalla quale avrebbe ottenuto una approvazione di massima), si introduce un riferimento obbligatorio alle disposizioni della L. n. 42/09 per quello che concerne le modalità di finanziamento delle funzioni differenziate, superando la loro inspiegabile assenza (dando credito alla ipotesi della “secessione dei ricchi”…) negli ultimi schemi di intesa Stato-Regioni. Punto fondamentale di questa cornice diventa la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni (LEP) per una serie di servizi ritenuti indispensabili per il benessere dei cittadini, insieme agli obiettivi di servizio e ai fabbisogni standard, tenendo conto anche della perequazione infrastrutturale (grande dimenticata nell’ultimo decennio). Questi dovranno essere definiti entro un anno dall’approvazione della legge attraverso il lavoro di un Commissario, individuato in un dirigente generale del Ministero delle Finanze, assistito da una struttura di missione composta di funzionari e esperti, che può avvalersi del supporto tecnico della Società Sose S.p.A., dell’Istat (già impegnati da tempo nel lavoro di definizione dei fabbisogni standard di Comuni e Province) e della struttura tecnica di supporto della Conferenza delle Regioni presso il CINSEDO, e che deve operare “in sinergia” con la Commissione tecnica per i fabbisogni standard e con il tavolo tecnico per l’attuazione del D.lgs. n. 68/2015 istituito nel 2019. La bozza poi definisce la procedura per l’approvazione dei decreti che individuano i LEP, i fabbisogni standard e gli obiettivi di servizio con le loro metodologie.

La prima impressione è quella di una organizzazione un po’ ridondante ricondotta ad una regia del MEF al fine di garantire la sostenibilità finanziaria di tutto il processo: non va dimenticato che la definizione dei LEP è comunque condizionata dai vincoli di bilancio. Manca poi un richiamo ai possibili requisiti in termini di capacità amministrativa e solidità finanziaria che le Regioni richiedenti funzioni aggiuntive dovrebbero possedere, esigenza sottolineata in numerose audizioni della Commissione parlamentare per l’attuazione del federalismo fiscale per evitare una “bulimia delle funzioni”, così come non è ancora chiaro quanto siano emendabili dal Parlamento i disegni di legge di approvazione delle intese. Infine, non si capisce bene che cosa succede se entro un anno non si sia completata la definizione dei fabbisogni standard per i LEP: si passa ad una ripartizione basata solo sulla spesa storica? Insomma, si potrà tornare in maniera più approfondita su tutti i contenuti della bozza solo quando sarà ufficializzata dal Consiglio dei ministri nella sua versione definitiva, che dovrebbe tradursi in un disegno di legge collegato al bilancio.

In conclusione, il dibattito in materia di regionalismo asimmetrico alla fine potrebbe avere avuto il non indifferente merito di riavviare il processo attuativo del federalismo fiscale nel nostro Paese. A questo punto però siamo di fronte ad una alternativa: o ciò avviene con la specificazione dei LEP e dei relativi costi standard, la fiscalizzazione dei trasferimenti statali residui, l’individuazione dei fabbisogni infrastrutturali, l’applicazione dei modelli perequativi, la stabilizzazione dei tributi regionali e locali – una questione cruciale che nessuno richiama mai nonostante i forti abbattimenti di tributi regionali come l’IRAP –, o si immagina un modello diverso che comunque non sarebbe facilmente definibile in tempi brevi.

Forse, alla scadenza del mezzo secolo di vita delle Regioni a statuto ordinario, per la quale si annunciano già celebrazioni in ordine sparso, qualche riflessione generale a livello istituzionale sullo stato e le prospettive del decentramento politico nel nostro Paese potrebbe facilitare un dibattito che rischia di essere stravolto dalla conflittualità politica di breve periodo. Le due Commissioni bicamerali (sulle questioni regionali e sull’attuazione del federalismo fiscale) potrebbero essere una sede adatta per una iniziativa di questo tipo, con l’auspicio di arrivare a una intesa bipartisan sul percorso da seguire, come avvenne per l’approvazione della L. n. 42/09.  

*Collaboratore del Centro Studi sul Federalismo

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