Alberto Majocchi / 2 settembre 2024
Commento n. 303
Nella presentazione al Parlamento europeo del suo programma per un secondo mandato al governo dell’Unione, avvenuta a Strasburgo il 18 luglio scorso, Ursula von der Leyen non soltanto ha ribadito che la nuova Commissione non arretrerà su scadenze e obiettivi del Green Deal, anche con politiche e strumenti innovativi, nel quadro della autonomia strategica europea, ma ha posto un forte accento sul fatto che si aprirà una nuova era per la difesa e la sicurezza europee. Nei prossimi cinque anni si dovrà costruire un’Unione europea della difesa, con un’Unione che sappia “spendere di più, meglio e insieme”.
In un editoriale sul programma presentato da Ursula von der Leyen, Francesco Giavazzi mette l’accento sull’opportunità di valutare, al di là del contenuto di queste singole proposte, la capacità dell’Unione di garantire un adeguato finanziamento delle misure necessarie per il raggiungimento degli obiettivi indicati nel programma di governo dell’Unione. E sottolinea come “la Banca Centrale europea abbia recentemente stimato che solo per la transizione verde, la digitalizzazione e il rafforzamento della sua difesa militare, l’Ue avrà bisogno di circa 5.400 miliardi di euro di investimenti aggiuntivi nel periodo 2025-2031, cioè quasi 800 miliardi all’anno di nuovi investimenti”. Se si considerano anche i progetti per l’innovazione e la ricerca il totale è dell’ordine di 1000 miliardi l’anno. E conclude sottolineando che “questo programma richiede che venga ripetuta l’esperienza di finanziamento con debito comune iniziata con NextGenerationEU […]. Senza il ricorso a debito comune i progetti di Ursula von der Leyen si rivelerebbero impegni vuoti”.
Le considerazioni di Giavazzi sono corrette e fondamentali per garantire la realizzazione delle linee strategiche del programma della Presidente della Commissione. Ma il problema dell’emissione di debito europeo deve essere valutato non solo dal punto di vista economico, ma anche con riferimento alla sua legittimità, alla luce dei principi enunciati nel Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFEU). E su questo punto esistono, al di là del problema del consenso da parte dei paesi cosiddetti frugali, una serie di posizioni pregiudiziali – spesso accettate come verità assolute –, che in realtà devono essere sottoposte a un vaglio accurato per sottolinearne i limiti, ma anche per evidenziare le potenzialità di attuazione di un finanziamento con debito della produzione di beni pubblici europei a Trattati invariati.
Sul tema della legittimità del finanziamento con debito a livello europeo, un contributo significativo si può trovare in un recente Working Paper di Sebastian Grund e Armin Steinbach, pubblicato dal think tank Bruegel. Il primo elemento di grande rilievo sottolineato nel paper è che se, in base al dettato dell’art. 311, “il bilancio, fatte salve le altre entrate, è finanziato integralmente tramite risorse proprie”, si deve altresì rilevare che, in passato, fra le altre entrate sono state inclusi anche i proventi derivanti dall’emissione di titoli di debito. Una volta consapevoli di questo fatto, un'altra questione da valutare è se il debito dell'Unione possa essere emesso soltanto per importi limitati e per finalità di spesa specifiche, ovvero anche per finanziare il bilancio generale dell’Unione.
Nel paper vengono prese in esame due alternative per finanziare la produzione di beni pubblici europei, in linea con le proposte avanzate nel discorso di von der Leyen: da un lato, ripetere l’esperienza di NGEU, dall’altra considerare il debito come una possibile risorsa propria finalizzata al finanziamento del bilancio europeo. Per quanto riguarda la prima soluzione, essa richiede che venga approvata una nuova versione della Decisione sulle risorse proprie per far fronte al servizio del debito emesso, che deve essere destinato a finanziare un programma di spese predefinito, in quanto le risorse raccolte con l’emissione di debito devono essere considerate, secondo il parere del Servizio legale del Consiglio, come “entrate esterne finalizzate, destinate a finanziare specifiche voci di spesa e definite all’articolo 21 del Regolamento finanziario”.
Dalla formulazione dell’art. 311 del TFEU si ricava anche che “i fondi presi a prestito non devono superare in misura significativa l’ammontare delle risorse proprie”, come chiarito dalla Decisione della Corte Costituzionale Federale tedesca (Bundesverfassungsgericht - BVerfG) del 6 dicembre 2022. Dato questo vincolo, appare difficile che si possano finanziare con questo strumento le enormi spese previste per realizzare la neutralità carbonio e promuovere al contempo una politica efficace di difesa e sicurezza. Ma la stessa decisione del BVerfG ha riaffermato che nel Trattato non esiste una proibizione assoluta di emettere titoli per finanziare il bilancio europeo.
In definitiva, visti i limiti che rendono improponibile una soluzione fondata sui meccanismi adottati per NGEU, Grund e Steinbach arrivano alla conclusione che “l’Unione potrebbe finanziare la produzione di beni pubblici con l’emissione di titoli di debito aggiungendo una nuova categoria di risorse proprie nell’art. 2 della Decisione sulle risorse proprie […]. Questa Decisione dovrà specificare l’ammontare consentito di emissioni e l’Unione dovrà disporre di mezzi adeguati a far fronte annualmente al servizio del debito, il che dovrà essere assicurato da un ammontare sufficiente di risorse proprie (non prese a prestito)”.
Per quanto riguarda, infine, il rispetto della regola del bilancio in equilibrio prevista dall’art. 310(1) TFEU, il suddetto parere del Servizio legale del Consiglio chiarisce che “l’indebitamento da parte dell’Unione sarebbe neutrale dal punto di vista del bilancio qualora il debito risultante fosse accompagnato da un credito che consenta all’Unione di coprire il capitale, gli interessi e i costi associati a tale prestito e se sufficienti attività fossero dedicate a tale scopo”. Ne consegue che nuove risorse proprie dovranno essere garantite per finanziare il servizio del debito, con i problemi legati alle difficoltà del meccanismo previsto dall’art. 311 del Trattato, che prevede l’approvazione all’unanimità in Consiglio e la ratifica secondo le rispettive procedure costituzionali in tutti i paesi membri. Su questo punto dovranno quindi concentrarsi, in tempi politicamente brevi, gli sforzi per una riforma istituzionale; in attesa di una riforma più ampia, le cui linee fondamentali sono state delineate nella Risoluzione sulle proposte del Parlamento europeo per la modifica dei Trattati, approvata il 22 novembre 2023 dall’Assemblea di Strasburgo.
*Professore Emerito di Scienza delle Finanze all’Università di Pavia, membro del Comitato Scientifico del Centro Studi sul Federalismo