Federico Fabbrini
Commento n. 251 - 14 novembre 2022
Il 9 novembre scorso la Commissione europea ha avanzato due importanti proposte per il futuro della governance economica europea. Da un lato, in un’attesa comunicazione, la Commissione ha proposto di riformare le regole fiscali che governano la politica di bilancio degli Stati membri, al fine di semplificare le procedure, aumentare la titolarità nazionale, favorire sia sostenibilità del debito che crescita sostenibile. Dall’altro, la Commissione ha altresì proposto con un atto legislativo che ha ricevuto meno attenzione di istituire un nuovo meccanismo, del valore di 18 miliardi di euro, finalizzato ad assistere l’Ucraina durante il 2023, tramite l’emissione di nuovo debito comune europeo, sul modello del Fondo per la ripresa “Next Generation EU” (NGEU) istituito in risposta alla pandemia di Covid-19.
La prima proposta della Commissione si inserisce nel più ampio processo di riflessione sul funzionamento dell’Unione economica e monetaria (UEM), che era stato avviato nel febbraio 2020, prima della pandemia, e quindi rilanciato nell’ottobre 2021. Nello specifico, la Commissione prende atto che l’architettura dell’UEM – istituita dal Trattato di Maastricht del 1992, ma poi profondamente rivista, specie in risposta alla crisi dell’euro – ha mostrato vari limiti. A tal fine la Commissione propone di semplificare il quadro regolatorio, introducendo un parametro semplice – quello della spesa primaria netta (ovvero al netto della spesa per interessi) – per valutare la sostenibilità delle politiche di bilancio nazionali. In aggiunta, la Commissione propone di rivedere il sistema delle sanzioni per rendere più realisticamente applicabile la procedura per deficit eccessivo.
In particolare, poi, la comunicazione della Commissione per la riforma della governance economica europea fa tesoro della esperienza – fino ad ora molto positiva – del Fondo per la ripresa NGEU, proponendo di introdurre dei piani nazionali specifici e differenziati, finalizzati a favorire un percorso di riduzione del debito nei paesi membri. Tali piani – della durata minima di quattro anni, ma potenzialmente estendibili a sette, se lo Stato membro ritiene di voler inserire anche progetti di riforma e investimento che promuovano una riduzione graduale del debito sul lungo periodo – verrebbero preparati dagli Stati membri stessi, ma vagliati dalla Commissione e in ultima analisi approvati dal Consiglio. Questo schema, che ricalca esattamente il modello dei Piani nazionali di ripresa e resilienza (PNRR) approvati nel quadro del NGEU, aumenterebbe l’ownership di ogni paese, e consentirebbe di avere percorsi credibili di riduzione dei debiti.
Nel complesso, la proposta di riforma della governance economica europea avanzata dalla Commissione costituisce un passo in avanti positivo, che affronta alcune delle più note problematiche delle regole fiscali che sottendono al funzionamento dell’UEM. In particolare, abbandonando l’idea “one size fits all”, la proposta della Commissione porterebbe ad una applicazione “su misura” delle regole fiscali, semplificando le regole, e favorendo gli interessi di lungo termine alla crescita, insieme alle esigenze di tutela della stabilità. Soprattutto, valorizzando la titolarità nazionale, la riforma della governance economica europea uscirebbe dalla logica del bastone – che tradizionalmente ha caratterizzato, con successi limitati, il funzionamento dell’UEM – per abbracciare quella della carota, che è alla base del NGEU.
Tuttavia, la proposta di riforma delle governance dell’UEM presentata dalla Commissione si limita a correggere l’insieme delle regole fiscali che vincolano le politiche di bilancio nazionali. Essa in altri termini opera tuttora nell’ombra dell’asimmetria originaria dell’UEM, ai sensi della quale l’UE non era dotata di una capacità fiscale centrale, ma si limitava a governare secondo una logica ordo-liberale le politiche fiscali nazionali. In quest’ottica è quindi di particolare importanza la seconda proposta della Commissione, relativa all’istituzione di un nuovo strumento macro-finanziario per sostenere la ricostruzione dell’Ucraina, che – pur avendo ricevuto minor attenzione da parte dei media – può costituire una svolta più dirompente per l’UEM.
La proposta di uno strumento finanziario di assistenza per l’Ucraina mira a dotare l’UE di risorse proprie per assistere il governo ucraino nel 2023, con regolari prestiti e sussidi di 1.5 miliardi di euro al mese per un totale di 18 miliardi in un anno. A tal fine, la Commissione propone di farsi attribuire con atto legislativo dal Consiglio un potere di emettere nuovo debito comune, finanziandosi sui mercati dei capitali sulla base della garanzia offerta dal bilancio comunitario. Tali risorse verrebbero poi trasferite al governo ucraino, secondo una logica di condizionalità, basata tra l’altro sul rispetto di target e dei principi dello Stato di diritto. Naturalmente, il modello proposto dalla Commissione è quello del NGEU, che nel 2021 ha consentito alla Commissione di indebitarsi per conto dell’UE fino a 750 miliardi di euro, e quindi di trasferire queste risorse “fresche” agli Stati membri, sia come prestiti che come sussidi.
Come ho spiegato nel mio nuovo libro EU Fiscal Capacity: Legal Integration after Covid-19 and the War in Ukraine, le misure adottate dall’UE in risposta alla pandemia, e in particolare NGEU, hanno finalmente dotato l’UEM di una capacità fiscale, ma l’esplosione della guerra in Ucraina richiede all’UE ora di consolidare tale capacità fiscale rendendola permanente. Da questo punto di vista, la proposta della Commissione europea di creare un nuovo strumento fiscale modellato su NGEU per affrontare la guerra in Ucraina suggerisce che la risposta al Covid-19 può costituire un modello, e non una semplice parentesi. Naturalmente tale prospettiva non è priva di ostacoli, come suggerisce la già annunciata opposizione dell’Ungheria al fondo di assistenza all’Ucraina. D’altro canto, neppure la riforma della governance economica si annuncia semplice, viste le posizioni rigoriste di vari Stati membri del nord Europa. Ma non vi è dubbio che sarà il consolidamento di una capacità fiscale sovranazionale – più che la riforma delle regole che vincolano le politiche di bilancio nazionali – a rafforzare la capacità dell’UE di affrontare le sfide geostrategiche contemporanee.
*Professore ordinario di diritto dell’Unione europea, Dublin City University; visiting professor, Princeton University’