Andrea Cofelice
Commento n. 188 - 17 agosto 2020
Il risultato più importante del Consiglio europeo del 17-21 luglio, nella prospettiva di un rafforzamento della solidarietà tra gli Stati membri e del processo di integrazione, è senza dubbio l’adozione del Next Generation EU, il programma comune di aiuti più ambizioso della storia dell’UE. Ma lo stesso Consiglio europeo segna un altro importante precedente: l’introduzione di un meccanismo che consente di condizionare l’assegnazione di tali fondi (e, in prospettiva, di quelli stanziati dal quadro finanziario pluriennale 2021-2027) al rispetto dello “stato di diritto” a livello nazionale. Sebbene il compromesso finale, funzionale al raggiungimento del consenso in Consiglio europeo, si discosti in parte dalla proposta formulata dalla Commissione nel 2018, rappresenta senz’altro un passo in avanti nella tutela di uno dei valori fondanti e identitari dell’UE, insieme al rispetto di diritti umani e democrazia (artt. 2, 3 e 13 TUE).
Il meccanismo prevede che la Commissione, “in caso di violazioni, presenterà misure che saranno adottate dal Consiglio a maggioranza qualificata. Il Consiglio europeo tornerà rapidamente sulla questione” (punto 23 delle Conclusioni). In altri termini: la Commissione potrà proporre l’adozione di misure commisurate alla gravità delle violazioni dello stato di diritto in un paese membro, tra cui la sospensione o riduzione dei finanziamenti; il Consiglio potrà approvarle a maggioranza qualificata. Si tratta di una prima novità sostanziale: attualmente è richiesta l’unanimità, grazie alla quale Ungheria e Polonia, i due paesi europei che presentano le maggiori criticità in materia, sono riuscite sino ad oggi a bloccare ogni decisione. Infine, il Consiglio europeo dei Capi di stato e di governo potrà riesaminare la questione, ma dovrà raggiungere l’unanimità per modificare una decisione presa a maggioranza dai ministri. In sostanza, per respingere le proposte della Commissione gli Stati avranno bisogno, d’ora in poi, di creare una “minoranza di blocco” a livello ministeriale, o di ottenere l’unanimità dei Capi di stato e di governo: condizioni senz’altro più gravose rispetto a quelle attuali.
Il nuovo meccanismo si aggiunge ai due principali strumenti previsti dal Trattato di Lisbona in caso di (evidente rischio di) violazione dello stato di diritto (rule of law toolbox). Il primo consiste nel ricorso di infrazione che può essere promosso dalla Commissione (o, più raro, da uno Stato membro: artt. 258-260 TFUE). Il secondo è di natura politica e può arrivare alla decisione da parte del Consiglio di sospendere alcuni dei diritti di Stato membro sanciti dai trattati, incluso il diritto di voto in Consiglio (art. 7 TUE). Tuttavia, per le note divisioni interne e la complessa procedurale, il meccanismo dell’art. 7 non è mai stato utilizzato dal Consiglio: al momento sono in corso dei meri “dialoghi preliminari” a seguito delle richieste di attivazione della procedura formulate dalla Commissione (nel 2017), nei confronti della Polonia, e dal Parlamento (nel 2018), nei confronti dell’Ungheria. Al contrario la procedura di infrazione rappresenta una strada più promettente, visto lo score di sentenze adottate dalla Corte di giustizia dell’UE per violazioni dello stato di diritto proprio in Ungheria e Polonia: si veda, da ultimo, l’ordinanza dell’8 aprile scorso con cui la Corte intima alla Polonia di sospendere le misure di controllo disciplinare dei giudici.
C’è da dire che, se fino ai primi mesi del 2020 le preoccupazioni sul rispetto dello stato di diritto nell’UE erano circoscritte soprattutto a Ungheria e Polonia (che, a partire dal 2011, hanno progressivamente adottato una serie di norme e prassi che di fatto limitano l’autonomia delle Corti costituzionali, della magistratura, della stampa e delle organizzazioni di società civile), alcune delle misure introdotte dai governi per far fronte alla pandemia di Covid-19 hanno spinto a livello “pan-europeo” il dibattito su quale sia il limite a cui uno Stato può spingersi nel derogare ai propri obblighi in materia di tutela dei diritti fondamentali in situazioni di emergenza pubblica.
Un principio fondamentale delle norme internazionali sui diritti umani, suffragato da una consolidata giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, stabilisce che eventuali restrizioni debbano essere: regolate dalla legge, proporzionate, necessarie, di durata limitata, nonché soggette a monitoraggio a livello nazionale e internazionale. Tale supervisione è di primaria importanza, poiché i governi mostrano una tendenza ad abusare del proprio margine discrezionale, perseguendo scopi differenti o adottando misure non giustificate dalle esigenze della situazione.
Ancora una volta, l’Ungheria rappresenta un caso limite: i poteri di decretazione esclusivi, ottenuti dal premier Orbán grazie a una legge approvata a larga maggioranza dal Parlamento lo scorso 30 marzo, appaiono in palese contrasto con il rispetto dello stato di diritto. Tuttavia, tendenze volte a comprimere specifici aspetti dello stato di diritto, seppur meno gravi e sistematiche, stanno attraversando anche altri paesi. Tra marzo e maggio, dopo averlo notificato al Consiglio d’Europa, Estonia, Lettonia e Romania hanno derogato alla Convenzione europea dei diritti umani; nei Paesi Bassi, la sezione consultiva del Consiglio di Stato ha pubblicato, in maggio, un //www.raadvanstate.nl/actueel/nieuws/@121106/w04-20-0139-vo/">rapporto in cui indica che le restrizioni ai diritti imposte dalle ordinanze governative non corrispondono strettamente alla base giuridica richiesta dalla Costituzione; il Consiglio costituzionale francese ha adottato due “censure parziali” alla legge che estende lo stato di emergenza sanitaria, in quanto non fornirebbe sufficienti garanzie alle libertà individuali.
In tale contesto, nessuno dei meccanismi previsti dal rule of law toolbox è stato sin qui attivato. Il Consiglio si è mostrato ancora una volta indisponibile a ricorrere al meccanismo dell’art. 7; la stessa Commissione ha solo ventilato la possibilità di ricorrere alla procedura di infrazione nei confronti dell’Ungheria. Ma un nuovo meccanismo potrebbe contribuire a rafforzare l’efficacia della risposta europea. Per settembre è infatti prevista la pubblicazione della prima Relazione annuale sullo stato di diritto da parte della Commissione: si tratta di uno strumento di monitoraggio generalizzato e periodico, rivolto a tutti gli Stati membri, che, incentrandosi al contempo su buone pratiche ed elementi di criticità, offrirà a Commissione e Consiglio una base più solida e obiettiva per attivare l’art. 7 o eventuali procedure di infrazione, depotenziando le accuse di selettività e politicizzazione che minano la legittimità del sistema attuale. Ci si attende che la prima relazione analizzi le misure adottate dai governi per gestire l’emergenza di Covid-19.
Il dibattito sul rispetto dello stato di diritto nell’UE non è confinato al piano istituzionale, ma interessa anche l’opinione pubblica europea. A confermarlo è un sondaggio pubblicato a fine giugno dall’Agenzia dell’UE per i diritti fondamentali: circa 9 intervistati su 10 (su un campione di 35.000 cittadini dei 27 Stati membri) dichiarano che la tutela dei diritti umani e il rispetto dei principi democratici contano, poiché contribuiscono a creare società più giuste. Altri dati sono meno confortanti: quasi 7 europei su 10 ritengono che alcuni traggano un ingiusto vantaggio dalla tutela dei diritti umani; un quarto degli intervistati ritiene che, nei propri paesi d’origine, i giudici solo raramente, se non mai, riescano a sottrarsi all’influenza del governo. A preoccupare è soprattutto l’orientamento dei giovani (tra i 16 e i 29 anni): quasi la metà di loro dichiara di trovare del tutto accettabile il ricorso a forme di corruzione “a bassa intensità” (piccoli doni o favori) per ottenere un servizio pubblico (perfino in ambito sanitario) o accelerare pratiche in sospeso.
Solo garantendo l’attuazione dei principi dello stato di diritto “nella vita reale”, rafforzando al contempo i meccanismi di monitoraggio dell’UE, sarà possibile rispondere in maniera efficace a inquietudini e richieste dei cittadini europei, e proseguire sulla via di una (giusta) integrazione.
*Ricercatore al Centro Studi sul Federalismo (pubblicato il 14 agosto da Europea, la piattaforma dei think tank su Euractiv.it)