Federico Fabbrini
Commento n. 259 - 3 aprile 2023
Nell’aprile 2021 l’allora Presidente del Consiglio Mario Draghi presentava al Parlamento, e contestualmente alla Commissione europea, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) – il programma ideato dall’Italia per dare esecuzione al Fondo per la ripresa Next Generation EU (NGEU) istituito dall’Unione europea (UE) in risposta alla pandemia.
A due anni di distanza, il futuro del PNRR appare sempre più incerto. Sebbene il PNRR italiano sia stato tra i primi ad essere approvati dal Consiglio dell’UE nell’estate 2021, e benché nel primo anno l’Italia abbia raggiunto tutti gli obiettivi previsti dal piano, ottenendo dunque i corrispettivi finanziamenti trimestrali da parte dell’UE, l’avanzare dell’esecuzione del PNRR ha messo in luce una serie crescente di difficoltà. Prova di ciò è, da un lato, il rapporto critico presentato dalla Corte dei Conti nel marzo scorso e, dall’altro, la decisione della Commissione di estendere i termini per la valutazione degli obiettivi della terza rata, al fine di meglio valutare la corretta esecuzione da parte dell’Italia delle riforme ed investimenti ivi previsti.
Non si può tuttavia correre il rischio che il PNRR faccia la fine dei fondi UE di coesione, che l’Italia è stata storicamente incapace di usare appieno (nel dicembre 2020, l’Agenzia per la Coesione certificava che l’assorbimento dei fondi destinati all’Italia nel quadro finanziario pluriennale UE 2014-2020 ammontava ad appena il 42%). Questo non tanto perché si comprometterebbe l’avanzamento dell’integrazione fiscale europea – l’emissione di debito comune nell’UE sembra ormai andare al di là di NGEU, come testimoniato da ultimo dall’approvazione dello Strumento per fornire sostegno all’Ucraina (assistenza macro-finanziaria +) per il 2023. Ma soprattutto perché, visti i fondamentali economici del Paese, questo è uno spreco che non ci si può permettere – peraltro, la BCE condiziona all’esecuzione del PNRR l’attivazione del cd. scudo anti-spread, Transmission Protection Instrument.
Quali sono dunque le opzioni a disposizione dell’Italia per affrontare la situazione e rilanciare il PNRR? La prima opzione è quella di richiedere alla Commissione una revisione del PNRR, come espressamente previsto dall’art. 21 del regolamento istitutivo del Dispositivo per la ripresa e la resilienza (RRF), in caso di “circostanze oggettive”. Tale procedura prevede una valutazione positiva da parte della Commissione e l’approvazione del Consiglio UE. Ad oggi, altri stati membri – Germania e Lussemburgo – hanno ottenuto l’approvazione di modifiche ai propri PNRR. In entrambi questi casi, tuttavia, le modifiche risultavano dal fatto che il massimo ammontare di sussidi spettanti a questi paesi era stato recentemente rivisto al ribasso, in seguito all’aggiornamento previsto nell’estate 2022 dall’art. 11(2) del RRF, a causa del minore impatto della pandemia sulle economie di questi due paesi rispetto a quanto stimato nel 2020. Le stesse condizioni non ricorrono nel caso italiano, quindi una semplice revisione ex art. 21 RRF non sembra ideale, a meno che l’Italia non voglia rinunciare ad una quota dei prestiti NGEU, riducendo quindi anche essa (come Germania e Lussemburgo) la dimensione complessiva del suo PNRR. A differenza di Germania e Lussemburgo, infatti, l’Italia paga un tasso di interesse sul proprio debito superiore a quello dell’UE, quindi finanziarsi tramite NGEU conviene.
Una seconda opzione, spesso ventilata in ambiti governativi, è di ottenere flessibilità nell’applicazione del PNRR. Su pressione specie dell’Italia, il par. 15.b delle conclusioni del Consiglio europeo del febbraio 2023 ha affermato che “i fondi UE esistenti dovrebbero essere impiegati in modo più flessibile e si dovrebbero esaminare opzioni per agevolare l'accesso ai finanziamenti”. Tuttavia, la suddetta statuizione – che peraltro è quanto mai generica – non ha modificato di una virgola il dettato normativo del RRF, che impone rispetto di precisi milestones e targets per ricevere i finanziamenti NGEU. Per ottenere davvero flessibilità ex lege – incluso per estendere i termini ultimi entro cui impiegare i finanziamenti del PNRR oltre al 31 agosto 2026, fissato all’art. 18(4)(i) RRF – è necessario modificare il regolamento RRF. La cosa non è impossibile, ma richiede l’intervento di Parlamento europeo e Consiglio UE, e la costruzione di una coalizione politica, che non è visibile al momento.
Allo stato attuale delle cose, la soluzione più percorribile per l’Italia sembra quindi di fare leva sulla approvazione, nel febbraio scorso, del regolamento istitutivo del RePowerEU che richiede a ciascuno stato membro di presentare alla Commissione – di norma, come indicato nel considerato 30 del regolamento, entro il 27 aprile 2023 – una proposta di modifica del PNRR finalizzata ad integrare in esso dei capitoli dedicati alla transizione ecologica ed energetica. In particolare, ai sensi dell’art. 1(8) RePowerEU, che ha introdotto nel RRF un nuovo art. 21 quater, le misure del capitolo dedicato al piano REPowerEU debbono essere “nuove riforme e investimenti, avviati a partire dal 1° febbraio 2022, o la parte rafforzata delle riforme e degli investimenti inclusi nella decisione di esecuzione del Consiglio già adottata per lo Stato membro interessato.” Detto altrimenti, RePowerEU non dà carta bianca agli stati membri di cambiare a piacimento i loro PNRR. Tuttavia, esso offre una sponda per aggiornare il PNRR: poiché indubbiamente l’aumento dei costi energetici è una delle principali – seppure non la sola – causa delle difficoltà esecutive che l’Italia ha incontrato nell’attuare il PNRR, RePowerEU consentirebbe di rivedere le tempistiche e i costi di alcuni investimenti ivi fissati.
D’altro canto, RePowerEU offre altresì ai paesi membri la possibilità di chiedere fondi addizionali tra i prestiti NGEU non ancora utilizzati, e di dirottare verso il PNRR il 7,5% dei fondi di coesione (o le risorse della Riserva di aggiustamento a Brexit). In aggiunta, RePowerEU mette a disposizione un ulteriore ammontare di 20 miliardi di euro in sussidi, provenienti dalla messa all’asta di quote del sistema di scambio di emissioni (Emission Trading System). Quello che invece RePowerEU non può fare è di aumentare la capacità esecutiva della pubblica amministrazione italiana. Sebbene a livello UE esistano degli strumenti per aiutare i paesi con difficoltà nel gestire piani di finanziamento europei – come lo Strumento di sostegno tecnico creato nel 2021 per assistere le autorità nazionali nel “preparare, modificare, attuare e rivedere i [PNRR]”, ex art. 4(b) del regolamento istitutivo – è evidente che un moderno stato membro dell’UE richiede una pubblica amministrazione efficiente e efficace nell’eseguire riforme e investimenti.
Pertanto, in ultima analisi, le difficoltà amministrative nella messa a terra del PNRR – che vari analisti ed io avevamo anticipato essere una significativa sfida per il successo del programma – non dovrebbero essere schivate dal Governo in carica invocando flessibilità o dilazionando i tempi (dither and delay). Al contrario, è tempo che l’Italia vada a fondo del problema e risolva in modo strutturale la questione della sua amministrazione. Da questo punto di vista, le attuali difficoltà dovrebbero aumentare la determinazione a riformare la cultura amministrativa del Paese, e il PNRR rimane ancora un’occasione unica per rendere l’Italia più moderna.
* Professore ordinario di diritto dell’UE, Dublin City University, e Visiting Professor, Princeton University