Roberto Palea
Commento n. 226 - 23 agosto 2021
Il 9 agosto scorso è stato pubblicato il Rapporto dell’IPCC (Comitato intergovernativo dell’ONU sul cambiamento climatico), aggiornato al 2020, in cui gli scienziati del panel illustrano analiticamente – in 4.000 pagine, redatto sulla base di 14.000 studi, di esperti di 195 Paesi – le conseguenze sul clima, nelle differenti aree geografiche nel mondo, causate dalle immissioni nell’atmosfera di CO2 e degli altri gas a effetto serra, derivanti dall’attività umana (che si cumulano allo stock di gas già esistenti e che persisteranno nell’atmosfera per centinaia o migliaia di anni).
L’IPCC illustra poi i differenti scenari che si potrebbero verificare qualora non si riesca a contenere, entro 10/20 anni, l’aumento della temperatura media terrestre entro i 1,5°C, rispetto all’era preindustriale, come è stato pattuito nell’Accordo di Parigi del 2015, ratificato ed entrato in vigore tra 196 Stati, tra cui tutti i principali inquinatori compresi, oltre all’Unione Europea (UE), gli Stati Uniti, la Russia, la Corea del Sud, l’India e la Cina (che, però ottenne di dilazionare dal 2050 al 2060 l’obbiettivo di azzeramento delle emissioni climalteranti).
L’IPCC avverte che il riscaldamento del clima si sta producendo in modo molto più rapido del passato, tanto è che la temperatura media globale è già aumentata di 1,09°C rispetto all’era preindustriale. Le conseguenze sono ben peggiori di quanto previsto nei precedenti Rapporti: le aree a rischio di incendi sono aumentate del 75% dall’anno 2000; le calotte glaciali perdono 8 miliardi di tonnellate d’acqua al giorno, con conseguente accelerazione dell’innalzamento del livello dei mari; in molti Paesi la temperatura ha raggiunto livelli superiori ai 35°C lambendo i 50°C, tanto in Marocco quanto in Canada, per periodi prolungati; tifoni ed uragani sempre più violenti hanno colpito non solo le Regioni del Nord, ma anche quelle del Sud e dell’Est del mondo, sovente seguiti da severe siccità; la desertificazione aumenta in Africa ed in alcune zone del Sud-Est asiatico.
Anche se tutti gli attuali impegni dei Governi a ridurre le proprie emissioni (Nationally Determined Contributions - NDC) fossero confermati ed attuati, il riscaldamento globale verrebbe contenuto, per il 2030/2040, solo entro 2,1°C, causando così periodi di caldo estremo sempre più prolungati, una nuova accelerazione sia dello scioglimento dei ghiacciai e dell’aumento dei mari sia della frequenza e dell’intensità degli “eventi estremi”, con conseguenti migrazioni di massa.
Antonio Guterres, Segretario Generale dell’ONU non ha torto nel dichiarare che il nuovo Rapporto dell’IPCC rappresenta un “allarme rosso” per l’umanità.
Ancora una volta va dato atto all’UE e alla sua Commissione di avere continuato a mantenere fede agli Accordi sottoscritti a Parigi (tramite lo European Green Deal e il Next Generation EU), aumentando l’obbiettivo di decarbonizzazione dell’UE dal 40 al 55% entro il 2030, assumendo un ruolo di leadership mondiale, internazionalmente riconosciuto, nel contrasto al riscaldamento climatico.
È stato così possibile sottoscrivere un importante Accordo tra l’UE e gli Stati Uniti rappresentati dal Presidente Biden, per una ritrovata intesa transatlantica in vista di impegni multilaterali ed obbiettivi ESG (Environmental, Social, Governance) condivisi.
A tale Accordo può ascriversi l’Ordine esecutivo di Biden sulla produzione e vendita, entro il 2030, di automezzi elettrici, ad idrogeno o ibridi, con investimenti per 1000 miliardi di dollari, nonché la presentazione al Senato di un Piano Anti-povertà da 3.500 miliardi di dollari, per sostenere programmi sociali ed ambientali, con aumenti di spese e sgravi fiscali.
La funzione di traino dell’UE si è manifestata non solo nei confronti di altri Stati ma anche nei confronti di imprese private, fondazioni private e pubbliche, ONG indipendenti, che hanno dichiarato la loro volontà di impegnarsi per raggiungere la neutralità climatica entro il 2050.
Dopo il nuovo Rapporto dell’IPCC e le sue allarmanti affermazioni circa le sorti dell’umanità, ritengo che siano considerevolmente aumentate le responsabilità dell’UE nei confronti del mondo. Pertanto, possiamo chiederle di “alzare ulteriormente il tiro” per mantenere il suo ruolo di guida nel contrasto del cambiamento climatico.
Dobbiamo pretendere dall’Unione Europea di:
- applicare un coerente carbon pricing all’interno dell’UE e nei rapporti con il resto del mondo;
- incrementare la produzione di energie rinnovabili non solo sul territorio europeo ma anche in Africa, con idonei Accordi internazionali;
- convenire con l’Unione Africana la produzione di idrogeno green mediante l’energia fotovoltaica, nei Paesi della costa Sud-orientale dell’Africa, da trasportare poi sul territorio europeo, utilizzando i gasdotti già esistenti tra le due sponde del Mediterraneo;
- accelerare l’attuazione di misure incisive in settori in cui si registra un notevole ritardo, quali il trasporto e la mobilità elettrica o a idrogeno (auto elettrica, mezzi pubblici elettrici o a idrogeno) e la riconversione green del patrimonio immobiliare, privato e pubblico (coibentazione degli edifici, utilizzazione dei tetti per la produzione fotovoltaica, elettrificazione e digitalizzazione di tutte le utenze).
È infine giunta l’ora di spendere il largo credito dell’UE per stipulare un nuovo Patto tra i principali Stati inquinatori disponibili – coinvolgendo, eventualmente, le imprese private, le fondazioni private e pubbliche nonché le ONG – per dare vita a quella istituzione multilaterale, sovraordinata agli Stati, nel settore dell’energia e dell’ambiente, rivendicata da decenni dai federalisti. La “Organizzazione mondiale per l’energia e l’ambiente”, retta da un’Alta Autorità indipendente (secondo il modello della CECA nel processo di unificazione europea), opererebbe sotto il controllo dell’ONU, con il compito di gestire nell’interesse dell’umanità i complessi equilibri climatici ed ambientali, in continua evoluzione.
La nuova Organizzazione dovrebbe, innanzitutto, dotare di 100 miliardi di dollari il già costituito ed esistente Green Fund, e proporre di generalizzare il carbon pricing a livello globale, almeno tra i Paesi che ci stanno.
Insomma, l’iniziativa multilaterale dell’UE deve raccogliere la sfida dell’IPCC con l’obbiettivo di stabilizzare il clima del Pianeta, nel modo migliore possibile, mantenendolo vivibile per la specie umana.
*Già Presidente del Centro Studi sul Federalismo, membro dell’EAERE - European Association of Environmental and Resource Economists