Andrea Cofelice
Commento n. 183 - 25 giugno 2020
All’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC) si è aperta la partita per la nomina del nuovo Direttore generale, a seguito delle dimissioni del brasiliano Roberto Azevêdo annunciate per il prossimo 31 agosto. Le diplomazie degli Stati membri europei sono all’opera per presentare un candidato unico al Consiglio generale dell’OMC: l’attuale Commissario europeo al commercio, Phil Hogan, sta valutando la possibilità di presentare la propria candidatura. Una regola non scritta prevede un’alternanza tra un Direttore generale espresso da un “Paese in via di sviluppo” e uno da una “economia pianamente industrializzata”. Ma una forte pressione diplomatica spinge per avere per la prima volta un leader africano a capo dell’OMC.
Indipendentemente dal nome scelto, il nuovo Direttore generale avrà tre temi in cima alla sua agenda di lavoro: riforma dell’Organizzazione; necessità di far fronte al protezionismo dilagante, esacerbato dalla pandemia di Covid-19; gestione e mediazione delle crescenti tensioni tra USA e Cina. Solo affrontando queste tre priorità sarà infatti possibile rimettere in moto il motore dell’OMC, attualmente in panne.
La crisi della funzione normativa dell'Organizzazione è coincisa con l’avvio, nel 2001, dei negoziati denominati Doha Round, che avrebbero dovuto ampliare la portata dei settori coperti dalle liberalizzazioni (che attualmente riguardano lo scambio di beni, il commercio di servizi, e la tutela dei diritti di proprietà intellettuale). Tuttavia, soprattutto in tema di agricoltura e di accesso al mercato dei prodotti non agricoli – due questioni sensibili, soggette a robuste misure di protezione da parte dei governi – si è fin da subito registrata una polarizzazione tra l’agenda dei paesi in via di sviluppo e le istanze delle maggiori economie industrializzate (su tutte UE e USA), che ha causato un immediato stallo dei negoziati. Con il fallimento del Doha Round, le più recenti decisioni sulle regole che governano il commercio internazionale sono state assunte al di fuori dell’ombrello dell’OMC, nell’ambito di accordi preferenziali bilaterali, regionali o trans-regionali (si pensi ai progetti di partenariato trans-atlantico o trans-pacifico). Tale processo ha determinato il frazionamento della disciplina del commercio internazionale e una crescente marginalizzazione dell’OMC.
Di conseguenza, negli ultimi anni l’Organizzazione ha spostato il centro di gravità della propria azione verso la funzione giurisdizionale. In ambito OMC ciascuno stato può rivolgersi ad un Organismo di risoluzione delle controversie, strutturato in una camera di primo grado (c.d. panel) e in un organo di appello, che emettono decisioni vincolanti per gli Stati. Tuttavia, anche questo meccanismo, considerato uno dei massimi successi dell’Organizzazione, è stato di recente messo in discussione dai membri più influenti dell’OMC. Gli Stati Uniti, in particolare, dopo aver iniziato ad ignorare una serie di decisioni sfavorevoli, dal 2016 stanno bloccando la nomina di nuovi giudici all’organo di appello, dal dicembre scorso ridotto ad un solo membro (rispetto ai sette previsti), paralizzandone l’attività e determinando la cessazione delle sue funzioni.
Tra i motivi di fondo di questa crisi vi è l’incapacità dell’OMC di adattare obiettivi e procedure ai cambiamenti dell’economia globale. Negli ultimi vent’anni, la struttura stessa del commercio internazionale è profondamente mutata, con l’affermazione di nuovi attori globali (i BRICS), portatori di una propria agenda e di istanze nuove. Tale incapacità è anche la spia del fallimento del modello decisorio che caratterizza l’OMC (e non solo), basato sul consenso unanime tra gli Stati membri, da un lato si è dimostrato rigido e inadatto ad accogliere le trasformazioni del sistema internazionale; dall’altro ha consegnato nelle mani di un solo Stato (per quanto influente) le sorti del meccanismo di risoluzione delle controversie.
Senza dubbio i principali attacchi al multilateralismo e alla credibilità dell’OMC (così come di altre istituzioni internazionali) provengono oggi dalla presidenza Trump che, sconfessando il tradizionale sostegno USA alla promozione del libero mercato, ha fin da subito attuato una politica di generale disimpegno dai principali trattati internazionali (non solo in ambito commerciale), nonché un’ampia offensiva diplomatica nei confronti dell’OMC, accusata di consentire alla Cina l’adozione di politiche commerciali scorrette.
Al contrario, l’UE è rimasta una convinta sostenitrice del sistema commerciale multilaterale. Innanzitutto perché condivide con l’OMC, pur su scala diversa, principi e finalità: su tutti, regolamentazione del mercato e rimozione delle barriere commerciali. Ma anche perché intende perseguire un preciso obiettivo di politica estera: un’economia europea fortemente integrata nelle catene di valore globali ha bisogno di un sistema commerciale coerente, prevedibile e basato sul diritto. Tale sostegno si è concretizzato in una strategia di modernizzazione dell’OMC, delineata in un concept paper pubblicato dalla Commissione nel 2018.
Il pacchetto di riforme proposto dall’UE prevede di ricalibrare l’agenda dell’OMC, da un lato spostando l’attenzione dall’eliminazione delle barriere tariffarie – sempre meno rilevanti – alla regolamentazione del mercato internazionale (tra cui sussidi, trasferimento forzato di tecnologia e trattamento discriminatorio degli investitori stranieri); dall’altro, rendendola compatibile con il perseguimento degli SDGs delle Nazioni Unite (al momento, l’unica questione relativa agli SDGs negoziata in ambito OMC riguarda l’eliminazione dei sussidi più dannosi alla pesca). Sul piano procedurale, pur non mettendo esplicitamente in discussione la regola del consenso, l’UE sottolinea la necessità di individuare approcci innovativi proponendo, qualora l’unanimità non sia possibile, un modello “a geometrie variabili”, in cui gruppi di Stati interessati possano pervenire ad accordi specifici o settoriali sotto l’egida dell’OMC (negoziati plurilaterali).
In relazione alla funzione giurisdizionale, un risultato concreto è stato già raggiunto lo scorso aprile, quando su impulso di UE, Canada e Norvegia un gruppo di Stati (fra i quali Cina e Brasile) ha dato vita ad un organo temporaneo di appello, per assicurare che i membri dell’OMC continuino a beneficiare di un secondo grado di giudizio indipendente ed imparziale. Inoltre, già nel 2019 l’UE aveva depositato presso la Commissione delle Nazioni Unite per il diritto commerciale internazionale (UNCITRAL) la proposta di istituire una corte internazionale permanente, sul modello dell’OMC, per risolvere le controversie tra Stati e investitori privati, attualmente affidate ad una miriade di collegi arbitrali.
L’auspicio è che la carica progettuale dimostrata dall’UE possa conseguire a breve ulteriori risultati: la Commissione von der Leyen, nel suo “Programma di lavoro 2020” adottato nel gennaio scorso, ha indicato che intende “avviare un’ampia iniziativa sulla riforma dell’OMC dopo la prossima conferenza ministeriale dell’OMC” (prevista per giugno 2020, ma rinviata a causa della pandemia di Covid-19), con l’obiettivo di raggiungere un accordo globale. Solo il rilancio del modello multilaterale può scongiurare il ritorno a relazioni commerciali internazionali determinate da meri rapporti di forza e convenienza.
*Ricercatore al Centro Studi sul Federalismo (la versione integrale è stata pubblicata ieri da Europea, la piattaforma dei think tank su Euractiv.it)