Antonia Battaglia
Commento n. 137 - 12 dicembre 2018
Il Consiglio Europeo del 13 e 14 dicembre prossimi è un punto di arrivo cruciale per le discussioni sul Quadro Finanziario Pluriennale 2021-2027dell’Unione (QFP) e per questioni cruciali quali la rimozione delle barriere ancora presenti all’interno del Mercato Unico dell’Unione, la migrazione – con la implementazione dell’agenda di lavoro dalle conclusioni dei Consigli di giugno e ottobre –, il cambiamento climatico e la conferenza COP24 di Katowice, le iniziative in materia di politica comune di difesa.
L’evento non prevedeva discussioni sulla Brexit, ma gli eventi politici più recenti nel Regno Unito e la grande agitazione interna culminata con l’annullamento del voto sull’accordo Brexit (“Withdrawal Agreement”) alla House of Commons, previsto per l’11 dicembre, hanno reso necessaria la sua inclusione da parte del Presidente del Consiglio Tusk nell’ordine del giorno. La volontà è quella di non riaprire i negoziati, ma di discutere in merito alle azioni da intraprendere su come facilitare la ratifica dell’accordo nel Regno Unito.
Dal “nuovo” Consiglio Europeo su Brexit difficilmente potrà venire fuori qualcosa di più di una rinnovata garanzia da parte delle Istituzioni Europee al Premier May della massima lealtà nella conduzione e conclusione degli accordi futuri ancora da negoziare (sulla “future relationship”) e la conferma della massima comprensione per la difficoltà davanti alla quale il governo britannico si trova. Punto critico è il cosiddetto “backstop”, quella zona in prossimità del confine tra Irlanda del Nord (Regno Unito) e Repubblica di Irlanda (UE), che, nel caso di mancato accordo per il futuro, verrebbe regolata in base ad un regime diverso in materia di controlli doganali. Il backstop entrerebbe in vigore solo nel caso in cui un ulteriore accordo, con le dovute garanzie tecnologiche di supporto, non fosse realizzabile. Qualora il backstop dovesse essere applicato, i controlli sarebbero spostati nel mar di Irlanda.
Ogni differenza regolatoria tra il Nord Irlanda e il Regno Unito “mainland” è vissuta come pericolosa non solo per l’economia ma anche lesiva dell’unità e della sovranità nazionali. Il compromesso raggiunto il 14 novembre scorso, dopo mesi di impasse, dalla Commissione Europea e dal governo del Regno Unito non ha incontrato il favore della maggior parte dei parlamentari e dei membri del Gabinetto May. Restano per ora ferme e contrarie alla riapertura dei negoziati le posizioni di Consiglio e Commissione, rese pubbliche anche durante il dibattito parlamentare europeo a Strasburgo in data 11 dicembre 2018.
Dopo il punto su Brexit il consueto scambio con il Presidente del Parlamento Europeo Tajani, il Consiglio si occuperà del dibattito sul QFP 2021-2027, sulla base del rapporto preparato dalla Presidenza austriaca dell’Unione, di cui questo in agenda rappresenta l’ultimo appuntamento del semestre.
La comunicazione della Commissione Europea in merito al budget, del 4 dicembre scorso, sottolinea l’importanza che un accordo sia raggiunto durante la scadenza attuale, al fine di poter avanzare su una proposta finale concreta da presentare al Summit di Sibiu nel maggio del 2019, per poter arrivare alla firma di un accordo politico al Consiglio Europeo di ottobre 2019. La priorità politica della Commissione è infatti rappresentata dall’approvazione della proposta, a garanzia e conferma dell’impegno deli Stati Membri per le priorità politiche sottoscritte. La Germania, la Francia e i paesi del gruppo Visegrád sostegono un avanzamento celere nella chiusura della proposta di budget, affinché la prossima presidenza dell’Unione, che spetterà alla Romania, possa confermare i risultati ottenuti ma non debba negoziare le diverse voci e posizioni. L’Italia, invece, nelle parole del Presidente del Consiglio Conte alla Camera, non punta sulla tempistica ma sulla qualità del negoziato, affinché maggiore attenzione venga dedicata a voci che costituiscono delle priorità nazionali come la migrazione, le spese per la sicurezza, gli investimenti, la ricerca, i fondi di coesione e la politica agricola.
Il Consiglio tratterà anche di relazioni esterne, ed in particolare delle sanzioni economiche alla Russia e della tesa situazione nel Mare di Azov, con una informativa della Cancelliera Merkel e del Presidente Macron sullo stato di attuazione degli accordi di Minsk, in vista della decisione prevista per gennaio 2019 sul rinnovo delle sanzioni semestrali nei confronti della Russia.
La preparazione del Summit tra l’Unione Europea e la Lega Araba del 24 e 25 febbraio prossimi costituisce un altro punto di discussione importante in agenda, dove l’Italia intende giocare un ruolo di primo piano quale interlocutore privilegiato, data non solo la sua posizione geostrategica ma anche il coinvolgimento diretto nella gestione delle sfide che toccano il Paese e ruotano intorno alla sua posizione nel Mediterraneo.
Per quanto riguarda il tema migrazione, dove la situazione degli arrivi in tutta l’Unione è scesa a livelli pre-crisi, a causa del controllo delle frontiere e della cooperazione tra paesi di origine e di transito/arrivo, l’accento sarà posto sui negoziati per l’Asylum Agency e la European Border and Coast Guard, in linea con le conclusioni degli ultimi due Consigli e con l’atteggiamento di diversi Stati Membri che sembrano aprirsi alla proposta di riforma dei meccanismi di asilo e sui ritorni. Le questioni umanitarie però non sembrano essere all’ordine del giorno delle discussioni, mentre il Primo ministro Conte ha parlato, sempre alla Camera, della necessità di un’accresciuta cooperazione con i paesi di origine dei migranti, di sostegno di impulso alla crescita, e dell’impegno italiano per la riforma del regolamento di Dublino.
L’Italia arriva a Bruxelles ancora nel pieno del confronto con la Commissione Europea sulla legge di bilancio. I punti chiave dell’intervento italiano al prossimo Consiglio Europeo appaiono centrati da una parte sulla ricerca di consenso e di supporto per quello che ormai sembra l’inevitabile preannunciato sforamento ai parametri e alle regole europee (con conseguente procedura di infrazione) e dall’altro sulla costruzione di un ruolo di equilibrio serio e rigoroso nel dibattito sul QFP.
La Germania si presenta a Bruxelles con una Cancelliera Merkel ormai in uscita, mentre il Presidente francese Macron arriva indebolito dai gravi problemi di ordine sociale generati dalla rivolta dei “gilets jaunes”. Se l’Italia saprà evitare scontri autolesionistici e fare propria una strategia propositiva, all’altezza delle numerose sfide che l’Ue ha di fronte, se ne gioverà, a medio termine, anche il suo ruolo quale possibile mediatore fra le posizioni europee nel Mediterraneo e attore privilegiato con i Paesi della Lega Araba, ma anche nello sbloccare la discussione sula questione migrazione e sulle modifiche al Trattato di Dublino.
* Responsabile dell’Ufficio di Bruxelles del Centro Studi sul Federalismo