Andrea Cofelice
Commento n. 170 - 18 marzo 2020
L’entrata in vigore (maggio 2019) del Trattato che istituisce l’Area continentale africana di libero scambio (in inglese: AfCFTA) è stata celebrata come una pietra miliare nella lunga marcia di integrazione africana. Ad oggi, l’accordo risulta firmato da 54 dei 55 membri dell’Unione Africana (con la sola eccezione dell’Eritrea) e ratificato da 29 Stati, tra cui Sudafrica ed Egitto.
L’area di libero scambio, tuttavia, non è ancora pienamente funzionante. Il Trattato ne stabilisce solo la cornice normativa: sono in corso ulteriori negoziati sulle specifiche modalità operative, il cui esito determinerà la misura in cui l’AfCFTA sarà effettivamente in grado di ridurre gli ostacoli allo sviluppo degli scambi intra-africani. Tali trattative, avviate nel luglio 2019 dalla 12° sessione straordinaria dell’Assemblea dei Capi di Stato e di Governo dell’Unione Africana (UA), sono state sin qui condotte sulla base di tre principi guida: sequenzialità, reciprocità e geometrie variabili.
Per l’ampia portata delle materie considerate, il negoziato è stato segmentato in tre distinte fasi, secondo una roadmap piuttosto stringente. La prima fase riguarda la liberalizzazione degli scambi di merci e servizi. L’obiettivo è quello di trovare un accordo, entro maggio 2020, sui requisiti minimi di funzionamento dell’AfCFTA, ovvero concessioni tariffarie preferenziali, rimozione delle barriere non-tariffarie, regole d’origine e meccanismo di risoluzione delle controversie, al fine di avviare i commerci in regime di libero scambio a partire dal 1° luglio 2020. La seconda fase del negoziato, che dovrà concludersi entro fine anno, verterà su investimenti, politiche di concorrenza e diritti di proprietà intellettuale: un’innovazione assoluta per il continente, dal momento che nessuna delle comunità economiche regionali africane (REC) esistenti contempla tutti questi elementi. Infine, nel gennaio 2021 prenderà avvio la terza e ultima fase, incentrata sullo sviluppo dell’e-commerce in Africa.
Per quel che riguarda la prima fase del negoziato, ad oggi è stato raggiunto un accordo completo unicamente sul meccanismo di risoluzione delle controversie, la cui struttura è ispirata al modello dell’Organizzazione mondiale del commercio (rimando a un lavoro precedente per un’analisi di tale meccanismo). Progressi sono stati compiuti in tema di: rimozione delle barriere non-tariffarie (con il lancio del meccanismo online dell’AfCFTA per la segnalazione, il monitoraggio e l’eliminazione delle barriere non-tariffarie); creazione del Sistema di pagamento e regolamento pan-africano, che rappresenta il primo sistema di pagamento digitale a livello continentale concepito per facilitare i pagamenti di beni e servizi nelle valute locali; predisposizione del Fondo di aggiustamento dell’AfCFTA, il cui statuto e piano di mobilitazione delle risorse dovrà essere adottato entro febbraio 2021, in modo tale da consentire a quei paesi di fatto dipendenti dalle attuali tariffe commerciali di adeguare il proprio sistema economico e fiscale all’AfCFTA.
Lo scorso mese di febbraio, inoltre, è stato eletto il primo Segretario generale dell’AfCFTA, al termine di una competizione serrata (e rivelatrice di future dinamiche politiche?) tra le due principali economie del continente: Sudafrica e Nigeria. Si tratta del sudafricano Wamkele Mene, che assumerà la carica dal prossimo aprile.
Al contrario, le trattative sulle concessioni tariffarie per lo scambio di merci, l’elenco degli impegni in materia di servizi e le regole d’origine sono rese particolarmente complesse dall’enorme disomogeneità che caratterizza il continente, in termini di tasso di sviluppo economico degli Stati e di livello di integrazione delle singole REC.
L’AfCFTA è caratterizzata dalla più ampia disparità di reddito rispetto a qualsiasi altro accordo commerciale continentale (più del doppio, ad esempio, dei livelli osservati in ASEAN e CARICOM): 32 dei 55 potenziali partecipanti appartengono al gruppo dei “paesi meno sviluppati”, mentre Sudafrica, Nigeria ed Egitto producono da sole circa il 50% del PIL cumulativo africano. In generale, si è deciso di affrontare tali disparità economiche attraverso la predisposizione di “trattamenti speciali e differenziali” per i paesi meno sviluppati (c.d. geometrie variabili). Gli Stati aderenti hanno innanzitutto deciso di eliminare le tariffe sul 90% delle categorie di prodotti. Il periodo di tempo concordato per raggiungere questo livello è di 10 anni per i paesi meno sviluppati e di 5 per gli altri, a partire dal luglio 2021. Il rimanente 10% sarà suddiviso tra “prodotti sensibili” (7%) e “prodotti esclusi” (3%). In quanto ai primi, i paesi meno sviluppati sono chiamati ad una graduale eliminazione delle tariffe nell’arco di 13 anni (potendole mantenere inalterate durante i primi 5 anni); periodo ridotto a 10 anni per gli altri Stati. Non è stato invece ancora deciso quali beni possano rientrare in una delle precedenti categorie.
Il negoziato è ulteriormente complicato dalla presenza (e sovrapposizione) di numerosi accordi di cooperazione economica e monetaria a livello sub-regionale. Così, i paesi appartenenti alle tre unioni doganali operanti nel continente (Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale - ECOWAS, Comunità dell’Africa orientale - EAC, Unione doganale dell’Africa meridionale - SACU), avendo stabilito un tariffa doganale esterna comune, stanno presentando le rispettive richieste/offerte in blocco. Per il resto, i negoziati stanno avvenendo prevalentemente all’interno di ciascuna REC, con il risultato che essi risultano più dinamici (e quasi conclusi) in quelle regioni già impegnate in una politica commerciale aperta (è il caso, ad esempio, della Comunità di sviluppo dell’Africa meridionale - SADC), mentre procedono molto a rilento in quelle aree in cui la liberalizzazione del commercio è storicamente limitata (come nell’Unione del Maghreb Arabo - UMA). Se da un lato tale dinamica è funzionale al mantenimento e rafforzamento dell’acquis delle singole REC, dall’altro essa rischia di generare un mosaico frammentato di diritti e obblighi differenti in capo a Stati e comunità regionali, tale da indebolire il carattere unitario dell’AfCFTA.
Sono tre, in ultima istanza, le condizioni principali che determineranno il successo dell’accordo: capacità di armonizzare l’eterogeneità africana, in termini di sviluppo economico, industriale e infrastrutturale nell’ambito di un unico accordo continentale; capacità di mitigare e compensare le eventuali perdite subite da quei paesi (e produttori) che, nel breve termine, potrebbero subire perdite nette per le conseguenze non intenzionali della liberalizzazione degli scambi; volontà politica dei leader africani di realizzare compromessi e trade-off per allineare l’agenda domestica agli obiettivi di integrazione regionale, con la necessaria cessione di quote di sovranità nazionale nel processo decisionale.
La rapidità con cui il Trattato istitutivo dell’AfCFTA è stato elaborato e ratificato dimostra che tale cambiamento positivo è possibile: i paesi africani hanno già fatto numerose concessioni per consentire l’entrata in vigore dell’accordo; molte altre dovranno essere realizzate per garantirne l’operatività. Il superamento di queste sfide – e di quella, nuova e molto inquietante, che potrebbe venire dall’emergenza coronavirus – consentirà di preservare il potenziale trasformativo (game-changer) dell’AfCFTA per il continente africano, e contribuirà al rafforzamento dell’integrazione regionale e al raggiungimento degli obiettivi di sviluppo umano contenuti nell’Agenda 2063 e negli SDGs promossi dalle Nazioni Unite.
*Andrea Cofelice è Ricercatore al Centro Studi sul Federalismo (dello stesso autore il CSF ha in corso di pubblicazione il Policy Paper “Verso l’Area Africana di Libero Scambio: lo stato dei negoziati”)