Mattia Giampaolo
Commento n. 160 - 15 novembre 2019
A otto anni dalla caduta del regime di Mu’ammar Gheddafi, la Libia sembra essere diventata uno scenario molto simile a quello siriano. L’intervento NATO, sponsorizzato da Gran Bretagna e Francia e, solo successivamente, appoggiato dall’Italia, oltre ad essere privo di una strategia per il futuro del paese, ha dimostrato l’incapacità dell’Europa di mettere in campo una strategia unitaria a lungo termine e di limitare l’azione dei singoli stati membri all’interno della crisi. La difesa degli interessi nazionali di Italia (energia e migrazione) e Francia (terrorismo ed equilibri regionali, soprattutto nel Sahel) hanno limitato il peso europeo che, con l’acuirsi della crisi nell’ultimo anno, avrebbe potuto giocare un ruolo più decisivo con gli attori sul campo.
Nonostante l’Unione Europea si sia dotata di una politica comune di difesa e sicurezza (Common Security Defense Policy) per far fronte alle crisi internazionali – soprattutto alle porte dei confini europei –, la stessa Unione, secondo alcuni osservatori, ha preferito distaccarsi dalla crisi libica, lasciando libertà d’azione ai singoli paesi. La debolezza della politica estera europea risiede non solo nell’azione indipendente dei singoli stati, ma nella struttura stessa dell’Unione. L’Europa, come molti affermano, è molto di più di una confederazione di stati, tuttavia, al contrario degli Stati Uniti, non possiede ancora un’agenda unitaria per la politica estera.
Lo scetticismo iniziale italiano sull’intervento NATO e l’astensione della Germania al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite sull’intervento in Libia dimostrano come sin dalle fasi iniziali del conflitto, a livello europeo, fosse presente una profonda spaccatura. Lo sviluppo del conflitto sul campo nel post-2011 ha prodotto, soprattutto dopo l’ascesa del generale Haftar e l’intervento delle potenze regionali e internazionali, una forte polarizzazione politica del paese. L’intervento delle Nazioni Unite, nel tentativo di avviare la ricostruzione dello stato libico con la costituzione del Governo di Accordo Nazionale (ora con base a Tripoli), ha di fatto prodotto una spaccatura all’interno del paese dopo che il parlamento di Tobruk – nell’est del paese – non ha riconosciuto l’autorità del nuovo governo.
All’interno di questo contesto, l’Europa seppur appoggiando formalmente l’iniziativa dell’ONU si è ritrovata a far fronte ad una sempre più acuta crisi tra i due stati membri più attivi nel conflitto: Francia e Italia. Le iniziative portate avanti dai singoli paesi per la risoluzione della crisi e la riunificazione politica ed istituzionale del paese, oltre a non produrre i risultati sperati, sono state influenzate dalla salvaguardia degli interessi dei singoli paesi promotori.
L’incontro franco-libico del maggio 2018 e il vertice italiano di Palermo nel novembre dello stesso anno dimostrano quanto le soluzioni della crisi libica messe sul tavolo dai due paesi manchino di una prospettiva condivisa di lungo termine e la debolezza nell’agire come singoli paesi. Da un lato, la soluzione francese, che cercava di risolvere la crisi attraverso le elezioni politiche – non tenendo conto tuttavia del mosaico politico-sociale libico – risultava agli occhi di molti fragile e poco duratura. Dall’altro, la soluzione italiana, che mirava ad un processo di inclusione di tutte le forze politiche libiche e al rinvio delle elezioni proposte dalla Francia, scemava dopo l’allontanamento degli americani dalla crisi libica – il vertice di Palermo nasceva dopo un incontro tra Conte e Trump a Washington.
Il successivo supporto francese all’offensiva militare, nell’aprile scorso, del generale Khalifa Haftar contro il governo onusiano di Serraj ha alzato il livello della tensione all’interno dell’Unione Europea. L’offensiva, che ha prodotto più di mille morti e più di 120.000 sfollati, ha spinto l’Unione, nel maggio del 2019, in occasione del vertice di Bruxelles sulla Brexit, a redigere una risoluzione di condanna contro Haftar. La risoluzione, seppur appoggiata dalla maggioranza degli stati europei, fu bloccata proprio dalla Francia, che rifiutò qualsiasi condanna verso l’azione del generale della Cirenaica.
La polarizzazione interna al paese e l’intreccio delle alleanze sul campo hanno di fatto minato il ruolo dei due attori europei nei confronti degli attori libici. La Francia, da sempre favorevole ad una soluzione militare del conflitto – l’appoggio ad Haftar lo dimostra – non è vista di buon occhio dalle forze libiche dell’ovest del paese. L’Italia, di contro, considerando la fragilità dei governi degli ultimi anni e il fenomeno migratorio direttamente collegato alla crisi libica, ha assunto posizioni sempre più ambigue rispetto alla sua ex colonia.
L’appoggio incondizionato alla road map delle Nazioni Unite, è stato pian piano sostituito, soprattutto dopo l’attacco di Haftar, da una posizione inclusiva delle forze in campo che ha indebolito la stima di cui il nostro paese godeva soprattutto nelle città di Tripoli e Misurata (entrambe sotto il controllo del governo Onusiano).
In questa delicata fase di forte contrasto tra le forze in campo, la Germania ha intavolato una trattativa con i maggiori attori regionali e internazionali. Dopo i fallimenti di Italia e Francia nella risoluzione del conflitto e la graduale perdita di stima degli attori sul campo verso le due potenze europee, la Germania potrebbe rappresentare, nel breve termine, quella neutralità tanto sperata nelle trattive.
Nonostante il poco ottimismo filtrato, ancora una volta l’Europa si ritrova a delegare il ruolo di mediatore ad uno dei suoi stati membri e, al di là del risultato che ne verrà fuori, l’Unione rischia di uscirne indebolita. Il focus europeo sulla Libia, inoltre, è stato fin dal 2015 esclusivamente sulla gestione emergenziale e securitaria della crisi migratoria. Un errore strategico se si pensa che il fenomeno migratorio e la gestione dei flussi dalla Libia non può che essere trattato in un’ottica che miri a ricostruire e rafforzare le strutture statuali libiche.
Il percorso Onusiano, malgrado le numerose difficoltà che sta incontrando sia sul campo sia a livello internazionale, dovrebbe essere sostenuto dall’Unione Europea non solo sulla carta, lasciando poi libertà d’azione ai singoli stati, ma anche nei fatti. Mettere al centro la risoluzione del conflitto e la promozione di una politica inclusiva di tutti gli attori libici significherebbe far fronte alle priorità europee e dei singoli stati membri – migrazione, risorse energetiche e ricostruzione – in un’ottica di lungo termine.
*Ricercatore CeSPI, Pan-European Fellow ECFR-Compagnia di San Paolo