Federico Fabbrini
Commento n. 203 - 3 dicembre 2020
L’avvicinarsi della fine dell’annus horribilis 2020 rischia di far svanire la possibilità di lanciare durante la presidenza tedesca del Consiglio dell’Unione europea (UE) la Conferenza sul Futuro dell’Europa. L’avvio di questa importante iniziativa, in origine previsto per la prima metà del 2020, è stato ritardato dallo scoppio della pandemia di Covid-19. Tuttavia, la grave crisi sanitaria e le sfide che l’UE sta tuttora affrontando nel rispondervi, hanno reso evidente l’urgenza di iniziare un processo di riflessione costituzionale, che consenta all’Europa di risolvere le disfunzioni alla base del suo sistema di governance.
L’idea di avviare una Conferenza sul Futuro dell’UE risale al marzo 2019, quando il Presidente francese Emmanuel Macron – in una lettera aperta scritta in tutte le lingue ufficiali dell’UE – si rivolse ai cittadini europei proponendo un nuovo rinascimento per l’Europa, tramite una “Conferenza per l’Europa al fine di proporre tutti i cambiamenti necessari al nostro progetto politico, senza tabù, neanche quello della revisione dei trattati”. L’iniziativa, che era disegnata anche per rilanciare il progetto d’integrazione nel momento in cui il Regno Unito doveva uscire dall’UE, fu ritardata precisamente dal rinvio di Brexit – dal 27 marzo 2019 inizialmente previsto sino al 31 gennaio 2020. Tuttavia, la proposta di istituire una Conferenza sul Futuro dell’Europa venne rapidamente sostenuta dalle figure di vertice del nuovo ciclo istituzionale dell’UE.
In particolare, la Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, sin dalla presentazione delle sue linee programmatiche dinnanzi al Parlamento europeo nel luglio 2019, diede il proprio sostegno alla proposta di lanciare una Conferenza sul Futuro dell’Europa. D’altra parte, anche il Parlamento europeo emerso dalle elezioni del maggio 2019 espresse il proprio interesse per l’iniziativa e nel gennaio 2020 la plenaria adottò una importante risoluzione, nella quale il Parlamento indicava la sua ambizione di far partire il prima possibile la Conferenza sul Futuro dell’Europa, e di utilizzare questa iniziativa per riformare l’UE.
Non sorprendentemente, l’entusiasmo del Parlamento europeo per il progetto di Conferenza sul Futuro dell’Europa si scontrò presto con la prudenza delle istituzioni intergovernative dell’UE. Tuttavia, anche grazie al forte sostegno a favore della Conferenza da parte di Francia e Germania – che nel novembre 2019 avevano avanzato una posizione congiunta sul progetto, rendendo evidente la loro ambizione di affrontare questioni sostanziali (ad es. la difesa) e istituzionali, inclusa la possibile riforma dei trattati – anche il Consiglio europeo nel dicembre 2019 dava il proprio appoggio al progetto di Conferenza. E sulla base del sostegno dei capi di Stato e di governo, anche il Consiglio infine raggiungeva nel giugno 2020 una posizione sul progetto.
L’esplosione di Covid-19, tuttavia, ha rappresentato un grave imprevisto per il destino della Conferenza sul Futuro dell’Europa. A causa della diffusione della pandemia, e delle misure restrittive adottate in tutta Europa (e in larga parte del mondo), il piano originario di lanciare la Conferenza sul Futuro dell’Europa il giorno della Festa dell’Europa, il 9 maggio scorso, è sfumato. D’altra parte, anche l’ipotesi di far partire la Conferenza sul Futuro dell’Europa durante la presidenza tedesca dell’UE – una prospettiva allettante, visto il desiderio espresso da più attori istituzionali di concludere la Conferenza nel 2022, durante la presidenza francese del Consiglio dell’UE – sembra ormai sempre più improbabile, visto il pochissimo tempo a disposizione.
Tuttavia, se Covid-19 ha causato dei ritardi nel lancio della Conferenza sul Futuro dell’Europa, esso ha altresì evidenziato come non mai quanto questa iniziativa sia indispensabile per l’UE. Da un lato, le iniziali difficoltà dell’UE e dei suoi Stati membri nell’adottare una risposta coerente alla pandemia hanno messo in luce le carenze nell’assetto di attribuzione dei poteri dell’UE, inclusa ad esempio la mancanza di competenza delle istituzioni comunitarie in materia di politica della salute. Dall’altro lato, le ambiziose misure messe in piedi dall’UE in una successiva fase di risposta alla pandemia hanno mostrato – per l’ennesima volta – la fragilità dell’assetto di governance dell’UE, sempre più sbilanciato verso una logica intergovernativa.
In particolare, se la Commissione ha finalmente proposto l’istituzione di un Fondo per la Ricostruzione, basato su risorse da raccogliere sui mercati finanziari e da disborsare agli stati membri per lo più sotto forma di sovvenzioni, l’adozione di questo strumento ha richiesto cinque giorni di negoziati nel Consiglio europeo del luglio 2020. Tuttavia, l’accordo difficilmente raggiunto in estate sul Fondo per la Ricostruzione è ora divenuto ostaggio della Polonia e dell’Ungheria, i quali nel novembre scorso hanno apposto il loro veto all’adozione del nuovo Quadro finanziario pluriennale dell’UE per impedire l’entrata in vigore di un regolamento che condiziona l’uso dei fondi comunitari al rispetto dello stato di diritto. La posizione di questi due paesi ha però evidenziato la situazione di stallo in cui versa l’UE, a causa di un sistema istituzionale non sufficientemente efficiente e democratico.
Da questo punto di vista, ha pienamente ragione il Parlamento europeo nel sostenere che la Conferenza sul Futuro dell’Europa debba essere avviata senza ulteriore ritardo, al fine di affrontare i nodi che ormai stanno venendo al pettine. Come esso ha affermato nel giugno 2020, la Conferenza deve tenere conto degli strumenti di ricostruzione post-pandemica adottati dall’UE, e aumentare la resilienza dell’UE nonché la sua efficacia ed efficienza; e come esso ha ribadito il 26 novembre scorso, la Conferenza deve affrontare i temi specificamente legati ai processi democratici e alle questioni istituzionali dell’UE, per aumentarne la legittimità.
D’altra parte, la tesi che il lancio della Conferenza sul Futuro dell’Europa debba attendere la fine della pandemia sembra basarsi sulla presunzione secondo cui una simile iniziativa possa avere successo solamente se condotta in presenza. Ciò tuttavia costituisce un’ingiustificabile sottovalutazione delle potenzialità degli strumenti digitali, che proprio Covid-19 ha reso evidenti a tutti. Durante la pandemia, non solo milioni di studenti, insegnanti, imprese e lavoratori hanno trasferito online le loro attività – ma anche numerosi parlamenti e istituzioni internazionali hanno adattato il loro funzionamento, al punto di consentire votazioni da remoto. Infatti, le potenzialità digitali sono già state sfruttate anche in contesti di natura costituzionale: ad es. in Irlanda, la Citizen Assembly incaricata di deliberare sulla riforma della costituzione per incastonare il principio dell’uguaglianza di genere ha interamente migrato il proprio lavoro online, con il risultato di facilitare la partecipazione più di quanto possibile in presenza.
In conclusione, se l’idea di istituire una Conferenza sul Futuro dell’Europa era animata proprio dall’aspirazione di riformare l’UE, affrontando i problemi strutturali del suo sistema di governance, quanto è accaduto sin dall’esplosione della pandemia di Covid-19 – incluso da ultimo il veto di Polonia e Ungheria sul Fondo per la Ricostruzione – non ha fatto che confermare l’esigenza di aumentare l’efficienza e la democraticità dell’UE. In attesa della dichiarazione congiunta di Parlamento europeo, Commissione e Consiglio dell’UE che dovrebbe formalmente definire il mandato costituzionale e l’organizzazione istituzionale della Conferenza, l’auspicio è che vi possa essere in tempi rapidi una convergenza per fare partire senza ulteriori esitazioni un’iniziativa indispensabile per rilanciare il processo d’integrazione.
*Professore Ordinario di Diritto dell’UE presso la Dublin City University e Direttore del Brexit Institute