La Corte Costituzionale e l’autonomia differenziata (ancora) “in mezzo al guado”

La Corte Costituzionale e l’autonomia differenziata (ancora) “in mezzo al guado”

Stefano Piperno / 13 gennaio 2025

Commento n. 310

La recente sentenza della Corte Costituzionale n. 192/24, pur non bocciando in toto la L. n. 86/2024 per l’attuazione dell’autonomia differenziata (regionalismo asimmetrico), ha di fatto cancellato la legge in sette punti e ha dato una interpretazione costituzionalmente corretta in altri cinque sollecitando il Parlamento a riempire i conseguenti vuoti per assicurarne la piena funzionalità. Il 13 dicembre è poi intervenuta anche la Corte di Cassazione, che ha considerato conforme a legge la richiesta di referendum abrogativo della L. 86/2024, nonostante la necessità di ulteriori interventi del Parlamento per renderla pienamente operativa. Spetterà alla Corte Costituzionale decidere in via definitiva, entro il 20 gennaio prossimo, se il referendum sia praticabile per il quesito sull’abrogazione della legge in quanto tale, come risultante dalla sentenza della Corte. Molti costituzionalisti ne dubitano.

La decisione della Corte ha chiarito preliminarmente la sua visione complessiva sull’attuazione dell’art. 116, 3° comma della Costituzione segnalando come “tale disposizione che consente di superare l’uniformità nell’allocazione delle competenze al fine di valorizzare appieno le potenzialità insite nel regionalismo italiano, non può essere considerata come una monade isolata, ma deve essere collocata nel quadro complessivo della forma di Stato italiana, con cui va armonizzata”. Ciò significa che per una sua efficace attuazione è necessario un approccio sistemico garantito attraverso “la determinazione dei principi fondamentali nelle materie affidate alla competenza concorrente dello Stato e delle regioni (art. 117, terzo comma, Cost.), attraverso la competenza statale nelle cosiddette ‘materie trasversali’ e mediante la perequazione finanziaria a favore dei territori con minore capacità fiscale per abitante (art. 119, terzo comma, Cost.)”.

All’interno di questa importante indicazione generale, la Consulta ha dichiarato l’incostituzionalità di alcune norme attinenti ai criteri per la ripartizione delle materie tra Stato e Regioni, alle procedure parlamentari per la definizione dei LEP e alla determinazione delle aliquote di compartecipazione per il finanziamento delle nuove funzioni, nonché offerto una interpretazione costituzionalmente corretta circa le loro modalità di finanziamento. Si tratta di aspetti della legge più volte criticati nel corso del dibattito parlamentare e in quello tra gli esperti, sui quali è bene concentrarsi.

La Corte ha sancito, in primo luogo, l’impossibilità dell’attribuzione completa di una materia alle Regioni: può riguardare solo alcune funzioni legislative e amministrative al suo interno, sulla base del principio di sussidiarietà, che però “funziona come un ascensore perché può portare ad allocare la funzione, a seconda delle specifiche circostanze, ora verso il basso ora verso l’alto.” Si fa così chiarezza sulla necessità di specificare le esatte funzioni tra le molte che esistono all’interno delle diverse materie, spesso di natura eterogenea. Sinora è stato solo elaborata una lunga lista delle funzioni per materia dal Ministero per gli affari regionali e le autonomie, ma non è stato svolto nessun approfondimento circa la possibilità di attribuzioni asimmetriche per ognuna di esse. La Corte segnala, invece, l’esigenza di offrire completa evidenza circa la convenienza del trasferimento di nuove funzioni e delle relative risorse. Le Regioni interessate hanno sinora offerto giustificazioni molto generiche, senza adeguata evidenza empirica su aspetti rilevanti quali la presenza di maggiori economie di scala e di scopo, o alcune ben individuate caratteristiche specifiche dello sviluppo economico regionale o multiregionale. Viceversa, la Corte ci tiene a rimarcare la necessità di specificare con precisione costi e benefici della distribuzione differenziata delle competenze sulla base di “un’istruttoria approfondita, suffragata da analisi basate su metodologie condivise, trasparenti e possibilmente validate dal punto di vista scientifico. Già nella sentenza, però, la Corte avanza molti dubbi sulla possibilità di una attribuzione differenziata in materie come il commercio con l’estero, la produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia e la tutela dell’ambiente, i porti e aeroporti civili e grandi reti di trasporto e di navigazione, dove interviene pesantemente la competenza dell’UE, senza dimenticare l’istruzione. Ma non ne nega la possibilità in forma limitata.

Passando agli altri due profili, la Corte ha dichiarato incostituzionale il percorso di approvazione dei LEP basato su decreti legislativi sulla base dei principi troppo generici contenuti nella legge di bilancio per il 2023 (commi da 791 a 801-bis dell’art. 1 della legge n. 197 del 2022) sottolineando come una determinazione plurisettoriale di criteri direttivi per la fissazione dei LEP, che non moduli tali criteri in relazione ai diversi settori, risulti destinata alla genericità. In particolare, viene ricordato come già esistano dei LEP individuati da specifiche leggi di settore (quali i LEA nella sanità e i LEP in materia di servizi sociali, e di istruzione e formazione professionale): questo dovrà essere replicato per tutti gli altri LEP, anche con l’ausilio dei lavori del comitato Cassese. L’individuazione delle materie o, meglio, delle funzioni, che richiedono i LEP risulta un aspetto fondamentale e preliminare rispetto al loro trasferimento, che però non potrà più avvenire sulla base dell’elenco di materie non LEP previsto nell’art. 3, co. 3 della L. n. 86/2024. Al loro interno, secondo la Corte, possono infatti presentarsi funzioni connesse a diritti civili e sociali, che quindi dovranno essere finanziate sulla base dei fabbisogni standard, come per le altre funzioni connesse alle materie LEP. La Corte, a questo proposito, sancisce il principio che il trasferimento di risorse non debba partire dalla spesa storica, ma dal costo relativo ai fabbisogni standard (tecnicamente non semplice da determinare per molte funzioni non LEP di natura regolamentare), con un meccanismo di revisione annuale attraverso le Commissioni paritetiche Stato-Regione che tenga conto anche dei costi di coordinamento che residuano allo Stato. Non è però chiaro, nella sentenza, se i guadagni di efficienza ottenuti dalle Regioni qualora il costo effettivo sia inferiore al fabbisogno standard vengano attribuiti allo Stato, opzione assai discutibile.

Si apre, a questo proposito, il serio problema di capire se occorra rendere compatibile il meccanismo di finanziamento basato su imposte dedicate e un fondo perequativo, previsto dall’art. 15 del D. Lgs. n. 68/2011, con quello basato solo sulle compartecipazioni al gettito di uno o più tributi erariali, previsto dall’art. 5, co. 2 della L. n. 86/2024, valido per ambedue i tipi di funzioni. A questo la Corte non fa cenno, se non sottolineando l’esigenza di attuare quanto prima l’art. 15 del D. Lgs. n. 68/2011, che distingueva le modalità di finanziamento tra funzioni LEP e non LEP per quanto concerne i tributi autonomi e il sistema perequativo, non chiarendo però se il regime previsto dalla L. n. 86/2024 ne resti o meno escluso.

A questo punto l’autonomia differenziata è “morta”? No, finché la Costituzione attuale resta in vigore; ma la sentenza mette dei paletti significativi sul futuro del regionalismo asimmetrico, da chiarire entro la scadenza del 2026, termine previsto nel PNRR per il completamento del federalismo fiscale considerato come “riforma abilitante”. Compito impegnativo, visto quanto avvenuto nell’ultimo quindicennio.

*Collaboratore del Centro Studi sul Federalismo.

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