La partita sulla governance economica europea: tre questioni chiave per l’Italia

La partita sulla governance economica europea: tre questioni chiave per l’Italia

Federico Fabbrini
   

Commento n. 265 - 29 maggio 2023 

La partita sulla riforma della governance economica dell’Unione europea (UE) sta entrando nella sua fase cruciale. Tre questioni chiave si intersecano fra loro: primo, la revisione del Patto di Stabilità e Crescita (PSC); secondo, l’attuazione del Dispositivo sulla Ripresa e la Resilienza (DRR), e, nel contesto italiano, del Piano Nazionale sulla Ripresa e la Resilienza (PNRR); terzo, la riflessione sul futuro della capacità fiscale dell’UE, inclusa la creazione di un Fondo sovrano UE. L’Italia riveste un ruolo di rilievo in questa partita complessa. Non solo essa è la terza economia dell’UE e dell’Eurozona, e un paese fondatore dell’UE. Soprattutto, essa sarà realisticamente la prima destinataria delle nuove regole fiscali nonché la prima beneficiaria di nuove forme di finanziamento sovranazionale con funzione di stabilizzazione e convergenza. È pertanto utile che il paese si compatti e adotti una strategia negoziale complessiva, nella quale gli interessi nazionali e gli obiettivi finali vengano identificati in una prospettiva di medio, e non breve, termine.

Sul PSC, il 26 aprile la Commissione europea ha presentato una proposta legislativa, volta a riformare in profondità sia il braccio preventivo che quello correttivo delle regole fiscali dell’UE. Nella consapevolezza del fallimento delle regole originarie del PSC, la Commissione ha proposto di abbandonare l’approccio one size fits all del vecchio PSC, introducendo dei percorsi specifici di riduzione del debito pubblico per ogni paese, basati su dei piani quadriennali (estendibili fino a sette anni) che ogni paese dovrà adottare. La riforma proposta dalla Commissione semplifica il quadro normativo e rafforza il sistema istituzionale di coordinamento tra Commissione e Consiglio UE, da un lato, e stati membri, dall’altro. La riforma però è stata criticata da alcuni in Italia in quanto priverebbe il governo della discrezionalità sulla propria spesa, vincolandolo ad un piano pre-concordato con organi sovranazionali che non hanno legittimità. Questo è un errore. Nel quadro giuridico attuale del PSC, la Commissione ha già pervasivi poteri di controllo sulla politica di bilancio nazionale. In base al two pack, adottato durante la crisi dell’euro, la Commissione può addirittura richiedere ad un paese membro di riscrivere la propria legge di bilancio se non conforme alle regole del PSC, cosa avvenuta nel 2018 con il governo giallo-verde. Da questo punto di vista, la proposta legislativa della Commissione costituisce un miglioramento: richiedendo ad ogni paese di preparare un piano fiscale strutturale, si responsabilizzano i governi degli stati membri aumentando la titolarità sui piani stessi -- sul modello del PNRR. D’altronde, se è irrealistico pensare che i paesi del nord Europa rinuncino tout court ad avere un minimo di regole fiscali nell’Unione economica e monetaria (UEM), anche l’opzione di ritornare al vecchio PSC non è convincente. Il vecchio PSC richiede tra l’altro la riduzione del debito di 1/20 all’anno (per la quota in eccesso al 60% del rapporto debito/Pil). Questo non è nell’interesse nazionale.

Sul DRR, e in particolare sul PNRR italiano, il 24 maggio la Commissione europea ha sottolineato nelle sue annuali raccomandazioni specifiche per paese l’importanza di un’attuazione puntuale e rigorosa. Infatti, il DRR, in quanto elemento più importante del Fondo per la Ripresa Next Generation EU (NGEU), offre un’occasione unica agli stati membri per finanziare investimenti strutturali e adottare riforme che favoriscono la crescita, con fondi raccolti tramite debito europeo. Com’è noto, con un finanziamento in sussidi e prestiti pari a 191,5 miliardi di euro, l’Italia è il primo beneficiario delle risorse del DRR. Tuttavia, nel suo intervento al Festival dell’Economia di Trento, il 26 maggio, il Ministro per gli Affari europei, il Sud, le Politiche di Coesione e il PNRR Raffaele Fitto ha sottolineato le problematicità legate all’attuazione del PNRR e affermato che “bisogna fare velocemente ma non in fretta”. Questo è un errore. Nel quadro giuridico attuale del DRR, il rispetto da parte di ogni stato membro di tutte le milestones e i targets previsti dal PNRR è la condizione per poter continuare ad accedere ai finanziamenti europei. In caso di mancato raggiungimento degli obiettivi di una rata, si rischia automaticamente di mettere a repentaglio quelle successive, costringendo la Commissione a sospendere i pagamenti o a ridurli pro-quota, a danno di cittadini e imprese. Questo scenario non è nell’interesse nazionale.

Sul futuro della capacità fiscale UE, la Presidente della Commissione Ursula von der Leyen ha avanzato l’autunno scorso la proposta di istituire un Fondo sovrano europeo. Tale fondo, che dovrebbe essere largamente modellato sul NGEU, consentirebbe all’UE di investire in modo collettivo sullo sviluppo industriale, la sovranità tecnologica e la propria autonomia strategica. La logica di fondo di questo strumento sarebbe di riprodurre la tecnica giuridica del NGEU per finanziare però i beni pubblici europei, invece che i programmi nazionali, consentendo in prospettiva la sostituzione della spesa nazionale su politiche (quali ad esempio la difesa o la gestione delle frontiere) che in un’unione sempre più stretta potrebbero meglio essere esercitate a livello federale. In un intervento all’Università di Princeton il 14 aprile, tuttavia, il Ministro delle finanze tedesco Christian Lindner ha affermato non vedere la necessità di un Fondo sovrano definendolo inutile. Questo è un errore. Nel quadro giuridico dei trattati europei vi sono i margini per dotare l’UE di una capacità fiscale permanente. Inoltre, da un punto di vista politico, le sfide geo-strategiche che l’UE affronta richiedono di rafforzare la dotazione finanziaria delle istituzioni sovranazionali sia per mettere in atto politiche comuni che per razionalizzare i costi nazionali, ad esempio sulle spese militari. Nondimeno, il Consiglio europeo di febbraio ha fatto appena un accenno alla prospettiva di un Fondo sovrano e non è ancora dato sapere se la Commissione avanzerà davvero una proposta al riguardo questa estate. Questo non è nell’interesse nazionale.

In conclusione, nella partita della riforma della governance economica dell’UE, l’interesse oggettivo dell’Italia dovrebbe essere: modificare il vecchio PSC, con uno che consenta un tragitto più elastico di aggiustamento del debito; attuare pienamente e tempestivamente il PNRR, in modo da ottenere tutti i fondi del DRR; fare istituire un Fondo sovrano UE, che si faccia carico di spese collettive. La partita offre occasioni per dei compromessi: ad esempio, l’Italia potrebbe accettare un target di riduzione annuale del deficit di almeno 0.5% di Pil, come proposto dalla Commissione nel nuovo PSC su insistenza tedesca, ma a condizione che il Fondo sovrano venga istituito immediatamente, e non rinviato alle calende greche, e che assuma un ruolo primario nel coprire i costi della gestione migratoria, oltre che la spesa militare e industriale. In aggiunta, il grande sforzo sull’attuazione del PNRR potrebbe essere compensato da maggiore flessibilità nel piano di aggiustamento fiscale strutturale. La cosa importante però è non perdere di vista l’obiettivo strategico nazionale, che è: evitare il ritorno del vecchio PSC; accelerare l’istituzione di un Fondo sovrano europeo; usare tutte le risorse del DRR, contribuendo così anche al successo di NGEU e alla sua possibile permutazione in una capacità fiscale permanente per l’UEM. Per vincere la partita bisogna conoscere le regole del gioco e sapere in quale porta si deve fare goal.

*Professore ordinario di diritto dell’Unione europea, Dublin City University; Fellow in Law, Princeton University; Fernand Braudel Fellow, Istituto Universitario Europeo

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