La tassa sul carbonio alla frontiera e il Climate Club

La tassa sul carbonio alla frontiera e il Climate Club

Olimpia Fontana
   

Commento n. 256 - 19 gennaio 2023 

Uno degli elementi chiave del “Fit for 55”, il pacchetto per il clima che l’Unione europea ha adottato nel 2021, è la riforma del mercato europeo del carbonio (Emission Trading System - ETS), il quale prevede lo scambio di quote di emissioni nocive per il clima, che determina un carbon price. Il Consiglio e il Parlamento europeo hanno di recente raggiunto l’accordo provvisorio sulla proposta di affiancare al carbon price domestico un analogo prezzo sulle importazioni (Carbon Border Adjustment Mechanism - CBAM), uno strumento che servirà a evitare il rischio che la produzione europea sia colpita da carbon leakage, ovvero subisca delocalizzazioni verso (o venga sostituita con importazioni da) paesi in cui non esistono costi analoghi, legati a una politica climatica stringente.

Finora è stata osservata una scarsa evidenza di carbon leakage nell’ETS. Tuttavia, i rischi emergono nel momento in cui l’Ue dovrà rafforzare il carbon price interno, con l’obiettivo di accelerare la transizione energetica. Una misura sarà l’eliminazione progressiva della parte di quote di emissione finora attribuite in via gratuita ad alcuni settori, per questioni di competitività internazionale. Per garantire una parità di trattamento sul mercato globale il CBAM prevede di far pagare un carbon price sulle importazioni in Ue in settori altamente inquinanti ed esposti al commercio estero (cemento, alluminio, fertilizzanti, produzione di energia elettrica, ferro, acciaio, idrogeno), in misura graduale ed equivalente a quanto pagato dalle industrie europee.

Nei prossimi mesi l’accordo preliminare sul CBAM dovrà essere confermato e adottato dai co-legislatori europei, per entrare in vigore a ottobre 2023. Al di là dai dettagli tecnici, la buona riuscita del CBAM quale motore di una politica climatica a livello globale dipenderà da come esso si coordinerà con le politiche climatiche degli altri paesi e si inserirà nella cooperazione internazionale per il clima. In concomitanza con l’accordo sul CBAM, il G7 a presidenza tedesca ha definito i Terms of Reference di un Climate Club, inteso quale forum intergovernativo, aperto, cooperativo e inclusivo, atto a supportare la realizzazione degli obiettivi dell’Accordi di Parigi. Uno degli obiettivi del Club sarà risolvere problemi di carbon leakage che derivano dall’esistenza di politiche climatiche diverse tra i paesi.  

La proposta del CBAM potrebbe coordinarsi con l’idea di un Climate Club inclusivo con alcuni accorgimenti. Il CBAM consiste nell’applicazione di un sovrapprezzo alla frontiera per le emissioni di CO2 generate durante la produzione di beni poi importati in Europa, a meno che nel paese di origine non sia già previsto il pagamento di un carbon price (sotto forma di ETS o di carbon tax): in tal caso si ridurrebbe la sua incidenza. Imporre un prezzo sul carbonio sta diventando una politica climatica sempre più ricorrente nel mondo, ma non è l’unica opzione e la sua portata non è ancora sufficiente. Ad oggi, solo circa il 23% delle emissioni è soggetto a tale strumento e con un livello di prezzo inadeguato: in media globale 3 dollari per tonnellata di CO2, rispetto a quando si ritiene che servirebbe (75 dollari) per contenere le emissioni in modo da mantenere l’aumento della temperatura sotto i 2°.

L’applicazione della CBAM non dovrebbe quindi considerare solo strumenti di prezzo tra paesi, ma anche approcci di mitigazione alternativi, che i governi fuori dell’Ue potrebbero preferire per ragioni economiche e sociali diverse. In effetti, un obiettivo del G7 è di perseguire “common understanding through comparative analysis of the effectiveness and economic impact of such policies, including price-based and non-price-based climate change mitigation instruments”, facendo quindi riferimento anche a misure quali normativa, definizione di standard, sussidi. In questo modo si lascerebbe aperta la possibilità che ciascun paese decida il proprio policy mix di mitigazione, che verrebbe “scontato” nel momento del calcolo del CBAM. Un Climate Club con un CBAM di questo tipo sarebbe più aperto, inclusivo e politicamente accettabile da più paesi, come suggerito dal report commissionato dal G7, firmato da Nicholas Stern e Hans Peter Lankes.

Mettere a confronto la capacità di ridurre le emissioni da parte di strumenti di natura così diversa comporterebbe, per misure non di prezzo, la definizione del cosiddetto “valore monetario equivalente” al carbon pricing. Operazione molto complessa, ma fattibile attraverso sforzi di coordinamento e condivisione, come quelli previsti dal nuovo Inclusive Forum on Carbon Mitigation Approaches per la raccolta di dati e la definizione di metodologie di misurazione. In questo modo, per paesi come Stati Uniti (privi di un carbon pricing interno, ma dotati di forti misure normative) o Cina (che ha introdotto un proprio ETS nel 2011, ma con livelli di prezzo molto bassi), il CBAM verrebbe percepito come misura meno unilaterale e svantaggiosa.

Inoltre, il CBAM può inserirsi all’interno del Climate Club, perché oltre a essere una forma di protezione della competitività europea ha l’obiettivo di stimolare il cambiamento anche in altre parti del mondo. Infatti, esso fornirebbe un incentivo per i partner commerciali dell’Ue a inasprire la loro politica climatica, in particolare, nel caso in cui decidessero di introdurre (o aumentare) forme di carbon pricing, sottraendo quel gettito fornito dal prezzo del carbonio che altrimenti finirebbe nel bilancio dell’Ue.

Infine, un ulteriore punto chiave del CBAM riguarda il trattamento riservato ai paesi in via di sviluppo. Secondo stime i paesi più colpiti dal CBAM sarebbero Russia, Cina, Turchia, Regno Unito, Ucraina. Ma se i paesi più avanzati saprebbero adattarsi al CBAM (decarbonizzando, negoziando accordi politici, diversificando le esportazioni), quelli più poveri sarebbero maggiormente esposti, con un’economia ancora molto legata ai combustibili fossili. Un interesse particolare dell’Ue riguarda i rapporti con l’Unione africana, dato che in quel continente si dovranno produrre una parte rilevante delle energie rinnovabili che consentiranno all’Europa di rinunciare progressivamente all’uso di combustibili fossili. Anche se nel breve periodo le esportazioni africane soggette al CBAM sono ancora di dimensioni limitate, appare opportuno prevedere fin da ora un regime particolare che ne consenta una crescita nel tempo (ad esempio, nel settore dell’idrogeno verde).

Con questi accorgimenti, non secondari, la politica climatica dell’Ue potrebbe inserirsi all’interno dell’assetto della cooperazione che si sta delineando sul piano internazionale. Senza un approccio inclusivo e consapevole delle differenze tra paesi, su cui è impostato il Climate Club lanciato dal G7, sarà difficile per il CBAM non essere percepito come una misura imposta unilateralmente dall’Ue, con tutte le conseguenze negative che ciò potrebbe comportare. 

* Mario Albertini Fellow del Centro Studi sul Federalismo

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