Domenico Moro
Commento n. 214 - 2 aprile 2021
Per Altiero Spinelli gli Stati nazionali erano ostacolo e strumento del processo di unificazione europea. Quest’idea si è poi evoluta (“i governi democratici sono ostacolo e strumento”) fino ad includere anche le elezioni nazionali come elemento in grado di condizionare, nel male e nel bene, l’integrazione europea. Le elezioni in Germania il 26 settembre prossimo e le presidenziali francesi nella primavera del 2022, quindi, non solo influenzano le vicende europee correnti, ma saranno decisive negli anni che ci separano dalle elezioni europee del 2024, soprattutto per quanto riguarda la politica estera e di sicurezza.
L’eventuale rielezione di Macron potrebbe essere decisiva per compiere un passo avanti verso una maggiore autonomia europea, ma la Francia è anche il paese che, quando è in gioco la sovranità militare, manifesta la linea più contraddittoria. Da un lato difende il principio dell’autonomia europea, dall’altro dà risposte intergovernative, se non puramente nazionali. Per rendersene conto basta mettere in fila dichiarazioni e fatti degli anni successivi alla Brexit.
Nel luglio del 2017 Macron e Merkel annunciano di voler sviluppare insieme un velivolo militare di nuova generazione, il Future Combat Air System (FCAS), accordo formalizzato nell’aprile del 2018, a Meseberg. A maggio 2019, Louis Gautier, consigliere di Macron per la difesa europea, all’Assemblea nazionale, annuncia che la Francia, nel primo semestre del 2022, presenterà un progetto per un’“Unione di sicurezza e di difesa comune”, i cui contenuti non sono ancora stati precisati. Nel novembre 2019, Macron sostiene che la NATO “is becoming brain-dead”. Il 7 febbraio del 2020, in un discorso alla École de Guerre, Macron invita i paesi europei ad un dialogo “sul ruolo del deterrente nucleare francese nella nostra sicurezza collettiva”, un’offerta neanche troppo velata di estendere la copertura nucleare francese all’UE.
La firma, il 19 marzo scorso, di una lettera congiunta della Francia e dei paesi del gruppo di Visegrad, per difendere la scelta energetica fondata sul nucleare, ha destato perplessità aggiuntive. Quei paesi sono i più ostili ad avanzamenti nel processo di unificazione europea e non hanno ancora ratificato la Decisione sulle risorse proprie, indispensabile per il varo del Next Generation EU (NGEU). Ad oggi, la transizione energetica non prevede il nucleare, che la Germania sta abbandonando. L’energia nucleare ricorda la politica gollista dell’autarchia energetica, mentre lo sviluppo delle rinnovabili richiede l’apertura dell’UE, non solo alla Russia, ma soprattutto all’Africa.
Non stupisce, dunque, che il non-paper spagnolo-olandese, diffuso prima del Consiglio europeo del 25 marzo, riproponendo e sottolineando il concetto di autonomia strategica “aperta”, sia stato letto anche come una presa di distanza dal concetto di autonomia strategica – peraltro mai precisato nei suoi esiti istituzionali – patrocinato dalla Francia.
L’elezione di Biden ha complicato ulteriormente il quadro. Si sono moltiplicate le notizie relative alle difficoltà che incontra il progetto FCAS sul piano industriale e le difficoltà politiche che rischiano di portarlo ad uno stallo, tanto che alcuni, in Francia, si chiedono se sia il caso di insistere su questa iniziativa. Nel corso di una recente audizione al Senato francese, Eric Trappier, Presidente e Direttore generale della Dassault Aviation, ha espresso le medesime preoccupazioni. Negli stessi giorni, il Capo di stato maggiore francese, Francois Lecointre, ha tenuto uno hearing riservato al Bundestag proprio sulle difficoltà che incontrano i progetti industriali franco-tedeschi nel settore militare. Sembrano più le elezioni americane, che non quelle europee, ad influenzare il processo di unificazione europea. È probabile che la Germania, che vuole mantenere i rapporti con la Russia, soprattutto nel settore energetico, non intenda seguire la linea di autonomia dagli USA che, con Trump alla presidenza, suscitava meno resistenze domestiche.
Occorre tenere conto di tre dati di fatto sul FCAS. In primo luogo, il suo costo oscillerà tra i 50 e gli 80 miliardi di euro, superiori a quelli dell’F-35 americano: si tratta di un progetto al di fuori della portata di un singolo paese. Il secondo dato è che lo FCAS è destinato a sostituire il Tornado, unico velivolo di produzione europea certificato per il trasporto dell’arma nucleare americana (i velivoli francesi sono certificati solo per l’atomica francese) ed integrato nel Gruppo di pianificazione nucleare NATO - di cui la Francia non vuole fare parte. Lo FCAS europeo dovrà essere progettato per trasportare l’arma nucleare francese e, quindi, integrato nel sistema di pianificazione nucleare della Francia. Questa scelta – che riguarderebbe anche Spagna e, soprattutto, Germania –modificherebbe sensibilmente gli equilibri politico-militari del continente. Il terzo elemento è dato dal fatto che i velivoli di nuova generazione, come l’F-35 americano, si caratterizzano per una voce di investimento decisiva: il software di bordo, che gestisce sistemi d’arma, velivoli senza pilota che lo accompagnano, monitoraggio del grado di usura del velivolo e dei suoi componenti, in modo integrato con il sistema dei fornitori di componenti. Se il software è solo francese, questo significa la dipendenza da un singolo governo nazionale.
Da parte tedesca, invece, sembra che ci siano sviluppi per quanto riguarda la difesa europea. Quando si tratta di unificazione europea, le elezioni tedesche di norma non sono un problema, e il candidato cancelliere della SPD, Olaf Scholz, in un’intervista alla FAZ del 27 marzo, ha rilanciato il tema di una forza armata europea sotto controllo europeo. Scholz ha dichiarato che “per me un esercito comune fa parte dell'idea di sovranità europea”, anche se ammette che non è "un problema a breve termine". Il candidato cancelliere ha inoltre dichiarato che l’UE avrebbe dei vantaggi "se ci si allontanasse dall'unanimità nei Consigli dell'Ue e si andasse verso decisioni a maggioranza su questioni di politica estera, così come su questioni finanziarie e fiscali". Nella politica di difesa, questo non sarebbe possibile con i trattati attuali, ha aggiunto Scholz, ma anche qui, "una decisione a maggioranza qualificata sarebbe una decisione democratica".
La Francia va verso un passaggio elettorale delicato e importante per l’intera Europa. Ma la via intergovernativa, fin qui seguita dalla stessa Francia, così come dalla Spagna e dalla Germania, per la difesa europea, se può dare vantaggi nel breve periodo, è condizionata dagli equilibri di potere nazionali che, come la storia insegna, l’hanno sempre condotta ad un punto morto. La via sovranazionale è più difficile nel breve periodo, ma più solida, foriera di passi avanti più ambiziosi nel lungo periodo e meno condizionata dagli equilibri di potere nazionali e transatlantici. La moneta europea, da questo punto di vista, è un buon esempio. L’euro ha potuto essere introdotto solo perché l’Italia ne ha fatto parte fin dall’inizio: se non fosse stato così, difficilmente la Francia avrebbe accettato la “subordinazione” alla Germania nel settore monetario. Oggi, la Germania difficilmente accetterebbe la “subordinazione” alla Francia nel settore militare: il ruolo dell’Italia può quindi essere decisivo, come lo è stato per l’euro, soprattutto nell’ipotesi suggerita dalla proposta della SPD tedesca del 28° esercito, che consenta di dar vita ad una struttura militare minima europea, senza richiedere la piena cessione della sovranità militare nazionale.
*Membro del Consiglio Direttivo e Coordinatore dell’Area Sicurezza e Difesa del Centro Studi sul Federalismo (l’intervento è pubblicato in contemporanea con EURACTIV Italia e Eurobull)