Federico Fabbrini / 12 giugno 2024
Commento n. 300
I risultati delle decime elezioni per il Parlamento europeo (PE), svoltesi dal 6 al 9 giugno in tutti i 27 stati membri dell’Unione europea (UE), sono stati ufficializzati ed è quindi possibile trarre alcune conclusioni, da una prospettiva sovranazionale. L’esito di questo processo democratico continentale ha rivelato tre elementi di continuità e tre di cambiamento.
Una prima continuità è il fatto che le elezioni per il PE rimangono prevalentemente 27 elezioni nazionali separate e parallele tra loro. Non solo le regole elettorali e le date delle votazioni differiscono da uno stato membro all’altro, ma le campagne elettorali sono combattute da partiti nazionali che competono sulla base di linee di scontro in larga parte interne. Sebbene i partiti nazionali si raggruppino poi nel PE in varie famiglie politiche europee, in realtà le elezioni europee sono quasi sempre dominate da temi nazionali, e spesso locali. Di conseguenza, il risultato delle elezioni per il PE dipende spesso da fattori idiosincratici, tra cui la popolarità del governo in carica in ogni stato membro. Questo spiega perché, ad esempio, le forze politiche socialiste abbiano fatto bene in Portogallo, Olanda e Romania, così come i popolari in Germania, Grecia e Irlanda, o i liberali in Slovacchia e Danimarca e la destra estrema in Austria.
Una seconda continuità è il fatto che il consenso politico che ha dominato il funzionamento del PE negli ultimi cinque anni – ed invero negli ultimi 50 – continuerà ad essere dominante anche nella prossima legislatura. In un parlamento transnazionale eletto essenzialmente sulla base di meccanismi elettorali proporzionali è necessaria una grande coalizione tra democristiani, socialisti e liberali per avere una maggioranza. Infatti, così è stato dal 1979 – e sulla base dei risultati del voto di questo fine settimana, così sarà per il prossimo PE. Con rispettivamente 185, 137 and 79 seggi ciascuno, il Partito Popolare Europeo (PPE), i Socialisti e Democratici (S&D) e Renew avranno una maggioranza anche questa volta.
Una terza continuità istituzionale, infine, è data dal fatto che le elezioni influenzeranno solo indirettamente il prossimo ciclo istituzionale dell’UE, e specialmente la nomina del Presidente della Commissione europea. Sebbene l’attuale Presidente, Ursula von der Leyen, che corre per la rielezione, sia stata rapida ad affermare che è fiduciosa di essere nominata nuovamente per l’incarico, alla luce della maggioranza relativa del PPE, di cui era candidata capolista, sarà il Consiglio europeo – l’organo che rappresenta i 27 capi di stato e di governo dei paesi membri – che in ultima analisi deciderà. Poiché i trattati europei attribuiscono al Consiglio europeo la prerogativa di proporre al Parlamento il Presidente della Commissione tenendo in considerazione i risultati delle elezioni per il PE, c’è da attendersi l’avvio di estese negoziazioni politiche prima del cruciale summit del 27-28 giugno, nel quale probabilmente verranno prese le decisioni sui vertici delle istituzioni europee (inclusi Consiglio Europeo, Alto Rappresentante e PE).
Tuttavia, queste elezioni per il PE hanno anche rivelato elementi di cambiamento. Un primo cambiamento, ampiamente anticipato, è l’ascesa di forze politiche di destra estrema in una serie di stati membri, soprattutto in Francia dove il Rassemblement National ha vinto le elezioni con il 31% dei voti, e in Germania dove Alternative für Deutschland (AfD) con il 15,9% dei consensi è risultato il secondo partito più votato dopo i cristiano democratici della CDU (30%) ma davanti ai socialdemocratici del Cancelliere Olaf Scholz (13,9%). L’AfD è stata recentemente espulsa dal gruppo di Identità e Democrazia in quanto forza politica troppo estremista, e pertanto, rebus sic stantibus, dovrebbe fare parte del gruppo dei non iscritti, il che la priverà di influenza nel funzionamento del PE. Tuttavia, il fatto che un partito il quale appena nasconde il suo fascino per il Terzo Reich abbia potuto fare così bene in Germania, risultando la forza più votata nei Laender dell’Est, è semplicemente incredibile.
Un secondo cambiamento, invece imprevedibile, è l’effetto rinculo che le elezioni per il PE hanno avuto a livello nazionale. Evidenza di ciò è la decisione da parte del Presidente francese Emmanuel Macron di sciogliere l’Assemblea Nazionale e convocare nuove elezioni il 30 giugno e 7 luglio, in risposta alla sconfitta del suo partito alle elezioni per il PE. Il Presidente Macron non aveva oggi una maggioranza nel parlamento nazionale francese, e la Costituzione del 1958 gli attribuisce ampi poteri, inclusa la discrezionalità di sciogliere la camera bassa e convocare nuove elezioni. Tuttavia, se è ben noto che elezioni nazionali possono avere un effetto dirompente sulla politica europea, è forse la prima volta nella storia in cui è accaduto l’opposto, con il risultato delle elezioni europee che ha avuto un tale effetto dirompente a livello nazionale da portare a nuove elezioni in uno stato membro.
Questo si collega al terzo e più drammatico cambiamento. Sebbene il centro politico abbia retto all’interno del PE stesso, l’ascesa della destra estrema in una serie di paesi membri dell’UE di peso – Francia e Germania, con l’Italia già guidata da una forza politica post-fascista come Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni – crea rischi significativi per il futuro dell’UE. Nonostante la crescente importanza del PE nel processo decisionale dell’UE, i governi nazionali hanno grande influenza nel determinare la direzione del progetto comunitario tramite il Consiglio europeo. Dunque, l’opposizione a una maggiore integrazione da parte dei governi di grandi stati membri potrebbe causare danni irreparabili all’UE in un momento in cui crisi multiple – dalla guerra in Ucraina alla solidità della relazione transatlantica – rendono l’unità dell’Europa più necessaria che mai.
*Professore ordinario di diritto dell’Unione europea, Dublin City University; Fellow, Istituto Universitario Europeo