Le tante questioni aperte sull’autonomia differenziata

Le tante questioni aperte sull’autonomia differenziata

Stefano Piperno / 3 settembre 2024

Commento n. 304

La Camera dei deputati ha approvato a maggioranza e in via definitiva le “Disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata delle regioni a statuto ordinario ai sensi dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione” (legge n. 86/2024), dopo più di un anno dalla sua approvazione al Senato. Restano, quindi, tutti i problemi connessi alla sua attuazione, sui quali si erano appuntate numerose critiche, solo parzialmente recepite nel testo approvato dal Senato e non modificato dalla Camera.

A livello politico lo scontro continua con toni accesi e le opposizioni hanno avviato le procedure per un referendum abrogativo della legge, sia attraverso la raccolta di firme tra i cittadini sia con l’iniziativa di cinque Consigli regionali governati dal centro-sinistra (ma perplessità sono emerse anche da parte di alcune Regioni del Sud governate dal centro-destra), che potranno anche impugnare la legge di fronte alla Corte Costituzionale. Una bocciatura referendaria (difficile però raggiungere il quorum) e un eventuale giudizio di incostituzionalità lascerebbero comunque in vita l’art. 116, c. 3 della Costituzione rinviando solo il problema.

In questo contesto conflittuale – caratterizzato da toni molto accesi, non sempre ancorati alla realtà da ambo le parti – non è facile prevedere il percorso attuativo della legge, rispetto al quale si è già attivata la Regione Veneto. Più che richiamare i limiti della legge messi in luce da numerosi interventi nelle audizioni avvenute al Senato (come quelle dell’Ufficio parlamentare di bilancio e della Banca d’Italia)  e alla Camera, a questo punto pare più utile svolgere qualche riflessione su alcuni passaggi critici prevedibili per la sua implementazione.

La legge prevede la possibilità di avviare subito le trattative per l’attribuzione delle funzioni che non prevedono livelli essenziali delle prestazioni (LEP): si tratta di nove materie, tra le quali il commercio con l’estero, le professioni, la protezione civile e lo stesso coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario. La legge parla però di ambiti di materie, in quanto non si può pensare a una trasformazione totale delle competenze concorrenti in residuali. Non vi è dubbio che vi sia il rischio di una babele di regolamentazioni amministrative, ma è anche vero che vi possono essere miglioramenti possibili in certi campi in cui già esistono esperienze di soluzioni multilevel, come per le politiche sociali. Non dimentichiamo che esiste una sorta di “freno automatico” rappresentato dalle burocrazie centrali dei Ministeri, assai restie a cedere poteri anche solo amministrativi ai governi subnazionali. La storia dell’ultimo cinquantennio, con i tre decentramenti del 1972, 1977 e 1997 (leggi Bassanini), è istruttiva a proposito. Il valore finanziario di tutte le funzioni non LEP, di natura prevalentemente regolamentare, dovrebbe comunque essere limitato.

Per le altre 14 funzioni per le quali è prevista la preliminare definizione dei LEP e tra cui spiccano la tutela della salute, i trasporti, l’energia e i beni culturali e ambientali, il Governo si è riservato due anni di tempo per la loro definizione. Per alcune di esse (sanità, trasporti, ambiente) ci sono già delle esperienze in corso, pur con evidenti limiti, ma la vastità degli ambiti di riferimento dei LEP nonché la varietà delle loro caratteristiche – emerse dai lavori della Commissione Cassese – imporrebbero una scelta su quelli prioritari che sarebbe bene attribuire al Parlamento, sapendo che il processo andrà avanti a lungo.

La vera questione fondamentale per un avvio ordinato dell’autonomia differenziata è però riconducibile alla attuazione del sistema di finanziamento delle funzioni già oggi attribuite a tutte le Regioni e disegnato dal combinato della L. n. 42/2009 e del D.Lgs. n. 68/2011. Il complesso meccanismo previsto da tali atti individuava un finanziamento dei governi regionali composto da tributi regionali propri, compartecipazioni su tributi erariali e due fondi perequativi basati su fabbisogni standard e capacità fiscali per finanziare sia le funzioni legate ai LEP sia le altre, risorse alle quali si dovrebbero aggiungere quelle dedicate al finanziamento dei fabbisogni infrastrutturali. Sappiamo però che tale sistema è ancora tutto da costruire: la sua definizione è stata inserita come “riforma abilitante” tra gli interventi del PNRR e dovrebbe essere completata entro il primo quadrimestre del 2026, per essere attuata all’inizio del 2027. Anche nel Country Report del giugno 2024 della Commissione europea sono stati segnalati rischi per l’equilibrio della finanza pubblica con l’avvio del regionalismo differenziato.

Come intende muoversi il Governo? Come si può conciliare il meccanismo di finanziamento delle funzioni asimmetriche con quello previsto per le funzioni simmetriche? Quale sarà in concreto il sistema perequativo prescelto tra i numerosi possibili ai quali si può fare riferimento? Sinora non ci sono state risposte esaurienti, e la L. n. 86/2024 fa solo un generico riferimento all’art. 15 del D.Lgs. 68/2011 rispetto a quella che dovrà essere la fase a regime per il “regionalismo simmetrico”.

Infine, non si è ancora valutato a fondo l’impatto della legge sui meccanismi di governance tra Stato, Regioni ed enti locali per la gestione delle politiche pubbliche. Nel dibattito in corso spesso si presuppone che governo nazionale e Regioni possano agire in un contesto di competenze rigidamente e precisamente attribuite, mentre sappiamo che essi operano in un contesto di interferenze reciproche, che li rendono mutualmente interdipendenti. Bisogna sempre ricordare come la distinzione tra competenze concorrenti ed esclusive sia molto labile, a fronte delle complessità e intersettorialità delle principali politiche pubbliche, che consentono comunque interventi centrali in nome delle sue cosiddette competenze trasversali. Da questo punto di vista, l’autonomia differenziata renderà ancora più complicato l’intreccio tra le attività statali e quelle regionali.

Forse è tempo di aprire una riflessione sull’adeguatezza del sistema delle Conferenze e sulla possibilità di mettere in atto il meccanismo di integrazione della Commissione parlamentare per le questioni regionali con rappresentanti delle autonomie territoriali, previsto dall’art. 11 della legge costituzionale n. 3/2001 (visto che non si parla più di creare una seconda Camera delle autonomie in luogo del Senato…). Più nello specifico, sarà necessaria una chiara regia unitaria rispetto alle previste Commissioni paritetiche bilaterali Stato-Regioni-enti locali, previste dall’art. 5 della L. n. 86/2024 per la definizione dei finanziamenti necessari per lo svolgimento di funzioni aggiuntive e rivedibili anno dopo anno, che dovranno essere resi coerenti con il sistema di finanziamento ordinario. Ciò era stato in parte riconosciuto anche dal Ministro Calderoli, che aveva istituito nell’aprile 2023 una Commissione di studio e analisi sul sistema delle Conferenze per verificare soprattutto il ruolo che dovrebbe svolgere la Conferenza per il coordinamento della finanza pubblica e dei cui risultati sarebbe utile sapere qualcosa.

*Collaboratore del Centro Studi sul Federalismo

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