Alberto Majocchi
Commento n. 180 - 29 maggio 2020
La presentazione al Parlamento europeo del Recovery Plan da parte della Presidente della Commissione Ursula von der Leyen, incentrato su un nuovo strumento denominato Next Generation EU, introduce nel panorama politico europeo una serie di elementi di grande rilievo, anche in una prospettiva costituzionale. Possiamo cercare di riassumere questi elementi nei termini seguenti.
In primo luogo, cade nell’Unione il divieto di ricorrere all’emissione di titoli per finanziare la spesa pubblica. Con la possibilità di finanziare investimenti e riforme con la raccolta di fondi sul mercato (che vale per ora fino al 31 dicembre 2024) viene finalmente applicata anche in Europa la golden rule per cui gli investimenti, avendo normalmente una durata pluriannuale, possono essere finanziati con debito. La raccolta di fondi sui mercati finanziari contribuirà a ripartire nel tempo i costi di finanziamento dello strumento previsto per rilanciare l’economia europea, in accordo con le regole esistenti: la Decisione sulle risorse proprie consentirà un eccezionale e temporaneo aumento dello 0,6%, del tetto per gli stanziamenti di impegno e di pagamento, che permetterà alla Commissione di prendere a prestito 750 miliardi sul mercato, in modo tale che gli Stati membri non debbano versare rilevanti contributi aggiuntivi al bilancio dell'UE nel periodo 2021-2027. E a questi fondi – di dimensioni inimmaginabili se per il finanziamento si fosse dovuto ricorrere al prelievo fiscale –, si aggiungono i 540 miliardi già definiti in seno all’Eurogruppo (MES, SURE, BEI) e i 1.100 miliardi previsti nel Quadro Finanziario Pluriennale. Si potrà così mettere in campo una potenza di fuoco, per contrastare gli effetti dell’emergenza sanitaria, che sarà in grado di attivare investimenti per 3.100 miliardi di euro.
Ma il finanziamento di questi investimenti, e questa è la seconda osservazione, non è incondizionato. Nella prassi americana, e nella letteratura sul federalismo fiscale, si distingue fra conditional grants e unconditional grants-in-aid. Il primo tipo di sussidi prevede un trasferimento di fondi a favore dei livelli inferiori di governo per promuovere progetti o programmi, ed è quindi destinato a un fine determinato – una maggiore produzione di un bene pubblico –, mentre per gli unconditional grants è l’ente locale che decide sul migliore utilizzo delle risorse ricevute. In questo caso, il fine del trasferimento è prevalentemente di tipo perequativo, come avviene largamente in Germania: il regime tedesco si basa sul principio della "perequazione delle condizioni di vita" (Art. 107 della Grundgesetz), che viene garantito sia con trasferimenti verticali dal Bund ai Länder più poveri, sia orizzontali, dai Länder ricchi a quelli poveri, il cosiddetto Länderfinanzausgleich.
Nel bilancio europeo prevalgono i trasferimenti di tipo perequativo ed è limitata la produzione di beni pubblici. L’obiettivo principale del Recovery Plan è di superare la crisi generata dalla pandemia, affrontando la sfida della doppia transizione, ecologica e digitale, e garantendo, al contempo, l’equità sociale della manovra. I fondi raccolti sul mercato saranno canalizzati attraverso i diversi programmi del budget europeo al fine di conseguire questi diversi obiettivi. Appare quindi del tutto congruo l’utilizzo di conditional grants, ossia che i sussidi vengano concessi, ma subordinatamente all’investimento di questi fondi nei diversi programmi previsti dal piano di rilancio.
La terza osservazione riguarda la riforma della fiscalità europea prevista nella Comunicazione della Commissione. L’emissione di titoli garantiti dal bilancio dell’Unione mette in campo la necessità di disporre, oltre che delle risorse proprie tradizionali e della nuova risorsa fornita da un prelievo sugli imballaggi di plastica non riciclata, di nuove forme di prelievo legate alle politiche per contrastare i cambiamenti climatici, ma anche all’applicazione di principi di equa tassazione in un mondo globalizzato. Si tratta, in primo luogo, di prevedere una nuova risorsa legata all’Emission Trading System, esteso possibilmente ai settori marittimo e dell’aviazione. Agli Stati membri verrebbe garantito il gettito derivante, negli anni precedenti, dalla vendita all’asta dei permessi, ma tutti i redditi al di sopra di questo ammontare verrebbero destinati al bilancio europeo, per un gettito di 10 miliardi. Ma, soprattutto, è prevista l’introduzione di un diritto doganale alla frontiera (Border Carbon Adjustment - BCA), legato alla fissazione di un carbon price per le emissioni di CO2, al fine di evitare carbon leakages e garantire la competitività delle imprese europee che pagano un prezzo per i danni causati dalle emissioni di CO2. Questo BCA porterà redditi addizionali per un ammontare compreso fra 5 e 14 miliardi, tra l’altro sufficienti per coprire la spesa per interessi delle emissioni di titoli da parte dell’Unione. Una tassa sulle società prelevata su una base imponibile comune definita a livello europeo – al fine di evitare fenomeni di dumping fiscale – potrà fornire annualmente un’ulteriore entrata di 10 miliardi. Infine, una tassa digitale modellata secondo lo schema elaborato dall’OECD e applicata a imprese con un fatturato superiore a 750 milioni potrà generare un gettito di 1,3 miliardi. Queste nuove risorse proprie dovrebbero essere introdotte entro il 2024 per garantire non solo il pagamento degli interessi, ma anche, a partire dal 2028, il rimborso dei fondi presi a prestito dalla Commissione sul mercato.
Resta infine un’ultima osservazione relativa agli sviluppi costituzionali resi possibili dal nuovo modello di risorse proprie proposto dalla Commissione. L’introduzione delle nuove imposte, in particolare quella dell’imposta sulle società e della web tax, deve passare attraverso la procedura prevista dall’articolo 311 TFUE, con l’approvazione unanime del Consiglio e la ratifica dei 27 paesi membri. Soltanto il BCA può essere introdotto secondo la procedura legislativa ordinaria in quanto in base all’articolo 3 TFUE l’Unione ha competenza esclusiva per quanto riguarda la politica commerciale comune e l’articolo 207(2) prevede esplicitamente che “il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando mediante regolamenti secondo la procedura legislativa ordinaria, adottano le misure che definiscono il quadro di attuazione della politica commerciale comune”. E il BCA, trattandosi di un diritto doganale, rappresenta una risorsa propria attribuita direttamente al bilancio dell’Unione.
Questa scelta di imporre un BCA, che è essenziale per la realizzazione del Green Deal, consentirebbe, anche se di modeste dimensioni finanziarie, di compiere un primo passo verso un’autonomia fiscale dell’Unione. Ma le misure ulteriori troverebbero maggiori ostacoli, dovendosi applicare l’articolo 311. è ragionevole pensare che, sfruttando le difficoltà che emergeranno su questo punto, possa essere avviata una battaglia da parte del Parlamento europeo – attualmente escluso dalla procedura per l’approvazione di nuove risorse – per una riforma dei Trattati che preveda una codecisione fra Parlamento e Consiglio che votano a maggioranza, senza ratifiche nazionali. Un’ulteriore spinta verso uno sviluppo costituzionale in senso federale può venire dal Green Deal in quanto il punto centrale per arrivare alla “neutralità carbonio” è quello dell’energia, ossia inizialmente il passaggio dagli oli minerali al gas naturale e, successivamente, alle energie rinnovabili. Lo strumento decisivo per realizzare questo obiettivo è la fissazione di un carbon price, ma sono in gioco anche i rapporti con la Russia e con i paesi dell’Africa sahariana. Sfruttando anche queste spinte, il Parlamento può trovare la forza per promuovere una riforma dei Trattati – incluso il Trattato EURATOM data la sua competenza in materia di energia – che garantisca all’Unione i caratteri di una democrazia federale anche sul terreno fiscale.
*Professore Emerito di Scienza delle Finanze all’Università di Pavia e Vice Presidente del Centro Studi sul Federalismo (è in corso di pubblicazione da Il Mulino il suo nuovo libro Carbon pricing)