Alfonso Iozzo e Alberto Majocchi
Commento n. 171 - 23 marzo 2020
Fra gli effetti della crisi causata dal coronavirus sono di particolare rilievo le conseguenze sulla situazione economica e della finanza pubblica dei paesi membri. In proposito sono emerse recentemente importanti prese di posizione e appare opportuno fissare alcune considerazioni preliminari.
La prima osservazione è che si va ormai verso uno sdoganamento degli eurobond, determinato, come sempre, dall’evolversi di una situazione critica, che rende indispensabile un passo in avanti su un punto determinato, ma decisivo, secondo il modello di Jean Monnet. Nei manuali di scienza delle finanze per il finanziamento delle guerre si parla della possibilità di vendere titoli come strumento di finanza straordinaria. La lotta contro il coronavirus è una guerra e, quindi, il ricorso al debito appare inevitabile. Si tratta di individuare le linee da seguire per trarne i frutti migliori.
Per quanto riguarda il finanziamento delle spese sanitarie determinate dalla pandemia sembra dirimente l’indicazione di Olivier Blanchard che questo è un compito della Banca Centrale Europea (BCE), in quanto è l’unica istituzione in grado di agire con immediatezza per finanziare queste spese straordinarie, acquistando titoli nella misura necessaria per farvi fronte e garantendo al contempo il contenimento dello spread. è una scelta inevitabile perché bisogna agire nei tempi brevi e l’uso di qualsiasi altro strumento appare inadeguato. Crescerà il debito pubblico, ma se i tassi di interesse rimangono bassi, il debito è sostenibile come sottolineato ancora da Blanchard proprio nei confronti dell’Italia, anche se si imporrà successivamente una politica rigorosa.
Per quanto riguarda il finanziamento della ripresa economica, la considerazione preliminare da fare è che, come è avvenuto alla fine della Seconda Guerra Mondiale, la ricostruzione dovrà avvenire non sulla base del vecchio modello di sviluppo, inquinato e inquinante, bensì mirando alla costruzione di un sistema economico sostenibile, equo e carbon free. Il vecchio sistema muore con il coronavirus, anche se la transizione sarà non breve e costosa. Il finanziamento di questa transizione avverrà largamente attraverso emissione di titoli, secondo diversi canali e con alcune condizioni.
Il finanziamento delle imprese, per avviare la transizione ecologica prevista dal Green Deal, può essere posto a carico della Banca Europea per gli Investimenti (BEI), che è destinata a diventare, secondo la Presidente von der Leyen, una Climate Bank.
Un secondo canale di finanziamento riguarda i livelli inferiori di governo, e in particolare le municipalità, che avranno un ruolo decisivo nella realizzazione del Green Deal, come appare con chiarezza nella lettera inviata a Ursula von der Leyen da 31 sindaci delle grandi città europee (basti pensare alla sostituzione del trasporto pubblico a quello privato, alle trasformazione degli edifici per renderli compatibili con la riduzione nell’uso di combustibili fossili, alla mobilità dolce, alle piste ciclabili, alla pianificazione urbana). In questo caso il finanziamento dovrà essere posto a carico del Meccanismo Europeo di Stabilità (MES), che emetterà sustainable bond (non più stability bond perché l’obiettivo non è più salvare gli stati, bensì avviare l’economia verso un percorso di sviluppo sostenibile) e con il ricavato farà prestiti a bassi tassi di interesse. L’unica condizionalità da imporre è che gli investimenti siano compatibili con il nuovo modello verde di sviluppo.
Il MES andrà quindi riformato sul modello della Cassa Depositi e Prestiti, che in Italia finanziava le spese in conto capitale degli enti, con la “delegazione di pagamento” che privilegiava il rimborso del prestito. Il MES si finanzierà sul mercato emettendo titoli a fronte di crediti che si avvalgono della clausola di creditore privilegiato, e potrà così creare un mercato di safe asset di notevoli dimensioni, di cui il mercato finanziario internazionale ha un crescente bisogno.
Il terzo canale riguarda il finanziamento degli investimenti necessari per la transizione ecologica. è chiaro che l’uscita dalla crisi pandemica coinciderà con l’avvio della realizzazione del nuovo modello economico prefigurato nel Green Deal. La Commissione prevede investimenti addizionali rispetto alla baseline per almeno 260 miliardi di euro annui, ma probabilmente dovranno essere di più. E bisogna tener conto anche della necessità di attivare il finanziamento di un Piano Marshall per l’Africa, da parte dell’UE, per sostenere – fra l’altro – la realizzazione degli impianti di produzione di energie rinnovabili, destinate a sostituire i combustibili fossili. Questo canale va finanziato con emissione di titoli, ma a due condizioni: a) che gli investimenti si traducano in una crescita della proprietà pubblica, che produca i redditi necessari per la restituzione del debito (sul modello IRI per le autostrade) e che possa contestualmente generare un patrimonio capace di sostenere il welfare futuro secondo il modello norvegese (basato sugli introiti dal petrolio); b) che le emissioni siano garantite da un’autonoma capacità fiscale, con l’introduzione di nuove risorse dell’Unione. Su quest’ultimo punto l’ipotesi più ragionevole, che emerge dalla Comunicazione della Commissione sul Green Deal, è che il sistema dell’Emissions Trading System (ETS) venga esteso – almeno in parte – ai settori che ne sono esclusi, che i permessi vengano venduti all’asta e una parte del gettito vada al bilancio europeo e, infine, che venga introdotto un border carbon adjustment il cui gettito costituisce una risorsa propria, in quanto si tratta di un diritto doganale, senza dover necessariamente adottare la procedura prevista dai Trattati (art. 311 Tfue) per l’introduzione di nuove categorie di risorse proprie.
Inoltre, per quanto riguarda gli investimenti andrebbe anche esaminata l’attivazione del Trattato EURATOM (da trasformare in “Comunità Europea dell’Energia e dell’Ambiente”, con l’estensione delle competenze già previste dai trattati a tutte le altre fonti di energia), che già prevede la possibilità di emettere Union bond.
In definitiva, dopo lo tsunami del coronavirus potrebbe emergere una nuova struttura dell’economia e della finanza europea, finalizzata prioritariamente alla realizzazione del Green Deal e finanziata largamente con emissione di titoli garantiti da risorse proprie, che prefigurano l’emergere di una finanza autonoma a livello dell’Unione. Questa nel medio periodo dovrà svilupparsi su più canali: con l’introduzione di un prezzo del carbonio nei settori non inclusi nell’ETS, con una digital tax e con una tassa sulle transazioni finanziarie, per poi arrivare a un prelievo sulle società una volta definita la base imponibile comune a livello dell’Unione.
*Alfonso Iozzo è Presidente del Centro Studi sul Federalismo e Vice Presidente della Robert Triffin International; Alberto Majocchi è Professore Emerito di Scienza delle Finanze all’Università di Pavia e Vice Presidente del Centro Studi sul Federalismo