Andrea Cofelice
Commento n. 134 - 9 ottobre 2018
Come già illustrato in un precedente Commento sullo stato di attuazione del cantiere di riforme delle Nazioni Unite, l’attuale Segretario Generale Antonio Guterres, sin dal suo insediamento nel 2017, ha presentato una serie di proposte per rafforzare il sistema di sviluppo delle Nazioni Unite, riformarne il pilastro pace e sicurezza, semplificare il management dell’Organizzazione.
Prendendo a prestito una terminologia utilizzata in ambito UE, potremmo definire l’approccio adottato da Guterres come un tentativo di riforma dell’Organizzazione a trattati invariati. Prendendo atto dell’impraticabilità, nell’attuale fase, di avviare un grand bargain sulla riforma delle istituzioni intergovernative – a causa dell’assenza di consenso politico tra gli stati membri, in particolare in relazione alla madre di tutte le riforme, quella del Consiglio di Sicurezza –, il Segretario Generale ha optato per un approccio più pragmatico, finalizzato a riordinare e rendere più efficace il sistema burocratico dell’ONU.
Sarebbe tuttavia un errore derubricare tale scelta a semplice operazione di maquillage. I tre progetti di riforma – in materia di sviluppo, pace e sicurezza, e management dell’Organizzazione – poggiano, in maniera coerente, su un’unica visione strategica, che si sostanzia nel perseguimento di due obiettivi complementari. Anzitutto: aumentare le capacità operative e di governance del Segretariato, promuovendo la razionalizzazione e l’accentramento di importanti funzioni esecutive e di controllo, oggi frammentate e disperse (anche per volere degli stessi stati membri) tra vari dipartimenti e agenzie delle Nazioni Unite. Al contempo: rafforzare la presenza e l’incisività dell’azione dell’Organizzazione “sul campo”, ristrutturando e potenziando la rete di missioni, team e uffici nazionali e regionali delle Nazioni Unite.
In sostanza, l’intento è quello di istituire un Segretariato rafforzato, con maggiori poteri esecutivi e di controllo, che abbia la capacità di agire sul campo, grazie ad una nuova generazione di uffici nazionali e regionali, in maniera più rapida, trasparente e, in ultima istanza, efficace.
La riforma del sistema di sviluppo delle Nazioni Unite, il cui testo è stato unanimemente adottato dall’Assemblea Generale nel maggio 2018 (risoluzione 72/279), rappresenta il primo esempio di come tale visione possa essere tradotta in termini operativi. La riforma è stata introdotta dal Segretario Generale in due rapporti, pubblicati rispettivamente nei mesi di luglio e dicembre 2017, ed è il frutto di numerose consultazioni tra gli stati membri, svolte soprattutto nell’ambito del Consiglio economico e sociale (ECOSOC).
L’urgenza di riformare il sistema di sviluppo dell’Organizzazione deriva anche dalla necessità di accelerare il processo di attuazione degli Obiettivi di sviluppo sostenibile, programma d’azione globale in 17 punti adottato dall’ONU nel 2015, da realizzare entro il 2030, con l’intento di favorire lo sviluppo umano, promuovere il benessere e proteggere l’ambiente. Secondo il più recente rapporto di aggiornamento (giugno 2018), per la prima volta da oltre un decennio il numero di persone al mondo che soffrono per fame è tornato ad aumentare, passando da 777 milioni nel 2015 a 815 milioni nel 2016. Tra i principali fattori a determinare l’aumento della insicurezza alimentare: cambiamenti climatici, conflitti, incremento di disuguaglianze e rapida urbanizzazione.
Tra i sei capitoli della riforma, è possibile individuare tre punti fondamentali.
Una nuova generazione di “team nazionali”. La riforma modifica il modello istituzionale ed operativo dei team nazionali delle Nazioni Unite, composti dai rappresentanti delle varie entità ONU che operano a livello locale, per favorire una risposta più incisiva alle specifiche esigenze di ogni paese nell’attuazione degli Obiettivi di sviluppo sostenibile. La presenza dell’Organizzazione sul campo continuerà ad essere definita dal “Quadro di assistenza allo sviluppo delle Nazioni Unite”, un documento specifico per ogni paese contenente gli obiettivi strategici di medio termine, la visione collettiva e la risposta del sistema ONU alle priorità nazionali, che diventerà il più importante strumento di pianificazione delle Nazioni Unite a sostegno delle agende di sviluppo nazionali. Diversamente da quanto avviene oggi, una molteplicità di attori (autorità locali e nazionali, parlamenti, società civile, istituzioni regionali e internazionali, università e imprese) sarà impegnata nella progettazione, implementazione e valutazione di tale strumento. Inoltre, il governo ospitante concorrerà insieme ai rappresentanti delle Nazioni Unite a definire la composizione dei team nazionali all’inizio di ciascun ciclo di programmazione.
Un sistema indipendente e rafforzato di “coordinatori residenti”. I team nazionali delle Nazioni Unite continueranno ad essere guidati dalla figura del “coordinatore residente”, il funzionario delle Nazioni Unite più alto in grado che opera a livello-paese nel settore dello sviluppo. A partire dal 2019, tale ruolo verrà rafforzato. La sua funzione sarà separata e resa indipendente da quella di rappresentante dello UNDP (attualmente coincidenti); avrà maggiori capacità decisionali nei confronti dei team nazionali, soprattutto in situazioni di emergenza o di crisi umanitarie; sarà infine responsabile del proprio operato direttamente al Segretariato Generale, e non più a strutture regionali intermedie, con il risultato di snellire la catena burocratica dell’Organizzazione, sovente fonte di ritardi e disfunzionalità.
Un “patto di finanziamento” per lo sviluppo. Il sistema di sviluppo delle Nazioni Unite sarà finanziato tramite un “patto” (funding compact) che prevede impegni reciproci per stati e istituzioni onusiane. Gli stati garantiranno un sostegno finanziario più regolare, sostenibile e responsabile, attraverso impegni pluriennali. Gli organismi delle Nazioni Unite si impegnano, in cambio, a presentare relazioni annuali sui risultati ottenuti a livello sistemico; aderire all’Iniziativa per la trasparenza degli aiuti internazionali, per certificare la piena conformità del proprio operato agli standard internazionali in materia di trasparenza; facilitare l’accesso ai dati sui finanziamenti e offrire maggiore visibilità ai contributi degli stati membri; ricorrere a valutazioni indipendenti sulla qualità dei risultati ottenuti; destinare ad attività congiunte almeno il 15% delle risorse non strategiche di ciascuna agenzia di sviluppo.
L’analisi di questi tre aspetti mostra come la riforma del sistema di sviluppo persegua soluzioni win-win: il Segretariato Generale ottiene il rafforzamento delle proprie funzioni esecutive e di controllo; gli stati donatori (su tutti USA e UE) una maggiore attenzione ai risultati, nonché garanzie in termini di trasparenza e razionalizzazione delle risorse; gli stati beneficiari e/o a tendenze “sovraniste” (tra cui Cina, Russia e alcuni stati africani) titolarità e responsabilità più ampie nella definizione delle strategie nazionali di sviluppo e la composizione dei team nazionali.
Naturalmente, il test per verificare la bontà complessiva della riforma sarà rappresentato dalla rinnovata capacità da parte del sistema di sviluppo delle Nazioni Unite di ottenere risultati efficaci sul campo, in termini di riduzione delle disuguaglianze, contrasto alla povertà e promozione degli obiettivi di sviluppo sostenibile. Dopo tutto, per dirla con Antonio Guterres, “reform is about putting in place the mechanisms to make a real difference in the lives of people”.
* Ricercatore del Centro Studi sul Federalismo