Andrea Cofelice
Commento n. 150 - 16 maggio 2019
Nell’attuale dibattito sulla crisi del multilateralismo in ambito commerciale, l’attenzione si è prevalentemente incentrata sul declino dell’autorità normativa dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC). Meno esplorata, ma altrettanto evidente, è la crisi che ha colpito i meccanismi internazionali di risoluzione delle controversie commerciali, cresciute di pari passo con il fiorire del commercio globale. Tale discorso abbraccia sia le controversie tra stati, in cui i governi contestano le politiche commerciali di altri governi, sia quelle tra stato e investitori, in cui sono i singoli investitori a presentare reclami nei confronti dei governi, spesso lamentando abusi, discriminazioni o espropriazioni arbitrarie.
La maggior parte delle controversie intergovernative sono gestite nell’ambito dell’OMC: ciascuno stato può infatti rivolgersi ad un “Organismo di risoluzione delle controversie”, strutturato in una sorta di camera di primo grado (c.d. panel) e in un organo di appello, per contestare l’applicazione o l’interpretazione delle regole commerciali da parte di suoi pari. Tale Organismo, composto da uno staff permanente di giudici, avvocati e funzionari, emette decisioni vincolanti per gli stati. Sebbene il forum arbitrale sia considerato da più parti come uno dei massimi successi dell’OMC (ha contribuito a istituzionalizzare le regole e a ridurre la minaccia di guerre commerciali), la sua autorità è stata spesso messa in discussione dai membri più influenti dell’Organizzazione, che paventano il rischio di erosione della sovranità nazionale.
Gli Stati Uniti, dopo aver iniziato ad ignorare una serie di decisioni sfavorevoli, dal 2016 stanno bloccando la nomina di nuovi giudici all’organo di appello, attualmente ridotto alla soglia minima di funzionamento (tre membri, rispetto ai sette previsti). Nel corso dell’anno scadrà il mandato di due dei tre giudici ancora in carica: qualora non dovessero essere sostituiti, l’organo di appello cesserebbe di fatto di funzionare, mettendo in discussione l’intero sistema di risoluzione delle controversie dell’OMC. Nonostante l’evidente urgenza di un rilancio del meccanismo, all’interno dell’OMC il dibattito su possibili riforme si è incentrato su aspetti meramente procedurali: aumento del numero di esperti nei panel, digitalizzazione dei documenti, adozione del voto a maggioranza (invece che all’unanimità) da parte dell’organo di appello ecc. Ad oggi, le uniche proposte sistemiche di riforma sono state formulate dalla società civile.
Non esistono invece tribunali permanenti per giudicare le controversie tra stato e investitori privati: sono gli stessi ricorrenti a scegliere, di volta in volta, un collegio di arbitri indipendenti (generalmente composto da esperti legali, professori, avvocati, ex giudici) cui sottoporre il proprio caso. L’oggetto delle controversie che possono essere deferite a un collegio arbitrale scelto dalle parti è definito di volta in volta nei singoli accordi commerciali: sono in vigore circa 2.500 trattati internazionali contenenti disposizioni sulle controversie in materia di investimenti. Tuttavia, oltre a essere diventato oggetto di aperta ostilità da parte di un nucleo consistente di opinione pubblica internazionale, nel corso del tempo tale sistema ha rappresentato uno dei punti di maggior attrito nei negoziati sui grandi accordi commerciali trans-regionali, quali il NAFTA, il Partenariato trans-pacifico o il progetto, sospeso nel 2016, di Partenariato transatlantico per il commercio e gli investimenti tra USA e UE.
Quali sono i principali aspetti problematici del sistema attuale? Un gruppo di lavoro intergovernativo, istituito nel 2017 dalla Commissione delle Nazioni Unite per il diritto commerciale internazionale (UNCITRAL), ha individuato tre criticità di natura sistemica e interdipendente: 1) Mancanza di coerenza, prevedibilità e correttezza delle decisioni dei collegi arbitrali: il riferimento è alla possibilità, per i tribunali ad hoc, di approdare a interpretazioni divergenti e incoerenti delle singole disposizioni contenute nei trattati commerciali e di altri principi del diritto internazionale. 2) Problemi connessi ai meccanismi di selezione e ai requisiti degli arbitri, con particolare riferimento ai dubbi sulla scelta, l’indipendenza e l’imparzialità dei decisori, nonché alla mancanza di trasparenza dei meccanismi di aggiudicazione. 3) Costi e durata eccessivi dei procedimenti arbitrali.
Per essere affrontate e risolte in maniera efficace, non bastano pertanto interventi episodici, è necessaria una riforma strutturale dell’intero sistema di risoluzione delle controversie. Sulla base di tale convinzione, nello scorso mese di aprile l’UE, attiva all’interno del gruppo di lavoro dell’UNCITRAL, ha presentato la proposta di istituire un “meccanismo permanente internazionale” (leggasi “corte”) per la risoluzione delle controversie tra investitore e stato. La proposta prevede che la corte si strutturi in: un panel di mediatori, con il compito di favorire la risoluzione amichevole delle controversie; una camera di primo grado, composta da giudici nominati a tempo pieno, selezionati sulla base di rigorosi requisiti etici e garanzie di indipendenza (così come avviene per gli attuali tribunali internazionali); un organo di appello, per esaminare ricorsi contro eventuali errori di diritto o evidenti errori nell’interpretazione dei fatti da parte della camera di primo grado. Inoltre, per garantire certezza del diritto ed effettiva applicazione delle decisioni arbitrali, l’UE propone di rendere non appellabili le decisioni arbitrali a livello nazionale o presso altre istituzioni internazionali, dal momento che il meccanismo garantirebbe già due gradi di giudizio. Quest’aspetto, in combinato disposto con l’assenza di riferimenti alla necessità di tutelare i diritti fondamentali universalmente riconosciuti, rappresenta forse la principale criticità della proposta, per il resto ampiamente condivisibile.
Giudicare le controversie tra stato e investitori in “isolamento clinico” rispetto al diritto internazionale dei diritti umani implicherebbe, per la futura corte, il rischio di adottare decisioni (per di più non appellabili) in potenziale contrasto con la normativa internazionale (nonché della stessa UE) in materia, ad esempio, di sicurezza del lavoro, tutela dell’ambiente, sicurezza alimentare, ecc. Per evitare potenziali conflitti e aumentare le possibilità di accettazione delle decisioni della corte, sarebbe opportuno per lo meno che l’organo di appello possa esaminare la conformità delle decisioni assunte in primo grado con le principali convenzioni delle Nazioni Unite e dell’Organizzazione internazionale del lavoro in materia diritti umani.
Al di là di questo specifico aspetto, la proposta europea di riforma del sistema di risoluzione delle controversie tra investitore e stato, che verrà discussa nel corso dell’anno dal gruppo di lavoro dell’UNCITRAL, è senz’altro apprezzabile, poiché consente di incrementare prevedibilità e uniformità delle decisioni arbitrali, e di rimuovere le gravi preoccupazioni di ordine etico che caratterizzano il sistema attuale. L’auspicio è che la carica progettuale dimostrata dall’UE in tale frangente possa segnare l’avvio di una strategia politica più ampia, finalizzata a rilanciare finalmente il multilateralismo istituzionale in ambito commerciale, a partire dall’autorità normativa dell’OMC.
*Ricercatore del Centro Studi sul Federalismo