Stato dell’Unione 2023: quando la Storia non aspetta

Stato dell’Unione 2023: quando la Storia non aspetta

Flavio Brugnoli
   

Commento n. 272 - 14 settembre 2023 

Ursula von der Leyen ha tenuto ieri, al Parlamento europeo a Strasburgo, il suo ultimo (forse) “Discorso sullo stato dell’Unione” da Presidente della Commissione europea. Era scontato che non avrebbe fatto il minimo cenno a una sua eventuale ricandidatura per il quinquennio 2024-2029. Ma il suo è stato un discorso in gran parte proiettato sul futuro, per un’Unione europea (Ue) che deve essere “pronta per l’appuntamento con la Storia”. E che la Storia abbia subito una brusca accelerazione è sotto gli occhi di tutti: dalla pandemia all’aggressione della Russia all’Ucraina, dal dramma senza fine delle migrazioni all’impatto spesso devastante dell’emergenza climatica, dal confronto USA-Cina alla emersione di un eterogeneo “Sud Globale”.

Era altrettanto scontato, ma anche doveroso, che la Presidente von der Leyen sottolineasse le “promesse mantenute” dalla Commissione da lei guidata, accomunando in quei successi il Parlamento e gli Stati membri. Degli orientamenti politici che la allora candidata Presidente aveva presentato nel luglio 2019, “oltre il 90% (…) sono diventati misure concrete”. Ma molto resta da fare, “nei prossimi 300 giorni”, prima che i cittadini europei siano chiamati alle urne. Un impegno non facile, mentre già prende avvio la campagna elettorale e con una Commissione indebolita dall’uscita, con diverse motivazioni, di numerosi Commissari (dai Vicepresidenti esecutivi Frans Timmermans e Margrethe Verstager, a Mariya Gabriel e probabilmente Jutta Urpilainen).

Von der Leyen è partita dai tre pilastri programmatici della Commissione in questi anni: “un’Europa verde, digitale e geopolitica”. Chi temeva un ammorbidimento sul Green Deal europeo dovrebbe essere stato rassicurato dalle parole della Presidente. Ma un forte accento viene ora messo sul ruolo dei “produttori”, anzitutto l’industria, ma anche gli agricoltori. La Commissione si impegna a sostenere l’industria europea nella “transizione pulita” e nell’affrontare le sfide della carenza di manodopera, dell’inflazione, della semplificazione normativa (in particolare per le PMI). Il “dialogo strategico sul futuro dell’agricoltura nell’Ue” che si intende avviare guarda soprattutto alla indipendenza europea nell’approvvigionamento alimentare. Al tempo stesso, una transizione “equa e giusta” deve saper creare posti di lavoro di qualità. Ma questo solleva enormi problemi in fatto di equa concorrenza a livello globale.

La Presidente ha attaccato le pratiche commerciali sleali della Cina, che impongono all’Ue di adottare adeguate misure di protezione. A partire da una inchiesta sulle sovvenzioni statali ai veicoli elettrici provenienti dalla Cina. Un confronto diretto fra blocchi economici continentali, che denuncia indirettamente l’afasia della WTO. Ma von der Leyen ha anche confermato la volontà di tenere aperti canali di dialogo con la Cina, puntando sulla riduzione dei rischi (de-risking) piuttosto che sul disaccoppiamento (decoupling) perorato dagli USA. Un approccio da lei già illustrato, nel marzo scorso, in un importante discorso sulle relazioni Ue-Cina.

Oggi non si può discutere di competitività dell’industria europea senza affrontare il tema della “autonomia strategica”. Von der Leyen ha posto un obiettivo ambizioso: “il futuro della nostra industria delle tecnologie pulite deve concretizzarsi in Europa”. La Commissione vuole muoversi su più fronti: esplorare il futuro della competitività europea, con un rapporto (di certo di ampia portata) affidato a Mario Draghi; rilanciare il dialogo fra le parti sociali, sul modello di quello avviato da Jacques Delors nel 1985 a Val Duchesse; impegnarsi sul digitale per un’Ue “capofila mondiale dei diritti dei cittadini”, ma anche in grado di rispondere alla velocità con cui avanza l’Intelligenza Artificiale (AI), promuovendo una strategia incentrata su misure protettive, una governance mondiale, una guida condivisa dell’innovazione.

Sul versante geopolitico, von der Leyen ha confermato il pieno sostegno dell’Unione all’Ucraina aggredita (emozionante il ricordo della scrittrice Victoria Amelina, “vittima di un crimine di guerra russo”), con la proposta di prorogare la protezione temporanea agli ucraini nell’Ue e la richiesta di una rapida approvazione della revisione del bilancio pluriennale europeo presentata dalla Commissione, che prevede 50 miliardi, su quattro anni, per investimenti e riforme nell’Ucraina da ricostruire. Colpisce invece che, come già lo scorso anno, von der Leyen abbia detto ben poco in materia di difesa europea. Salvo un cenno a “impegni credibili in materia di sicurezza in un mondo in cui la deterrenza conta più che mai”, accompagnato dalla ecumenica affermazione che “completare la nostra Unione sia il migliore investimento a favore della pace, della sicurezza e della prosperità nel nostro continente”.

La guerra scatenata da Putin ha rimesso in moto il processo di allargamento dell’Unione, con Ucraina e Moldavia (e in futuro Georgia) che vanno ad affiancare i Balcani occidentali. Il che ripropone l’esigenza dell’approfondimento, di come preparare l’Unione a quando “saremo in 30 e più”. Von der Leyen ha tenuto una linea ambivalente: sostegno alle proposte del Parlamento di revisione dei Trattati (che dovrebbero essere approvate in plenaria in novembre), “anche attraverso una Convenzione europea e un cambiamento dei trattati, se e laddove necessario”. Su questo le resistenze verranno da non pochi governi nazionali (anche se il Consiglio europeo può convocare la Convenzione a maggioranza semplice). Ma per von der Leyen “non possiamo e non dobbiamo aspettare che cambino i trattati per proseguire sul percorso dell'allargamento. Un’Unione adatta all'allargamento può essere ottenuta più rapidamente”. Non si è però vincolata a delle date, come il 2030 indicato a fine agosto dal Presidente del Consiglio europeo Charles Michel. Ma sia von der Leyen sia Michel hanno sottolineato che l’adesione dovrà essere “basata sul merito” e richiederà il pieno rispetto dello Stato di diritto; entrambi hanno anche ricordato che alcune recenti e importanti decisioni sono state adottate dall’Ue all’unanimità.

La proiezione globale dell’Ue va però ben oltre l’allargamento. Von der Leyen ha ricordato le alleanze con i partner principali (dall’Australia, al Giappone, agli USA) sulle catene di approvvigionamento critiche e i nuovi accordi di libero scambio nel quadro di un commercio “aperto ed equo”. Un rilievo crescente sta assumendo il Global Gateway, per sviluppare collaborazioni trasparenti e sostenibili con altre aree del mondo. Una citazione a sé stante merita “il progetto più ambizioso della nostra generazione”: il recente accordo sul corridoio economico India-Medio Oriente-Europa, una sorta di risposta alla Belt and Road Initiative cinese. Si annuncia anche un “nuovo approccio strategico” nei confronti dell’Africa, in occasione del prossimo vertice Ue-Unione africana (Ua) – singolare che la Presidente non abbia nemmeno menzionato un evento come l’ammissione dell’Ua al G20. Suonano invece troppo ottimistiche le speranze riposte da von der Leyen nel nuovo “Patto sulla migrazione e l’asilo”, pur se accompagnate dall’impegno a lottare contro la tratta di esseri umani.

Ci attendono “300 giorni” e una nuova legislatura europea molto difficili, in un mondo in cui autocrazie, violenze e fanatismi minacciano le democrazie, a loro volta spesso erose dall’interno da spinte nazionalistiche. Non si può che concordare con l’appello finale della Presidente von der Leyen: “è tempo che l'Europa pensi di nuovo in grande e sia artefice del suo destino!”. Ma tornano in mente anche le parole di una figura a suo modo tragica come Michail Gorbaciov: “Chi arriva in ritardo, la Storia lo punisce”. La Storia non aspetterà l’Unione europea, è bene che ogni elettore ed elettrice e ogni governante europei lo abbiano chiaro, senza miopi polemiche di retroguardia o ingenue illusioni sulla durezza delle sfide che abbiamo di fronte.

*Direttore del Centro Studi sul Federalismo

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