Antonio Padoa Schioppa / 26 marzo 2024
Commento n. 289
L’attacco della Russia all’Ucraina e la risposta ammirevole di un popolo disposto a sacrificare la vita per mantenere la libertà – una libertà e una sovranità internazionalmente garantite e sottoscritte nel 1994 dalla stessa Russia – hanno determinato una reazione dell’Occidente che altrimenti sarebbe stata impensabile. La ben diversa dimensione dell’aggressore rispetto all’aggredito, insieme con i limiti ragionevolmente autoimpostisi dagli Stati Uniti e dall’Europa per non rischiare la guerra mondiale e nucleare, peraltro espressamente evocata dall’aggressore, hanno potuto limitare efficacemente, ma non rimuovere la portata dell’attacco. Più di due anni sono trascorsi, con perdite e sacrifici umani immensi.
Il motivo principale che induce a questo punto a riflettere sull’opportunità di intraprendere un tentativo di sospensione delle ostilità, una tregua nella guerra in corso in Ucraina, sta nella previsione, condivisa da molti osservatori, che la prosecuzione dei combattimenti non porterà nel futuro prossimo ad una riconquista dei territori occupati dalla Russia bensì soltanto, nella migliore delle ipotesi, al mantenimento dell’assetto attuale sul terreno.
Per la riconquista delle due contee di Zaporizhia e Kherson (ed ancor più per Donetsk, Luhansk e Crimea) occorrerebbe una vera guerra condotta dall’Occidente con decine e forse centinaia di migliaia di uomini; un’ipotesi che appare oggi impensabile sia da parte degli Usa sia da parte dell’Unione europea (Ue). E questo anche se in ipotesi l’intervento non toccasse (come non dovrebbe in nessun caso toccare) il territorio della Russia, scatenando così un confronto diretto e la guerra mondiale.
Già soltanto nell’ipotesi, tutt’altro che remota, che nei prossimi mesi la Russia riprenda ad attaccare verso Odessa o verso Kiev o comunque al di là della linea del fronte attuale, Europa e Usa dovrebbero, per evitare il collasso dell’Ucraina, non solo fornire un enorme apporto di armi ma verosimilmente anche un supporto di uomini a protezione del territorio tuttora libero dell’Ucraina. Su questo per ora non c’è accordo entro l’Unione e gli Usa sono contro.
In altre parole, tra un anno la situazione sul terreno sarebbe, come detto, nel migliore dei casi uguale all’attuale, nel peggiore ulteriormente aggravata a spese dell’Ucraina, anche a prescindere dalle perdite umane. Ecco perché la proposta di una tregua, seguita da una trattativa tra le parti con il supporto dell’Onu, appare ragionevole.
Si potrebbe osservare che, se le cose stanno così, non si vede quale sarebbe l’interesse della Russia a fermarsi ora. La risposta c’è: la Russia nelle trattative cercherebbe non solo di ottenere il riconoscimento della conquista di Crimea, Donetsk e Luhansk, ma anche quello di Kherson e Zaporizhia. Ovviamente l’Ucraina si opporrebbe e la trattativa – ad armi ferme – a questo punto proseguirebbe o fallirebbe.
L’intesa su una serie di referendum monitorati potrebbe costituire – in condizioni da concordare, sotto controllo Onu – una via d’uscita.
La proposta di tregua potrebbe provenire dall’Unione europea. Ma si dovrebbe raggiungere a questo scopo un accordo possibilmente unanime o comunque tra i maggiori Stati dell’Unione, quanto meno Francia, Germania, Italia, Polonia, Spagna. Di seguito formuliamo alcune ipotesi.
Se e finché non ci sia accordo di sospensione della guerra, l’Unione europea (quanto meno i governi di Francia, Germania, Italia, Polonia e chi altri si associ) dovrebbe dichiarare:
- l’intensificazione massima dell’impegno nell’invio di armi in Ucraina (intesa del 15 marzo 2024 tra Macron, Scholz e Tusk, da approvare in Consiglio europeo);
- l’eventuale invio di un contingente di truppe europee a difesa del territorio ucraino libero se la Russia attaccherà il territorio sul Mar Nero e Odessa ovvero il territorio liberato da Kiev nel 2022-23; una misura che potrebbe venire intrapresa anche soltanto da parte di alcuni Stati europei, ma comunque con il consenso (a maggioranza) dell’intera Unione.
Nell’ipotesi che ci sia un accordo sul cessate il fuoco proposto dall’Ue le posizioni in apertura di trattative potrebbero essere:
- (da parte della Russia): accordo per nuovi confini dell’Ucraina coincidenti con la linea attuale del fronte;
- (da parte di Europa e Occidente): impegno al ritiro entro i confini del 2014 prima della conquista della Crimea, poi trattativa sulla base di referendum in Crimea, Donetsk, Luhansk, Zaporizhia, Kherson, impegno a rispettare l’esito dei referendum, garanzia di intervento dell’Onu anche attraverso la Nato.
Ipotesi per dopo il cessate il fuoco come base per un accordo di pace:
- impegno della Russia a ritirarsi ai confini del 24 febbraio 2022 entro poche settimane e poi trattativa sulla base di referendum monitorati internazionalmente in Crimea, Donetsk, Luhansk (sotto occupazione russa), Zaporizhia, Kherson (liberati);
- impegno della Russia a rispettare l’esito dei referendum con garanzia, in caso di attacchi futuri, di intervento dell’Onu anche attraverso la Nato (Occidente), proponendo nei referendum la scelta tra il ritorno alla sovranità ucraina, ovvero l’istituzione di repubbliche indipendenti, ovvero l’annessione alla Russia;
- garanzie reciproche sulle minoranze russe in Ucraina e sulle minoranze ucraine in Russia;
- Ucraina nell’Unione europea, inclusa la difesa comune, ma non nella Nato;
- sospensione delle sanzioni alla firma dell’accordo multilaterale (le parti, l’Ue, l’Onu);
- compromesso sulla ricostruzione dell’Ucraina, principalmente a carico dell’Ue, con un contributo anche della Russia.
Il punto chiave in questa ipotesi è che la Russia accetti di ritirarsi da Zaporizhia e Kherson prima del referendum; loro proporranno di tenere i referendum in queste due provincie come in Crimea, Donetsk, Luhansk, cioè sotto occupazione; e l’esito sarebbe (probabilmente...) scontato. Si potrebbe – forse – raggiungere un compromesso decidendo che, pur se sotto occupazione, i referendum nelle due provincie si svolgano sotto effettivo controllo internazionale.
Quanto precede non implica affatto la rinuncia o il rallentamento del processo finalmente avviato per una congrua difesa comune europea, che costituisce per l’Unione la garanzia di sicurezza che sinora è mancata: a rischio, come la storia dimostra, di perdere presto o tardi anche la libertà.
*Professore emerito dell’Università degli Studi di Milano e membro del Comitato Scientifico del Centro Studi sul Federalismo (di cui è stato Presidente dal 2004 al 2010)
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