Alfonso Iozzo e Domenico Moro
Commento n. 169 - 9 marzo 2020
Un recente editoriale di Le Monde, “Migrants: l’Europe défiée”, riassume i molteplici aspetti della sfida cui deve rispondere l’Europa, politico-sociali e di sicurezza europea. L’articolo si conclude con l’invito all’Unione europea (Ue) affinché predisponga meccanismi permanenti e fondati sulla solidarietà. Questi ultimi dovranno quindi essere in grado di risolvere il problema delle migrazioni, consentendo all’Europa di rispettare il diritto di asilo e senza essere ricattata da Stati pronti a strumentalizzare le paure dei suoi cittadini. La risposta europea può però essere trovata solo se si hanno presenti le ragioni strutturali della crisi che coinvolge la Siria e, in generale, il Medio Oriente e il quadro all’interno del quale la soluzione deve essere cercata.
La crisi che coinvolge la Siria e il Medio Oriente è l’esito del disimpegno americano dall’area a seguito della crescente incapacità degli USA di continuare ad assicurare ieri l’ordine monetario, oggi l’ordine politico-militare mondiale. La fine dell’egemonia americana ha prodotto un vuoto di potere nell’area che altri Stati si sono affrettati a colmare. Il contesto all’interno del quale la soluzione va individuata è il rilancio delle istituzioni multilaterali, messe in crisi dall’indebolimento internazionale americano, quando non esplicitamente criticate dal governo USA.
Se la soluzione al problema siriano, di cui i crescenti flussi di rifugiati – che non sono solo siriani, ma anche iracheni e afghani che fuggono da aree di crisi provocate da interventi militari americani – dovesse essere cercata nel quadro dei tradizionali rapporti di potere tra Stati, difficilmente si troverà una soluzione permanente e fondata sulla solidarietà ai rifugiati. Viceversa, se il rimedio viene cercato all’interno delle istituzioni multilaterali esistenti, anche al fine di rafforzarne il ruolo, sarà probabilmente più agevole arrivare ad una soluzione duratura. Nel caso specifico, l’istituzione multilaterale cui occorre fare riferimento è il Consiglio d’Europa (CdE) e, per quanto riguarda i paesi europei, l’Ue.
Il Consiglio d’Europa, fondato nel 1949, è un’organizzazione internazionale di cui fanno parte 47 paesi, tra cui quelli che compongono l’Ue, la Russia e la Turchia. La sua missione è quella di promuovere la democrazia, i diritti umani e la ricerca di soluzioni ai problemi sociali. Ad esempio, nel 1956, diede vita a un fondo, denominato Resettlement Fund, il cui compito era quello di trovare soluzioni al problema dei rifugiati e dei profughi europei alla fine della Seconda guerra mondiale. Il fondo è stato poi trasformato nell’attuale Council of Europe Development Bank. Per quanto l’obiettivo prioritario del Consiglio e della banca siano gli interventi a favore dei 47 paesi membri del CdE, quest’ultimo può anche fare accordi con paesi terzi.
Del CdE, come detto, fanno parte le tre comunità politiche maggiormente interessate alla crisi siriana ed ai rifugiati e profughi della regione: l’Ue, la Russia e la Turchia. La soluzione alla crisi dovrebbe dunque essere cercata all’interno del Consiglio d’Europa, promuovendo un piano di sviluppo che coinvolga anche la Siria. Poiché i rifugiati in Turchia, oltre a comprendere i siriani in fuga dalla guerra civile e dall’intervento turco, includono – come ricordato sopra – anche iracheni ed afghani in fuga dai conflitti locali, il piano dovrebbe essere articolato in due parti, temporalmente separate. La prima parte del piano dovrebbe essere rivolta al problema più urgente, vale a dire la pacificazione e ricostruzione dei territori siriani devastati dalla guerra. La seconda, in una prospettiva più lunga, dovrebbe essere inserita nel quadro della pacificazione delle aree di maggiore tensione in Medio Oriente, vale a dire la pacificazione dell’Iraq, la normalizzazione dei rapporti con l’Iran e il problema della costituzione di uno Stato palestinese.
L’approccio multilaterale del Consiglio d’Europa si porrebbe dunque in alternativa a quella che si è rivelata essere una politica di potenza, sia pure condotta su scala regionale. Quest’ultima, peraltro, sembra poggiare su basi molto fragili, come testimoniato dal fatto che, nello spazio di una notte, gli stessi protagonisti sono passati dallo status di alleati a quello di contendenti, fino ad arrivare ad una tregua incerta. L’approccio multilaterale, invece, si pone nella prospettiva aperta da Macron, con il discorso agli ambasciatori francesi a fine agosto dello scorso anno e ribadita di fronte all’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa un mese dopo, con il rilancio del progetto della Casa comune europea di Gorbaciov, attraverso “la costruzione di una nuova architettura di fiducia e di sicurezza in Europa” con la Russia. Una politica condivisa dai tre interlocutori e maturata nel contesto del CdE nei confronti del problema siriano e dei rifugiati, costituirebbe un test e un passo avanti importante in quella direzione.
Il piano che riguarda la ricostruzione del territorio siriano distrutto dal conflitto potrà essere finanziato dalla Council of Europe Development Bank e dai contributi che l’Ue attualmente versa alle ONG che operano in Turchia a favore dei rifugiati. Esso non dovrà, però, solo prevedere il finanziamento della ricostruzione delle aree su cui dovranno ristabilirsi i rifugiati in Turchia, ma altresì la presenza di una forza internazionale di interposizione tra la Turchia e la Siria a garanzia della sicurezza delle aree di confine e delle popolazioni curde, come previsto dalla proposta avanzata alla fine dello scorso anno dalla Ministra della difesa tedesca, Annegret Kramp-Karrenbauer. La forza internazionale di interposizione, su mandato dell’ONU, dovrà comprendere anche forze militari dell’Ue in quanto tale. Inoltre, poiché si tratta di misure sotto l’egida del Consiglio d’Europa, la Siria dovrà gradualmente adeguarsi a quegli che sono i suoi obiettivi, vale a dire la tutela della democrazia e dei diritti umani.
La secolare prassi della politica di potenza ci dice che i vuoti di potere che, di volta in volta, si creano in varie parti del mondo, vengono colmati dalle potenze mondiali di turno. Il problema della Siria e, più in generale, del Medio Oriente, non è però quello di colmare “vuoti di potere”. Quello di cui hanno bisogno è una politica che tenga aperta la strada verso una federazione del Medio Oriente, una prospettiva già avanzata da molti politici e intellettuali dell’area fin dagli anni ’50 del secolo scorso (come Hannah Arendt, in Pace o armistizio nel Vicino Oriente?). Ma soprattutto quello di cui si ha bisogno è una comunità politica che abbia interesse a perseguire tale obiettivo: questa comunità politica, per ragioni storiche e culturali, non può che essere l’Ue.
È possibile che il piano delineato sopra, data l’urgenza evidenziata dalle cronache quotidiane sulla situazione drammatica in cui versano i rifugiati, possa essere sostenuto dall’Ue anche prima che quest’ultima metta mano alla riforma dei trattati europei. L’editoriale di cui si è parlato all’inizio sottolineava però il fatto che l’intervento a favore dei rifugiati dovrà essere permanente e quindi reggere alla prova del tempo. L’unica possibilità che ha l’Europa di essere messa in grado di gestire in maniera continuativa, non solo la politica a favore dei rifugiati siriani, ma anche una più generale politica di mantenimento della pace nell’area medio-orientale, è quella di dare seguito alla proposta della precedente Commissione presieduta da Jean-Claude Juncker e fatta propria dalla nuova Commissione presieduta da Ursula von der Leyen. Si tratterebbe di applicare la clausola cosiddetta della “passerella” per procedere al voto a maggioranza qualificata in tre settori della politica estera e di sicurezza: l’applicazione di sanzioni; gli interventi per far rispettare i diritti umani; le missioni civili nell'ambito della politica di sicurezza e di difesa comune. Questa misura darebbe solidità all’intervento del CdE, assicurandone il buon esito.
*Alfonso Iozzo è Presidente del Centro Studi sul Federalismo e Vice Presidente della Robert Triffin International; Domenico Moro è Membro del Consiglio Direttivo e Coordinatore dell’Area Sicurezza e Difesa del Centro Studi sul Federalismo