Domenico Moro
Commento n. 156 - 24 settembre 2019
La nuova Commissione europea, presieduta da Ursula von der Leyen e che dovrebbe entrare in carica il prossimo 1° novembre, rappresenta una svolta per la politica europea di difesa e per le ricadute industriali che questa politica potrà comportare. Nelle mission letters inviate a tutti Commissari designati, von der Leyen ha precisato che la nuova Commissione europea sarà una “Commissione geopolitica”. Questo significa che un rilievo decisivo verrà dato all’azione esterna dell’istituzione europea e, quindi, anche alla politica di sicurezza e di difesa, potenziandola.
In particolare, nella mission letter inviata a Josep Borrell, Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza/Vicepresidente designato della Commissione, von der Leyen precisa che dovrà sfruttare tutte le clausole che i trattati consentono per adottare le decisioni in materia di politica estera e di sicurezza a maggioranza qualificata e, soprattutto, assumere misure forti (“bold steps”) verso una genuina Unione europea della difesa. Ma la proposta decisiva, per le sue ricadute industriali, è forse quella contenuta nella mission letter inviata a Sylvie Goulard, Commissaria designata per il mercato interno. L’incarico affidato a quest’ultima non prevede solo che ad essa farà capo il Fondo europeo per la difesa che, con il prossimo ciclo finanziario pluriennale, diventerà un nuovo capitolo di spesa a tutti gli effetti del bilancio europeo. Compito della Commissaria sarà anche quello di dar vita ad un mercato europeo dell’industria della difesa, aperto e competitivo, con l’obiettivo di dar vita a dei campioni europei e mondiali nel settore. Questo lavoro sarà sostenuto – e questa è un’ulteriore importante novità della nuova Commissione – dall’istituzione di una specifica Direzione generale per l’industria della difesa e dello spazio.
Se con Jean-Claude Juncker e Federica Mogherini i rilevanti passi avanti che sono stati compiuti nella direzione di una difesa autonoma europea potevano ancora sembrare generose fughe in avanti, ma destinate ad avere poco seguito, con la nuova Commissione è ormai evidente che la politica di difesa europea è diventata una politica strutturale dell’UE, sullo stesso piano della politica agricola o della politica di coesione.
Il chiarimento sulle competenze che spettano all’UE nel settore della difesa, come conseguenza del ridisegno della struttura della Commissione e che, di fatto, ripristina in capo ad essa il potere di promuovere una politica industriale europea, apre delle opportunità che dovrebbero essere sfruttate in chiave continentale, soprattutto da parte dell’industria della difesa italiana, che può contare su riconosciute competenze in diversi settori: dall’elicotteristica, all’aeronautica, allo spazio, alla cantieristica navale. Da questo punto di vista, una possibilità che, a fronte di un inevitabile riassetto dell’industria militare europea, dovrebbe essere esplorata è quella di sfruttare appieno il varo della cooperazione strutturata permanente (Permanent Structured Cooperation - PESCO) nel settore della difesa. Questo strumento ha come obiettivo prevalente quello di dotare i paesi UE delle necessarie capacità militari, soprattutto dove sono state riscontrate le maggiori carenze.
Il dibattito che si sta aprendo in Italia sulla nuova legge di bilancio dovrebbe essere opportunamente sfruttato. Esso si sta concentrando sulla possibilità di chiedere all’UE una flessibilità di bilancio legata, ad esempio, ad investimenti nel settore ambientale. Questa politica, pur importante, ha il limite di avere un respiro nazionale, mentre più successo potrebbe avere la richiesta di una flessibilità di bilancio inserita in una prospettiva che coinvolga tutti i paesi UE e le loro imprese. L’attuale governo italiano potrebbe, ad esempio, chiedere all’UE che non vengano conteggiati negli eventuali deficit (o maggiori deficit) di bilancio, gli investimenti legati ai progetti che sono stati presentati, o che si pensa di presentare, in ambito PESCO. Si tratterebbe, in pratica, di attivare una “golden rule” europea per gli investimenti nel settore militare. Non sarebbe, però, una golden rule applicata agli interi bilanci nazionali della difesa, ma solo a quella parte dei progetti militari concepiti nel quadro multinazionale della PESCO.
Questa misura avrebbe molti vantaggi. Anzitutto, si applicherebbe a tutti i paesi UE, in quanto riguarderebbe progetti multinazionali europei per i quali si è già manifestata la disponibilità ad attivare risorse pubbliche. In secondo luogo, interesserebbe progetti per i quali è prevista la possibilità di attivare le risorse messe a disposizione del Fondo europeo per la difesa. In terzo luogo, risponderebbe in maniera più concreta all’invito, rivolto più volte in sede NATO ai paesi europei, di raggiungere l’obiettivo del 2% del PIL in spese militari, considerato un risultato minimo per una equal partnership con gli USA nell’ambito dell’Alleanza atlantica. Infine, è noto che a partire dalla fine della Guerra fredda e con il sopraggiungere della crisi finanziaria del 2008, il settore dove si sono operati i tagli più consistenti è stato proprio quello della difesa. Questo non solo ha ritardato il necessario aggiornamento delle varie piattaforme militari, ma ha anche reso necessario distribuire su più anni lo sforzo finanziario per l’aggiornamento tecnologico, ritardando così l’adeguamento dello strumento della difesa.
Una golden rule applicata ai progetti PESCO sarebbe una richiesta di flessibilità di bilancio più sostenibile di altre che si esauriscono in un quadro solamente nazionale, in quanto applicata a progetti europei destinati ad offrire un bene pubblico europeo: la sicurezza dei cittadini dell’Unione.
*Membro del Consiglio Direttivo e Coordinatore dell’Area Sicurezza e Difesa del Centro Studi sul Federalismo
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