Una via d’uscita sul MES: idee per la Commissione europea

Una via d’uscita sul MES: idee per la Commissione europea

Federico Fabbrini / 8 gennaio 2024
   

Commento n. 281

Il 21 dicembre 2023, la Camera dei Deputati del Parlamento italiano ha rigettato la ratifica del Trattato di modifica del Trattato istitutivo del Meccanismo Europeo di Stabilità (MES). Il Trattato di modifica del Trattato MES era stato concordato in bozza dall’Eurogruppo il 14 giugno 2019, e quindi firmato con alcune revisioni dai Ministri delle Finanze dei paesi dell’Eurozona il 27 gennaio e 8 febbraio 2021. Il Trattato di modifica costituiva appunto una revisione dell’originario Trattato istitutivo del MES, concluso il 1° febbraio 2012 e entrato in vigore il 27 settembre 2012. In base alle normali regole del diritto internazionale, la ratifica da parte di tutti gli stati contraenti è necessaria per l’entrata in vigore del Trattato di modifica. Ad oggi, tutti gli altri 19 attuali stati membri dell’Eurozona hanno ratificato il Trattato di modifica del MES. La decisione del Parlamento italiano di rigettare la ratifica del Trattato di modifica, tuttavia, lo neutralizza impedendone l’entrata in vigore erga omnes. Il MES resta dunque in vigore – anche per l’Italia – solo nella sua formulazione originaria.

La decisione del Parlamento italiano è stata motivata da una logica “sovranista”, e conseguentemente ha causato a livello nazionale una forte polemica politica. Vista la situazione ingeneratasi, questo commento prova ad offrire da un punto di vista tecnico-giuridico alcune opzioni europee, rivolgendosi essenzialmente alla Commissione europea, in quanto istituzione che “promuove l’interesse generale dell’Unione” (art. 17 TUE).

È utile ricordare che il MES costituisce il caposaldo della risposta europea alla crisi dell’euro di un decennio fa. Il MES è un’istituzione internazionale, con sede in Lussemburgo, dotata di un capitale di 700 miliardi di euro versato dagli stati membri dell’Eurozona pro quota (in base alle dimensioni del Pil di ogni paese) – di cui 80 versati, e 620 “a disposizione” (con l’obbligo, pertanto, degli stati di versare ulteriori contributi se richiesti dal MES). Ai sensi del suo Trattato istitutivo, il MES può fornire assistenza finanziaria a uno stato membro che versa in difficoltà di accesso al mercato dei capitali (Art. 13), fornire assistenza finanziaria precauzionale (Art. 14), ricapitalizzare direttamente le banche in seguito all’entrata in vigore del meccanismo di supervisione unica (Art. 15), fornire prestiti (Art. 16), acquistare titoli di stato sul mercato primario e secondario (Artt. 17 e 18) e indebitarsi sul mercato (Art. 21). Il MES ha fornito operativamente supporto a cinque stati membri dell’Eurozona – la Grecia, l’Irlanda, la Spagna, il Portogallo e Cipro – assorbendo operazioni di assistenza finanziaria precedentemente effettuate da due altri meccanismi temporanei, il Meccanismo Europeo di Stabilizzazione Finanziaria del 2010 e il Dispositivo Europeo di Stabilizzazione Finanziaria del 2011.

In quanto figlio della controversa risposta alla crisi dell’euro, tuttavia, il MES presenta una serie di aspetti problematici. In primo luogo, il MES è stato istituito al di fuori del quadro giuridico dei Trattati europei, attraverso un accordo intergovernativo tra gli stati dell’Eurozona. Nella sentenza Pringle del 2012 la Corte di Giustizia dell’UE ha confermato che il MES è compatibile con i Trattati europei, ma a condizione che esso incentivi gli stati che ricevono assistenza finanziaria a condurre una politica di bilancio prudente. Infatti, l’elemento distintivo dei finanziamenti forniti dal MES – che, si badi, sono solo prestiti (loans) e mai contributi a fondo perduto (grants) – è la condizionalità: tutti gli stati che hanno ricevuto finanziamenti del MES hanno quindi dovuto concludere dei gravosi programmi di aggiustamento macro-economici, sottoposti a rigida sorveglianza da parte della “troika” (Commissione, BCE, FMI), che sono risultati in ben note forme di austerità di bilancio. Infine, elemento consustanziale del MES è la sua governance: il Trattato istitutivo del MES attribuisce infatti ad ogni stato membro un potere equivalente alle quote di capitale che esso paga nel bilancio del MES. Ciò implica una forte asimmetria di potere soprattutto a favore della Germania (il Paese che ha insistito, anche su pressione della sua Corte Costituzionale, su questo sistema di governance), e della Francia ciascuna delle quali (in quanto titolari di oltre il 20% dei diritti di voto) può porre il veto a decisioni che richiedono almeno l’80% dei voti a favore. Nelle procedure di emergenza di cui all’Art. 4(4), dove è richiesta una maggioranza di almeno l’85%, anche l’Italia, con il 17,9% dei voti, ha potere di veto.

Le criticità del MES erano ben note alla Commissione europea, che non a caso già nel 2017, sotto la presidenza di Jean-Claude Juncker, aveva proposto (COM(2017)827 final) di riportare il MES all’interno del quadro giuridico comunitario, rimpiazzandolo con un nuovo Fondo Monetario Europeo (FME). La proposta della Commissione, per la verità, non modificava gran che l’architettura del MES/FME, incluso il suo finanziamento tramite contributi nazionali e l’attribuzione asimmetrica di potere decisionale agli stati membri in base ai loro versamenti. In ogni caso, essa non aveva avuto seguito da parte dell’Eurogruppo, che, come detto, tra il 2019 e il 2021 ha invece concordato una revisione del MES. Tra le novità principali di questa revisione vi erano la possibilità per il MES di offrire linee di credito precauzionale e di diventare il salvagente comune (in inglese: ‘backstop’) per il Fondo di Risoluzione Unica (FRU) – uno strumento anch’esso istituito tramite accordo intergovernativo durante la crisi dell’euro, del valore di 10 miliardi di euro, finanziato inizialmente dagli stati membri e progressivamente rimborsato dalle banche commerciali tramite contributi spalmati su un decennio. La revisione del MES, inoltre, autorizzava il MES ad effettuare un’analisi di sostenibilità del debito pubblico nazionale, e codificava le clausole di azione collettiva che facilitano la ristrutturazione del debito, ove necessario. Rigettando la ratifica del Trattato di revisione, l’Italia ha oggi neutralizzato queste modifiche.

Alla luce di quanto richiamato sopra, sarebbe utile se la Commissione rilanciasse la sua iniziativa sul MES del 2017, aggiornandola alla nuova realtà dell’Unione economica e monetaria (UEM). Dallo scoppio della pandemia, l’UEM è profondamente cambiata – specie per effetto della costituzione del Fondo per la Ripresa “Next Generation EU” (NGEU). NGEU è l’antitesi del MES: esso è costruito all’interno del quadro giuridico comunitario (non con un trattato intergovernativo), è finanziato con debito comune (non con trasferimenti statali), e attribuisce potere alle istituzioni europee (non ad un direttorio di paesi membri). Non è casuale che nell’ultimo triennio il MES sia passato in secondo piano: infatti, seppure esso avesse messo a disposizione nella primavera 2020 linee di credito speciali per aiutare gli stati dell’Eurozona ad affrontare i costi economici del Covid-19, nessun paese se ne è servito. La Commissione dovrebbe non solo riportare il MES nel perimetro del diritto UE, ma potrebbe anche proporre una soluzione diversa all’esigenza di creare un ‘backstop’ per il FRU: invece di servirsi del MES, si potrebbe utilizzare il bilancio comunitario (il Quadro Finanziario Pluriennale) come garanzia. Ciò sarebbe più in linea con la logica “federale” che ha ispirato NGEU, piuttosto che a quella “intergovernativa” che è connaturata al MES.

Il rigetto parlamentare della revisione del MES dai partiti italiani di destra-centro è stato motivato da ragioni puramente elettorali e non già da considerazioni di policy, tantomeno di tipo euro-federalista. Tuttavia, la Commissione potrebbe utilizzare la situazione di stallo che si è creata per proporre una via d’uscita comunitaria per il problema del MES.

*Professore ordinario di diritto dell’Unione europea, Dublin City University; Fellow, Istituto Universitario Europeo

Download PDF - Commento 281

Centro Studi Federalismo

© 2001 - 2024 - Centro Studi sul Federalismo - Codice Fiscale 94067130016

Fondazione Compagnia San Paolo
Le attività del Centro Studi sul Federalismo sono realizzate con il sostegno della Fondazione Compagnia di San Paolo
Fondazione Collegio Carlo Alberto
Si ringrazia la Fondazione Collegio Carlo Alberto