Andrea Cofelice
Commento n. 204 - 16 dicembre 2020
Nel recente passato, le relazioni tra Unione Europea (UE) e Russia sono state caratterizzate da logiche prevalentemente conflittuali. Sebbene non manchino specifici settori (come la sicurezza energetica) e dossier internazionali (es.: l’accordo sul nucleare iraniano) in cui prevale uno spirito di cooperazione, è nel vicinato comune (e conteso) che si sono sviluppati i maggiori punti di frizione. L’irrisolta crisi in Ucraina, l’annessione russa della Crimea e le tensioni politiche in Bielorussia sono tra i principali fattori che hanno determinato il deterioramento delle relazioni tra UE e Russia. La politica europea nei confronti della Russia è attualmente guidata da 5 principi, adottati dal Consiglio affari esteri del 16 marzo 2016 su proposta dell’allora Alto Rappresentante Federica Mogherini: 1) attuazione degli accordi di Minsk per porre fine al conflitto nell’Ucraina orientale; 2) rafforzamento delle relazioni con i partner orientali dell’UE e con altri paesi del vicinato, in particolare dell’Asia centrale; 3) rafforzamento della resilienza dell’UE (ad esempio in materia di sicurezza energetica, minacce ibride o comunicazione strategica); 4) impegno selettivo (selective engagement) con la Russia su questioni di interesse per l’UE; 5) rafforzamento delle relazioni tra popoli (people-to-people) e sostegno alla società civile russa.
Malgrado la prevalenza di tali dinamiche, è opinione comune che l’UE non possa permettersi di rinunciare a serie prospettive di partenariato con un vicino tanto rilevante dal punto di vista geopolitico. Come sintetizzato dal Presidente Macron: “[…] allontanare la Russia dall’Europa è un grave errore strategico. [...] Il continente europeo non sarà mai stabile, non sarà mai sicuro, se non risolviamo e chiariamo le nostre relazioni con la Russia”. Tra le numerose proposte avanzate da attori politici e analisti per rilanciare il dialogo, un’opzione finora poco considerata consiste nel rafforzamento della cooperazione interregionale tra UE e Unione Economica Eurasiatica (UEEA).
Lanciata nel 2015, l’UEEA rappresenta la fase finale di un processo di integrazione economica avviato nel 2000 da Russia, Kazakhstan, Bielorussia, Armenia e Kirghizistan. Nel solco dell’Unione Europea, anche l’UEEA persegue l’istituzione di un mercato comune e di un’area di libera circolazione di persone, merci, capitali e servizi. Sebbene non possa essere ancora definita un’unione economica a pieno titolo e debba affrontare numerose sfide interne (controversie commerciali, debolezza istituzionale, asimmetria in favore del “gigante” russo, prevalenza di regimi iper-presidenziali e non propriamente liberali), l’UEEA rappresenta sin qui il più dinamico esperimento di integrazione regionale nello spazio post-sovietico. Nei cinque anni trascorsi dalla sua istituzione, l’UEEA ha raggiunto l’armonizzazione delle tariffe doganali esterne e l’abolizione della maggior parte delle barriere doganali interne; ha ridotto i vincoli alla mobilità del lavoro; ha già stabilito un mercato comune nel settore farmaceutico e prevede di completare il mercato comune dell’energia entro il 2025. Pur fondandosi su un sistema decisionale prevalentemente intergovernativo, dispone di un organismo sovranazionale con funzioni regolatorie: la Commissione, incaricata altresì di concludere accordi di cooperazione e libero scambio con stati (ha già un accordo con la Cina) e organizzazioni internazionali (ha richiesto lo status di osservatore presso l’OMC e sono in corso negoziati con ASEAN e Mercosur).
Una maggiore cooperazione economica tra UE e UEEA rappresenterebbe un primo e promettente passo per ristabilire la fiducia reciproca e prevenire un ulteriore deterioramento della situazione attuale. Nel 2019, l’UE ha adottato una Strategia per connettere Europa e Asia: il ruolo di “cerniera” dell’UEEA risulta di per sé evidente. Inoltre, tale organizzazione costituirebbe una piattaforma appropriata per rilanciare le relazioni UE-Russia proprio per il suo carattere regionale e prevalentemente economico, che può favorire una (necessaria, in questa fase) depoliticizzazione del dialogo con Mosca. È vero che in Occidente l’UEEA è percepita soprattutto come uno strumento geopolitico di cui Mosca si servirebbe per tentare di ri-sovietizzare l’area. Tuttavia, la Russia resta comunque vincolata da un quadro istituzionale multilaterale caratterizzato dalla regola del consenso e dal principio “uno stato - un voto”. Inoltre, gli altri stati membri, in particolare Armenia, Kazakhstan e Bielorussia, giustificano la loro partecipazione all’UEEA con la volontà di creare un blocco per bilanciare l’egemonia russa. L’UE potrebbe quindi servirsi di tali “punti di accesso” (entry points) per interloquire con gli interessi russi nell’area, favorendo, al contempo, le aspirazioni degli altri paesi partner.
Nonostante tali apparenti vantaggi, l’approccio europeo nei confronti dell’UEEA resta, ad oggi, essenzialmente attendista. L’UE ha scelto di non riconoscere l’UEEA come partner legittimo fino a quando la Russia non avrà rispettato i suoi impegni ai sensi degli accordi di Minsk (il primo dei “principi Mogherini”), preferendo mantenere relazioni commerciali bilaterali con singoli membri dell’UEEA. In questo modo, tuttavia, si è innescato un circolo vizioso: il conflitto in Ucraina è scoppiato (anche) a causa della competizione tra i due blocchi regionali, e il conseguente deterioramento del rapporto tra Russia e UE impedisce qualsiasi progetto di cooperazione tra i due blocchi. Se da un lato la cautela europea è legittima e comprensibile, dato il coinvolgimento russo nel conflitto ucraino, nel lungo periodo, tale approccio rischia di danneggiare gli stessi interessi europei, nonché quelli dei suoi vicini orientali. Inoltre, un eventuale riavvicinamento tra UE e UEEA sarebbe già ora compatibile con 4 dei 5 principi-guida adottati dal Consiglio affari esteri: la sfida, dunque, consiste nell’individuare una forma di cooperazione tecnica ed economica che non contraddica le sanzioni europee nei confronti di Mosca, ma che viaggi in parallelo con (e possibilmente rafforzi) il processo politico di Minsk.
Tale processo richiederebbe tempi lunghi e un approccio incrementale. Nel breve periodo, l’opzione più realistica sarebbe quella di avviare colloqui informali tra funzionari delle rispettive Commissioni, che non richiedono coperture politiche di alto livello, su questioni tecniche di interesse comune, quali ad esempio lo sviluppo di sistemi di regolamentazione compatibili in materia di commercio, procedure doganali, energia, trasporti, ricerca e sviluppo ecc. Tali colloqui, finalizzati a ristabilire un clima di fiducia (confidence building), potrebbero assumere la forma di seminari organizzati sotto l’egida dell’OSCE, che ha confermato, con la Dichiarazione di Astana del 2010, l’impegno a promuovere una comunità di sicurezza euroatlantica e eurasiatica. Qualora dovessero rivelarsi fruttuosi, tali colloqui potrebbero essere gradualmente istituzionalizzati, per discutere l’armonizzazione di standard tecnici, regolamenti commerciali e doganali,nonché per negoziare investimenti europei per la modernizzazione delle economie dell’UEEA (di cui questi paesi hanno notevole bisogno). Soltanto a seguito dell’implementazione degli accordi di Minsk sarà possibile ipotizzare la creazione di un’area di libero scambio tra UE, UEEA (un potenziale mercato di 180 milioni di persone) e gli altri partner del vicinato orientale. Uno spazio economico comune potrebbe mitigare la logica delle “zone di influenza” e la concorrenza nella regione, produrre vantaggi economici per i partecipanti e gettare le basi per uno spazio di sicurezza comune nell’area OSCE.
La cooperazione economica ha segnato la via per la pace in Europa sin dalla fine della Seconda guerra mondiale. Da sola, non è in grado di risolvere conflitti profondi. Tuttavia, considerando l’attuale situazione di stallo, la cooperazione UE-UEEA è una delle poche opzioni disponibili e utili per migliorare le relazioni tra Russia e UE e trasformare una nociva concorrenza a somma zero in una collaborazione reciprocamente vantaggiosa.
*Mario Albertini Fellow del Centro Studi sul Federalismo (articolo pubblicato ieri da Europea, la piattaforma dei think tank su Euractiv.it)