Domenico Moro / 12 gennaio 2024
Commento n. 283
L’ex-Presidente del Consiglio, Mario Draghi, riferendosi all’Europa, ha recentemente sostenuto che “il modello di crescita e sviluppo europeo si è dissolto”, che “occorre inventarsi un modo diverso di crescere” e che per farlo “occorre diventare Stato”; in un’altra circostanza aveva affermato che “non possiamo più dipendere dalla Russia per l'energia, dalla Cina per l'export e dagli Usa per la sicurezza”. Ciò che accomuna le due affermazioni è il disegno istituzionale alla base delle politiche che l’Unione europea (UE) dovrebbe condurre: diventare Stato. La tesi che qui si sostiene è che tale disegno si può completare solo dotando l’UE di una difesa autonoma.
La politica estera e le politica di difesa, quali competenze in capo all’UE, sono uno degli argomenti più discussi e controversi. Se, da un lato, si sostiene che deve venire prima la difesa europea e poi la politica estera, dall’altro si avanza anche l’argomentazione contraria, che non vi può essere una difesa europea se prima non vi è una politica estera comune. Posto che non vi è un legame causale tra le due politiche – vi sono comunità politiche, come ad esempio la Svizzera, che hanno una difesa senza avere di fatto una politica estera –, si può sostenere che l’UE ha, già oggi, sia una politica estera sia un embrione di politica di difesa. In quest’ultimo caso – e con la notevole eccezione della politica spaziale – essa è però limitata al sostegno finanziario alle industrie di difesa nazionali o ai paesi esteri (Ucraina). Non sembra pertanto corretta la percezione corrente secondo cui non vi sia né l’una né l’altra, per una serie di ragioni.
La letteratura federalista che si occupa delle unioni federali, quando discute le competenze in materia di relazioni internazionali, pone l’accento sul potere di stipulare trattati, soprattutto commerciali, con paesi terzi (K. C. Wheare, On Federal Government, 1951). Se, quindi, gli accordi commerciali sono una componente essenziale della politica estera di una federazione, occorre constatare che l’UE ha la competenza esclusiva in materia di politica commerciale e che questi accordi vincolano gli Stati membri. Solo nel caso degli accordi cosiddetti “misti” (che comprendono materie di competenza concorrente tra l’UE e gli Stati membri) è prevista la ratifica unanime da parte degli Stati.
L’altro strumento importante nella politica estera dell’UE è la cooperazione allo sviluppo. Nel bilancio per il 2024 approvato dal Consiglio, l’UE prevede, per questa politica, impegni per 17 miliardi di euro (compreso il costo del Servizio europeo per l’azione esterna) e 10 miliardi di euro per la sicurezza e difesa (comprese le voci “spazio”, “migrazioni e frontiere” e la quota annua della European Peace Facility). L’UE, quindi, non solo ha una competenza in materia di politica estera e, in parte, di difesa, ma, soprattutto nel primo caso, spende risorse significative. Il problema riguarda la difesa, non solo in termini finanziari, ma soprattutto di esercizio, poiché l’UE in quanto tale non ha una forza operativa permanente al suo comando e la sua difesa è affidata alla NATO, dove la decisione ultima sul ricorso alla forza compete, di fatto, agli USA.
La NATO, ad oggi, è il solo strumento ritenuto, a torto o a ragione, a supporto della difesa europea. La Francia ha cercato di proporre un’alternativa, come ha fatto Macron con il discorso alla Sorbona nel 2017, e con il discorso alla Scuola di Guerra nel 2020 sull’uso dell’arma nucleare francese a protezione della sicurezza europea. Secondo Macron, gli europei avrebbero dovuto privilegiare Parigi piuttosto che Bruxelles, mentre nella “Revue nationale stratégique 2022” si afferma che “L’OTAN reste aujourd’hui le fondement et le cadre essentiel de la sécurité collective de l’Europe” e che “Le lien transatlantique reste essentiel pour la sécurité de l’espace euro-atlantique et par conséquent celle de la France”.
Pertanto, ad oggi, se i paesi europei, ai fini della loro sicurezza, devono scegliere tra Parigi e Washington scelgono la seconda, anche se la protezione americana è, di fatto, incerta. Essa non è solo discutibile per il fatto che l’art. 5 del Trattato dell’Atlantico del Nord non è vincolante, ma soprattutto perché, a partire dall’Amministrazione Trump, la protezione americana del continente europeo non è più una politica bipartisan, ma dipende dagli equilibri politici interni americani: la difesa europea non può dipendere dall’esito delle elezioni presidenziali americane.
La ragione della difficoltà a stabilire un legame tra politica estera e difesa sta nel passaggio a strategie che, se necessario, comportino l’uso, o la minaccia dell’uso, della forza e che possono toccare interessi geopolitici sensibili per gli Stati membri dell’UE. Poiché la difficoltà sta proprio nel condividere gli stessi interessi geopolitici e le medesime misure per la loro tutela, è difficile che si possa procedere all’istituzione di forze armate europee a 27 e molto più probabile che si debba procedere, almeno in una fase iniziale, solo con un gruppo di paesi. In questo caso, si tratterebbe di vedere come procedere, restando all’interno dei trattati esistenti, in modo da assicurare il controllo democratico sull’impiego dello strumento militare. Un buon punto di riferimento può essere fornito dai sistemi federali esistenti, come quello tedesco e quello americano.
Nel caso della Germania, la legge costituzionale prevede che le forze armate facciano capo al ministro della difesa (non al Cancelliere in carica); non è prevista la formale dichiarazione di guerra, bensì l’accertamento dello “stato di difesa” (o di uno “stato di tensione”) da parte del Bundestag e del Bundesrat. La Costituzione americana, dopo aver indicato che il Senato fa la politica estera (J. Jay, Federalist Paper n. 64), prevede che il Presidente sia il comandante in capo delle forze armate, ma che la dichiarazione di guerra spetti al Congresso, cui compete anche il controllo sullo svolgimento della guerra (A. Hamilton, Federalist Paper n. 75).
Nell’ipotesi di un’avanguardia di paesi europei disponibile alla costituzione di forze armate permanenti in capo alle istituzioni europee, la soluzione istituzionale su cui avviare una riflessione potrebbe essere il precedente del Trattato dell’Atlantico del Nord, che ha dato vita alla NATO, dotata di un’autonoma personalità giuridica e, quindi, direttamente in grado di assumere personale, effettuare acquisti di piattaforme militari e dotarsi di infrastrutture logistiche. In secondo luogo, si potrebbe prevedere che, su iniziativa del Consiglio europeo, il Parlamento europeo e il Consiglio accertino, con una modalità di voto da definire, l’esistenza dello stato di aggressione del continente europeo; che le forze armate siano poste sotto la responsabilità dell’Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza (figura che si colloca tra il Consiglio europeo e la Commissione); e che, nel caso di interventi esterni al territorio europeo, essi avvengano, in linea di principio, su mandato dell’ONU o delle organizzazioni regionali interessate.
*Membro del Consiglio Direttivo e Coordinatore dell’Area Sicurezza e Difesa del Centro Studi sul Federalismo