Andrea Cofelice
Commento n. 166 - 6 febbraio 2020
La crisi del 2015-2016 ha rappresentato non soltanto una sfida per le politiche in materia di migrazione e asilo che l’Unione Europea (UE) aveva faticosamente costruito nell’arco dei 15 anni precedenti, a partire dalle conclusioni del Consiglio Europeo di Tampere del 1999: essa ha anche esposto l’acquis europeo (fondato su solidarietà interna, libera circolazione, stato di diritto, rispetto dei diritti fondamentali) a seri rischi di disgregazione, come mai in passato. Per questo motivo, “l’Europa non può permettersi di fallire una seconda volta sui migranti”. È con tale consapevolezza che il Vice Presidente della Commissione Schinas ha annunciato, nel corso di una recente visita in Italia, l’imminente pubblicazione della proposta di un Nuovo patto europeo su migrazione e asilo, secondo il mandato ricevuto dalla stessa Presidente von der Leyen.
Coniugare “solidarietà interna” e “responsabilità”: sembrerebbe questo l’obiettivo strategico del nuovo consenso europeo, che si propone di aggiornare e superare il precedente Patto del 2008. L’intento primario sarebbe quello di offrire una risposta complessiva alle preoccupazioni dei diversi Stati membri, da un lato, completando la riforma del diritto di asilo e dei meccanismi di ricollocamento (temi particolarmente sensibili per i paesi mediterranei); dall’altro, promuovendo il rafforzamento dei confini esterni, avviando una politica sistematica di rimpatri e creando corridoi legali per migranti altamente qualificati (come sollecitato soprattutto dai paesi del nord e dell’est).
Tuttavia, qualsiasi riforma sarebbe incompleta se, in aggiunta ai suddetti due pilastri, non si prestasse pari attenzione al rafforzamento della tutela dei richiedenti protezione internazionale. Come perseguire, in concreto, tale obiettivo? Preziose indicazioni in tal senso giungono dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR), che ha recentemente pubblicato un pacchetto di raccomandazioni indirizzate alle presidenze croata e tedesca, che si alterneranno alla guida del Consiglio nel corso del 2020. In coerenza con i global compact sui rifugiati e sulle migrazioni, approvati dalle Nazioni Unite nel 2018, l’UNHCR invita l’UE a promuovere un riforma sostenibile del proprio sistema di asilo, incentrata su cinque principi fondamentali.
1. Promuovere la condivisione delle responsabilità e la solidarietà all’interno dell’UE. In attesa del completamento della riforma del Sistema europeo comune di asilo, ed in particolare del Regolamento di Dublino, è necessario impiegare in maniera più efficiente e flessibile il quadro normativo esistente, promuovendo specifici meccanismi di solidarietà al fine di sostenere gli Stati membri che si trovano ad affrontare un numero di arrivi fuori dall’ordinario. In realtà, su tale fronte progressi promettenti sono stati già realizzati con la Dichiarazione comune di intenti relativa a una procedura di emergenza controllata, adottata a Malta nel settembre 2019. Per rendere le azioni già intraprese pienamente coerenti con gli impegni dell’UE in materia diritti umani, l’UNHCR invita a dare priorità ai ricongiungimenti familiari nei meccanismi di ricollocazione, sfruttando le “clausole discrezionali” del Regolamento di Dublino, e a ridispiegare le operazioni di soccorso e salvataggio nel Mediterraneo, favorendo meccanismi di sbarco sicuri e prevedibili.
2. Garantire l’accesso al territorio europeo, nonché a procedure di asilo rapide ed eque. In controtendenza rispetto all’attuale propensione ad “esternalizzare” il controllo dei flussi, l’UNHCR raccomanda di processare le richieste d’asilo direttamente nel territorio o ai confini europei, attraverso procedure di merito accelerate e semplificate, con garanzie procedurali complete. Tale approccio sarebbe preferibile sia sul piano concettuale, poiché consente di “condividere” con i paesi terzi, anziché di “trasferire” su di loro, la responsabilità del controllo dei flussi, sia su quello operativo, alla luce delle sfide irrisolte associate alla definizione di “paese terzo sicuro”.
Aumentare, con opportuni investimenti, l’efficienza e la qualità delle prime procedure di asilo (identificazione, registrazione, screening precoce e valutazione di vulnerabilità) può contribuire a ridurre i lunghi periodi di attesa e di eventuale detenzione dei richiedenti asilo (che non dovrebbe mai essere considerata una pratica di routine, ma solo un’ultima risorsa in mancanza di mezzi alternativi), così come il numero (e i costi) di ricorsi contro decisioni avverse. A tal fine, un ruolo cruciale è svolto da Frontex e dall’Ufficio europeo di sostegno per l’asilo: il mandato e le capacità operative delle due agenzie dovrebbero essere adeguatamente rafforzati, così come i meccanismi di monitoraggio e di accountability del loro operato.
3. Migliorare le prospettive di integrazione e adottare sistemi di rimpatrio efficienti e basati sui diritti. L’integrazione dei richiedenti protezione internazionale può essere promossa attraverso tre fattori chiave: un aumento dei finanziamenti per i programmi di integrazione; la predisposizione di un sistema di servizi prevedibile e armonizzato; il coinvolgimento delle comunità locali e degli attori della società civile. D’altro canto, l’integrità dello spazio europeo di asilo dipende anche dall’efficacia del sistema di rimpatri. A tal proposito, è necessario promuovere in tutti gli Stati membri dell’UE lo sviluppo di programmi di rimpatrio volontario assistito e di reinserimento, per garantire rimpatri sostenibili e dignitosi.
4. Investire in reinsediamenti e percorsi complementari. L’UNHCR stima che, a livello globale, oltre 1,4 milioni di rifugiati avranno bisogno di essere reinsediati entro il 2020. Il contributo dell’UE può essere fondamentale per affrontare la carenza di opportunità di reinsediamento e contribuire, in tal modo, a mitigare gli spostamenti forzati o irregolari. Nell’ambito di una strategia globale triennale sui percorsi di reinsediamento, l’UNHCR richiede all’UE di impegnarsi a: reinsediare 30.000 persone entro il 2020; espandere i percorsi di ammissione complementari grazie al rilascio di permessi per motivi non strettamente umanitari (ad es. per motivi familiari, di lavoro e di studio, o grazie a meccanismi di sponsorizzazione); completare l’adozione della Proposta che istituisce un quadro dell’Unione per il reinsediamento.
5. Fornire maggiore sostegno ai paesi terzi in cui risiede la maggior parte dei rifugiati. Al fine di affrontare le cause profonde delle migrazioni forzate, è urgente agire sul piano delle relazioni esterne per promuovere una maggiore complementarietà tra aiuti umanitari, cooperazione allo sviluppo e interventi di peacebuilding. Pertanto, è certamente apprezzabile che l’UE si sia impegnata a stanziare risorse dedicate per affrontare la questione migratoria all’interno del Nuovo strumento di vicinato, sviluppo e cooperazione internazionale. Tale impegno, tuttavia, deve essere integrato da: a) una specifica attenzione per la tutela di migranti forzati e richiedenti asilo nei paesi riceventi; b) l’esplicito riconoscimento che le migrazioni forzate rappresentano una sfida in termini di sviluppo, e non (solo) di sicurezza; c) forme di condizionalità, per contribuire a migliorare le politiche di protezione di rifugiati e richiedenti asilo nei paesi terzi ospitanti.
Il “Nuovo patto europeo su migrazione e asilo”, se integrato con le raccomandazioni formulate dall’UNHCR, offre all’UE la possibilità di tornare a svolgere un ruolo di leadership nell’ambito dell’accoglienza di rifugiati e richiedenti asilo, nonché di assecondare le richieste dei suoi stessi cittadini, che da tempo invocano un maggior coinvolgimento delle istituzioni comunitarie nella governance delle politiche migratorie. Come è spesso accaduto nel percorso di integrazione europea, l’auspicio è che anche la crisi del 2015-2016 possa essere trasformata in opportunità, e fungere da catalizzatore per realizzare riforme necessarie e sostenibili, che sappiano coniugare solidarietà, responsabilità e tutela dei diritti fondamentali.
*Ricercatore del Centro Studi sul Federalismo