Vincenzo Camporini e Domenico Moro
Commento n. 201 - 30 novembre 2020
Lo scorso mese di ottobre, il gruppo di lavoro della SPD (Sozialdemokratische Partei Deutschlands) al Bundestag che si occupa di politica di sicurezza e difesa ha diffuso un documento in cui si propone la costituzione di quello che chiama il 28° esercito: un esercito europeo in aggiunta a quelli nazionali, posto sotto il controllo delle istituzioni europee. Con questa proposta, il dibattito per dotare l’UE di un esercito autonomo fa un passo avanti, più di quanto abbiano fatto le parole del Presidente Macron, al quale il documento non risparmia critiche.
Il documento della SPD ha il merito di intervenire sul punto in cui è possibile sbloccare il processo per la costituzione di un esercito autonomo europeo. L’idea è che gli Stati disponibili abbandonino la via della cooperazione intergovernativa, affiancando ai rispettivi eserciti nazionali un esercito autonomo europeo, il 28° esercito, adattando i trattati, dove necessario. Esso sarà costituito da militari di professione reclutati su basi volontarie, iniziando con una struttura pari a quella dei gruppi tattici, 1.500 uomini, progressivamente aumentati ad 8.000, e risponderà direttamente alle istituzioni europee. L’esercito europeo, dopo una fase transitoria durante la quale sarà finanziato con i contributi degli Stati partecipanti, sarà a carico del bilancio europeo.
La proposta della SPD non è, in assoluto, una novità: il modello di difesa è quello delle federazioni e, in particolare, di quella americana. Sono stati gli USA i primi ad aver introdotto quello che il costituzionalista australiano Kenneth C. Wheare (On Federal Government, 1951) ha chiamato il modello della “dual army”, perché fondato su un (inizialmente) piccolo esercito federale e una preponderante struttura militare basata sulle milizie statali, oggi inquadrate in quella che è chiamata Guardia nazionale, di cui ciascun Governatore dello Stato di appartenenza è il comandante in capo.
Il documento della SPD rende indispensabile l’apertura di un dibattito pubblico. Se è irrinunciabile il principio del controllo parlamentare sull’esercito europeo, lascia invece perplessi l’architettura istituzionale che lo accompagna. Secondo il documento, l’esercito europeo deve dipendere direttamente dalla Commissione europea, supportata dall’istituzione di un Commissario alla difesa europea e da una nuova Commissione parlamentare dedicata alla difesa.
L’idea è convincente solo in parte. L’attuale struttura istituzionale dell’UE prevede che l’Alto Rappresentante per la politica estera e di sicurezza (AR) sia nominato, a maggioranza qualificata, dal Consiglio europeo in accordo col presidente della Commissione europea. L’AR è anche vicepresidente della Commissione e, in tale veste, riceve l’investitura dal Parlamento europeo. Egli presiede il Consiglio “Affari esteri”, che include i ministri della difesa. Quanto previsto dai trattati sembra dunque assicurare l’equilibrio tra l’istituzione che rappresenta i cittadini, il Parlamento, e quelle che rappresentano gli Stati, Consiglio europeo e Consiglio.
Una federazione non è solo un’associazione di cittadini, come sembra ritenere il documento SPD, ma anche di Stati, e questi ultimi quando si associano per fondare i reciproci rapporti sul diritto e non sulla forza, scelgono il modello federale in quanto tra di loro vi è una differenza/divergenza di interessi: altrimenti si seguirebbe la via dello Stato unitario nazionale. Le differenze di vedute in materia economica sono oggetto di discussione quotidiana; i differenti punti di vista in materia di difesa e di sicurezza sono, probabilmente, ancora più forti. Basti pensare alla presenza di Stati neutrali ed altri più interventisti e alle diverse posizioni per quanto riguarda la NATO.
È sicuramente corretto chiedere l’istituzione di una Commissione difesa del Parlamento europeo, ma l’AR è, di fatto, il Commissario per la difesa. E prevedere che la decisione di avviare una missione militare parta dalla sola Commissione altererebbe non di poco gli attuali equilibri istituzionali. Basti pensare che la Commissione con il Recovery plan, l’emissione di debito europeo – per la prima volta nella storia dell’Unione – e la introduzione di risorse fiscali autonome, aumenterà non di poco le sue competenze.
In prospettiva, la struttura istituzionale dell’UE dovrebbe, piuttosto, prevedere la trasformazione del Consiglio europeo in una presidenza collegiale sul modello svizzero, con la responsabilità della politica estera e di sicurezza. La Commissione dovrebbe occuparsi di tutto il resto.
Un’altra proposta contenuta nel documento riguarda i compiti dell’esercito europeo il quale, oltre alla difesa collettiva dell’Unione, dovrebbe essere utilizzato per “fornire aiuti di emergenza e per difendere il territorio dell’Unione da gravi catastrofi”. In sostanza, l’esercito europeo verrebbe impiegato anche per interventi all’interno dei singoli Stati membri. In linea di principio, non sembra una previsione del tutto condivisibile. Il rischio è che da interventi per ragioni di tutela del territorio, l’esercito europeo possa, con il tempo, venire utilizzato anche per fini più generali.
Le tredici colonie americane che diedero vita alla prima federazione della storia, si opposero a quella possibilità. Le milizie statali, oggi Guardia nazionale, sono state sempre la struttura militare preposta alla difesa dei confini statali, anche contro un eventuale intervento del governo federale (J. Madison, The Federalist Papers, n. 46). È la Guardia nazionale dello Stato che interviene, in caso di disordini o di catastrofi naturali, a difendere o assistere la popolazione civile. Pertanto, il previsto esercito europeo dovrebbe occuparsi solo della difesa europea e per interventi fuori dei confini UE. Gli eserciti nazionali dovrebbero occuparsi della difesa dello Stato, integrare l’esercito europeo nel suo ruolo quando necessario, operare per la difesa territoriale sul modello svizzero, ed eventualmente anche delle conseguenze dei disastri naturali.
Infine, il documento della SPD sostiene che essendo “imperativo evitare di creare strutture parallele con istituzioni già esistenti a livello UE”, queste ultime dovrebbero essere integrate nelle strutture del 28° esercito e la “capacità militare di pianificazione e condotta” missioni (MPCC), recentemente costituita, impiegata come struttura operativa. In secondo luogo, il comandante in capo del 28° esercito dovrebbe essere membro paritetico del Comitato Militare dell’UE (CMUE).
Il problema della duplicazione esiste, ma la soluzione dovrebbe essere l’opposto di quanto proposto, con l’integrazione del 28° esercito nelle strutture UE esistenti. Il comandante in capo di quest’ultimo dovrebbe sì far parte del CMUE, ma essere nominato dal Consiglio europeo, su proposta dell’AR, ed esserne il presidente, perché è a partire dal quadro europeo che lo strumento militare deve essere reso interoperabile, standardizzato e in grado di valutare le esistenti deficienze di capacità militari.
Il documento della SPD ha aperto il dibattito sulla costituzione di un esercito europeo, presentando una proposta concreta, su cui è finalmente possibile aprire un confronto. Questa occasione non dovrebbe essere lasciata cadere. È quindi auspicabile che la proposta venga portata all’attenzione della prevista Conferenza sul futuro dell’Europa, la sede in cui discutere del ruolo dell’Europa nel mondo e del modello che l’UE intende darsi nel settore della difesa.
*Vincenzo Camporini è Consigliere scientifico dell’Istituto Affari Internazionali (e già Capo di Stato Maggiore della Difesa), Domenico Moro è membro del Consiglio Direttivo e Coordinatore dell’Area Sicurezza e Difesa del Centro Studi sul Federalismo. Questo articolo è pubblicato in contemporanea anche da Euractiv Italia e da Eurobull