Antonia Battaglia
Commento n. 135 - 17 ottobre 2018
Il Consiglio Europeo che inizierà stasera rappresenta un appuntamento molto importante per l’Europa, non solo dal punto di vista delle agende nazionali degli Stati Membri, con le relative finalità di politica interna, ma questa volta per la natura delle sfide in agenda.
Aprirà il programma ufficiale la discussione sulla Brexit, quando i leader dei 27 Paesi Membri saranno messi a conoscenza dello stato dell’arte sull’uscita del Regno Unito dall’Unione. Sono ore di discussioni appese a un filo, sulla possibilità di concludere un accordo sulla questione nord-irlandese soddisfacente per entrambe le parti: al confine tra Irlanda del Nord (Regno Unito) e Repubblica di Irlanda (Unione Europea) sono legate le questioni della permanenza del Regno Unito all’interno del mercato unico europeo e dell’unione doganale, ovvero il rispetto dell’inviolabilità dei principi sui quali l’Unione si fonda. Una possibile estensione del periodo di permanenza nel mercato unico, dopo la Brexit, potrebbe rappresentare una garanzia per evitare un “hard border” tra Irlanda e Nord-Irlanda. In assenza di una partnership tra UE e Regno Unito dopo la Brexit, le Istituzioni Europee hanno proposto il “backstop”, ovvero un accordo in base al quale il Nord Irlanda rimarrebbe soggetto ai regolamenti europei in un regime diverso rispetto a quello del resto del Regno Unito (all’interno del mercato unico), a partire dal dicembre 2020, nel caso in cui una soluzione tecnica non fosse trovata fino a quel momento. Il Partito Democratico Unionista – sui cui voti si regge il governo guidato da Theresa May – ha dichiarato di preferire un non accordo ad un accordo che leghi il Nord Irlanda all’UE in modo indefinito. La paura è quella di dover sottostare alle regole europee senza avere voce in capitolo.
La situazione resta al momento aperta a diversi scenari. La proposta deve fare i conti con la volontà di Londra di arrivare ad un accordo che possa mettere insieme la creazione di un confine “morbido” tra Irlanda e Irlanda del Nord, ma anche con la volontà delle frange estreme dei Conservatori di una soluzione che sia fedele alla volontà del referendum (messa nel frattempo a dura prova dalla proposta di un secondo voto, sostenuta dai Laburisti), che ha sancito la volontà di una uscita reale dall’Unione.
Il Consiglio Europeo tratterà anche di migrazione e di sicurezza interna, in linea con quelli che erano stati gli obiettivi presentati alla riunione di giugno. Non si prevedono grandi iniziative su questo punto: l’Italia fino ad ora ha continuato ad accettare le linee guida europee sulla migrazione, nonostante strumentali dichiarazioni alla stampa, e non ci sarebbero state delle prese di posizione formali contro la gestione attuale dei meccanismi migratori. Al Consiglio si tratterà anche di come intensificare la cooperazione con i paesi terzi e di come rafforzare il sistema comune per trattare le richieste di asilo.
L’Italia arriva a Bruxelles con una gravosa situazione interna acuita dallo scontro con la Commissione Europea sul Documento Economico-Finanziario. Il testo inviato in extremis a Bruxelles dovrà essere esaminato nelle diverse voci di spesa e di copertura – come avviene per tutti i Paesi dell’eurozona, essendo considerata dai Trattati “questione di interesse comune”. Non ha giovato l’atteggiamento di esponenti del governo italiano, che hanno alimentato un vacuo dibattito anti-europeo, senza considerare quali sarebbero le conseguenze di una significativa deroga agli impegni europei per il Paese e anche per le altre economie con le quali condividiamo l’euro quale moneta.
La Germania si presenta al tavolo del Consiglio Europeo con una Cancelliera Merkel indebolita, anche dai recenti risultati elettorali in Baviera, con possibili riflessi sulla tenuta e le prospettive della Grosse Koalition con l’SPD. Anche sulla scena europea la Cancelliera è apparsa più timida rispetto alla Francia sulle proposte di creazione di un budget per i paesi dell’Eurozona e di introduzione di una tassa obbligatoria per i giganti americani del web come Apple e Google, indecisione che rafforza i partiti populisti contrari a queste riforme.
Angela Merkel dopo le elezioni del 2013 era al picco della forza, avendo saputo portare la Germania fuori dalla grande crisi finanziaria e dalla crisi dell’euro. Un grande potere che ha cominciato a sgretolarsi nel 2015, con la prima crisi politica seguente all’arrivo di numeri importanti di rifugiati e migranti. Merkel aprì le frontiere dichiarando che la Germania era in grado di accoglierli. Un’apertura che oggi le costa una crescente impopolarità interna, alimentata dai populisti e dai partiti ultra-conservatori. Ma perdere Merkel in Germania significa perdere un baluardo di stabilità ed una visione a lungo termine di cui l’Europa ha estrema necessità nelle attuali acque turbolente. E forse sarebbe la personalità più adatta ad una carica di alto livello nelle prossime Istituzioni Europee o alle Nazioni Unite, perché della sua sobria concretezza l’Europa ha ancora bisogno.
La Francia arriva al Consiglio Europeo con un Presidente Macron indebolito sul fronte interno dalle dimissioni del Ministro dell’Interno Collomb, settima personalità a lasciare l’esecutivo dopo, tra i più importanti, il ministro della difesa Goulard e il ministro dell’ambiente Hulot. Ma Macron è vitale per l’Europa e per il rilancio di un’Europa politica forte, sovrana, laica e garante delle libertà fondamentali; e nonostante le defezioni, le fila del partito La République En Marche rimangono ben serrate. Macron ha annunciato di voler sfidare alle prossime elezioni europee i populisti delle destre italiana e ungherese. Una sua personale lotta contro il Ministro dell’Interno italiano Salvini e il Primo Ministro ungherese Orbán, in cui avrà bisogno del supporto dell’ALDE, i liberali europei alla cui guida c’è l’ex Premier belga Guy Verhofstadt, autentico sostenitore degli ideali europei e anti-populista in chief.
La questione della Russia e degli attacchi informatici contro l’Agenzia per la proibizione delle armi chimiche, perpetrata secondo il Regno Unito e l’Olanda con il fine di mettere in pericolo i valori e le regole internazionali, sarà un altro dei temi di discussione di fronte al quale l’Italia, che ha adottato una posizione accondiscendente nei confronti delle sanzioni europee contro la Russia per l’annessione dell’Ucraina, dovrà prendere posizione.
Sullo sfondo le tensioni con l’Ungheria, per le violazioni allo Stato di diritto e alla libertà di stampa, dopo il voto al Parlamento Europeo in seguito alla presentazione del rapporto Sargentini; la questione che agita la Grecia, quella del cambio di nome in Macedonia, e del referendum diventato campo di battaglia tra est ed ovest, con la possibilità di una caduta del governo macedone che creerebbe ulteriori tensioni nella regione, già sotto pressione a causa della instabilità creata dalla proposta di cambio di confini tra Kosovo e Serbia e dalla fragile situazione politica in Bosnia.
Un Consiglio Europeo con tante incognite, che ci si augura possa almeno sbloccare l’accordo sulla Brexit e avanzare proposte concrete contro gli attacchi russi, dimostrando una volta di più che è possibile dialogare costruttivamente in seno ad un’Europa perfettibile ma che resta la migliore garante dei diritti dei propri cittadini.
* Responsabile dell’Ufficio di Bruxelles del Centro Studi sul Federalismo