Alberto Majocchi
Commento n. 124 - 2 febbraio 2018
Il documento preparato da 14 economisti franco-tedeschi (Reconciling risk sharing with market approach: a constructive approach to euro area reform) rappresenta un passo avanti significativo nel dibattito sui problemi e sulla riforma della zona euro – dopo i vari contributi della Commissione europea – e ha una forte rilevanza politica, in particolare per il contributo di Jean Pisani-Ferry, responsabile per il programma nella campagna presidenziale di Emmanuel Macron.
Il documento affronta diverse questioni relative all’area euro, partendo da proposte per completare l’Unione bancaria, mirate a rompere il circolo vizioso tra settore bancario e debito pubblico, proponendo un limite alla concentrazione di titoli nazionali nella banche e la creazione di un’assicurazione comune per i depositi. Gli autori sono peraltro consapevoli che questa ipotesi deve essere maneggiata con cura, per evitare che effetti di annuncio possano avere conseguenze devastanti, come avvenne nell’ottobre del 2010, quando Sarkozy e Merkel annunciarono l’intenzione di coinvolgere il settore privato nella soluzione della crisi del debito.
Ma l’analisi e le novità del paper vertono principalmente sull’architettura fiscale. Le regole fiscali esistenti vengono considerate importanti, ma criticabili sotto molti aspetti. L’obiettivo di riduzione del disavanzo provoca evidenti effetti pro-ciclici. È vero che il disavanzo dovrebbe essere aggiustato per tener conto dell’andamento del ciclo, ma questa operazione è notoriamente difficile e imprecisa. L’applicazione delle regole è legata soprattutto all’imposizione di multe, di fatto mai utilizzate e che aggraverebbero una situazione fiscale già difficile. Ma le regole sono necessarie, per promuovere sane finanze pubbliche a livello nazionale, ma altresì per evitare effetti esterni negativi per gli altri membri dell’Unione monetaria.
La prima proposta avanzata dagli economisti franco-tedeschi è quella di sostituire al limite del disavanzo un tetto alla crescita della spesa pubblica. La spesa pubblica non dovrebbe aumentare più rapidamente, in termini monetari, del tasso di crescita nominale di lungo periodo del reddito, mentre dovrebbe rimanere al di sotto di questo tasso per i paesi che devono ridurre significativamente lo stock di debito. Ogni anno un organo fiscale indipendente in ciascun paese dovrebbe fissare un obiettivo a medio termine di riduzione dello stock di debito e una proiezione del tasso di crescita nominale del reddito. Lo stesso organo dovrà definire un sentiero di crescita (nominale) della spesa pubblica, calcolata al netto della spesa per interessi, della spesa per i sussidi di disoccupazione e del gettito di misure discrezionali di variazione della struttura fiscale (per evitare, ad esempio, tagli fiscali non compensati da misure compensative sulla spesa).
L’eventuale eccesso di spesa dovrà essere finanziato con l’emissione di junior bonds, ossia titoli che verranno ristrutturati per primi nel caso di riduzione del debito per garantirne la sostenibilità, e che potranno prevedere una clausola automatica di estensione della maturità se il paese in questione riceverà un prestito dallo European Stability Mechanism (ESM - il fondo salva-stati). Inoltre, le obbligazioni junior saranno meno appetibili in quanto non godranno di una valutazione pari a zero del tasso di rischio, riconosciuto ai titoli senior detenuti nei portafogli delle banche.
In definitiva, questa ipotesi renderà più costoso il finanziamento del debito in eccesso e, quindi, disincentiverà comportamenti non in linea con l’obiettivo di riduzione del disavanzo e dello stock di debito. Una clausola di salvaguardia dovrebbe permettere di deviare da questa regola nel caso di “circostanze eccezionali”. Un’ipotesi simile a quella delineata nel paper franco-tedesco è contenuta nella proposta di Direttiva presentata dalla Commissione il 6 dicembre scorso.
Il secondo punto di rilievo contenuto nel paper degli economisti franco-tedeschi riguarda la proposta di dar vita a uno strumento di intervento finalizzato alla stabilizzazione del ciclo, che superi i limiti previsti per l’utilizzo dei fondi dell’EMS, disponibili soltanto in casi eccezionali. In sostanza, viene suggerita la creazione di uno schema di stabilizzazione che preveda trasferimenti straordinari – attraverso una linea nel bilancio Ue o un’affiliata dell’EMS – nel caso di una recessione che colpisca uno o più paesi dell’area euro.
Si tratta di un fondo di riassicurazione, il che implica che il ‘first loss’ originato da uno shock esogeno debba rimanere a carico del paese che l’ha subito. La stabilizzazione fiscale è legata all’utilizzo di indicatori legati al livello di occupazione, più direttamente accertabili. Inoltre, lo strumento deve prevedere un trasferimento automatico pari a una percentuale fissa del reddito nazionale per ogni punto di aumento del tasso di disoccupazione o di declino dell’occupazione o del monte salari. Infine, il sistema dovrà essere finanziato dai paesi membri attraverso contributi proporzionali al Pil, il cui livello varierà in funzione della probabilità che il paese in questione debba ricorrere a trasferimenti da parte del fondo comune di riassicurazione. Misure che devono servire da disincentivo a comportamenti non virtuosi da parte dei paesi dell’Eurozona.
La terza proposta importante nel paper riguarda la creazione di uno “Euro area safe asset backed by sovereign bonds”. Su questo un significativo contributo era già contenuto in un paper dello European Systemic Risk Board. La proposta prevede l’acquisto da parte di intermediari finanziari di un portafoglio diversificato di titoli pubblici, ad esclusione di titoli junior, e l’uso di questi titoli come collaterale per un titolo emesso sul mercato con tranche diversificate, calibrate, per quanto riguarda il debito junior e mezzanino, in modo tale che la perdita attesa della tranche senior – ossia dello European Senior Bond (ESB) – sia pari a quella di un titolo sovrano con un rating tripla A. Questi ESB offrirebbero uno strumento molto affidabile per le banche, in sostituzione di titoli sovrani, e ridurrebbero la volatilità dei titoli dei paesi più vulnerabili.
Tutte queste proposte sono accompagnate dal sostegno all’idea avanzata da Juncker, e ripresa da Macron, di creare un Ministro delle Finanze dell’area euro, che faccia parte della Commissione, presieda l’Eurogruppo, sovrintenda all’applicazione delle regole fiscali, definisca la fiscal stance adeguata per l’intera area euro e la rappresenti a livello internazionale.
Quello che manca, in questo ottimo documento, è la prospettiva di sviluppo, in particolare la definizione di una politica di investimenti per favorire la transizione verso un’economia carbon free. Il piano Juncker rappresenta un primo passo in questa direzione, ma dovrà essere accompagnato dal finanziamento dell’External Investment Plan e del nuovo Piano per infrastrutture sociali della Task Force co-presieduta da Romano Prodi.
Un piano di investimenti e produzione dei beni pubblici europei necessari per far fronte ai nuovi compiti dell’Unione (sicurezza interna e esterna, tutela dell’ambiente, energie rinnovabili, beni culturali, ricerca e sviluppo) presuppone adeguate risorse proprie al livello dell’Eurozona. Si tratta di introdurre, come proposto da Macron, una carbon tax – con una tassa equivalente alla frontiera sui beni importati – e, in prospettiva, una web tax e una imposta sulle transazioni finanziarie. Queste risorse possono garantire sia il finanziamento di un bilancio allargato – controllato dal Parlamento europeo –, con una linea specifica per i paesi dell’Eurozona, sia la copertura per larghe emissioni di Eurobond destinate al finanziamento degli investimenti. In questo modo si potrebbe anche avviare una politica efficace per un impiego finalizzato alla crescita dell’enorme surplus commerciale dell’area euro.
* Professore Emerito di Scienza delle Finanze all’Università di Pavia, Vice Presidente del Centro Studi sul Federalismo (la versione integrale sarà pubblicata nel n. 1/2018 della rivista L’Unità Europea)