Olimpia Fontana / 26 febbraio 2025
Commento n. 317
Il Carbon Border Adjustment Mechanism (CBAM) è lo strumento scelto dall’Unione europea (Ue) per attribuire un “giusto prezzo” alle emissioni di carbonio generate durante la produzione di beni esteri ad alta intensità di carbonio importati nell’Unione europea (Ue). Il carbon price è un tassello fondamentale per permettere all’Ue di conseguire l'obiettivo della neutralità climatica entro il 2050 e rispettare l'Accordo di Parigi del 2015. Attualmente siamo in una fase preparatoria di raccolta informazioni, il CBAM entrerà in vigore a partire dal 2027 (con un anno di ritardo sulla tabella di marcia iniziale), in un contesto economico globale diverso rispetto a quando è stato lanciato nel 2021, caratterizzato da crescenti tensioni geopolitiche e minacce di guerre commerciali.
La scelta, per ora unica al mondo, di introdurre il CBAM si spiega col fatto che l’Ue ha deciso di alzare il proprio livello di ambizione in materia di lotta al cambiamento climatico, rendendo più stringente il sistema di carbon pricing già da tempo applicato all’interno dell’Ue, l’Emission Trading System (EU ETS). Dal 2026 le quote gratuite ancora in circolazione nell’EU ETS, concesse per evitare la delocalizzazione all’estero di settori altamente inquinanti (il fenomeno del carbon leakage), verranno ridotte gradualmente, fino alla loro completa scomparsa nel 2034. Quindi, aziende nell’Ue prima esentate inizieranno a pagare un carbon price domestico sulla produzione dei loro beni. Allo stesso tempo, anche sulle importazioni di beni in entrata nell’Ue dovrà essere pagato un simile prezzo sul carbonio. I settori su cui graverà il CBAM saranno inizialmente quelli cosiddetti hard-to-abate come ferro e acciaio, alluminio, fertilizzanti, elettricità, cemento, idrogeno.
In quest’ottica, il CBAM non va intesa come una misura protezionistica, ma nasce per rispondere a un’esigenza di politica ambientale, necessaria per rendere il carbon pricing più efficace a livello non solo domestico, ma anche globale. Con il CBAM i produttori di paesi partner dovranno fronteggiare una maggiorazione di prezzo, il cui gettito sarà destinato al bilancio europeo. Ciò dovrebbe incentivare tali paesi a ridurre l’intensità di carbonio della loro produzione e/o ad adottare loro stessi una simile misura di carbon pricing. Infatti, se un paese terzo adotta già una misura di carbon pricing, i suoi produttori potranno dedurre tale costo già pagato dal calcolo del CBAM europeo.
A febbraio 2025 la Commissione ha presentato il Competitiveness Compact (CC), per rilanciare la crescita e la competitività internazionale dell’industria europea. L’Ue definisce una strategia basata sì sugli obiettivi della neutralità climatica, ma considerando anche gli effetti della competizione economica e tecnologica rispetto a Stati Uniti e Cina. Il CC invita a rivedere alcuni aspetti del CBAM. Oltre a inserire tale misura nel più ampio processo di semplificazione della burocrazia europea, la Commissione intende valutare eventuali misure per affrontare gli impatti del CBAM sulle esportazioni di beni coinvolti.
Da tempo gli esportatori europei hanno chiesto che venisse riconosciuto loro un rimborso (un rebate) del carbon price sui loro beni venduti sui mercati esteri nei settori CBAM, per restare competitivi a livello internazionale. Ma va precisato che, da un punto di vista di finanza pubblica, il carbon price non è una tassa bensì, appunto, un prezzo. Per i beni scambiati sul mercato internazionale la regola per le imposte indirette è la tassazione nel paese di destinazione, con rimborso all’esportazione e pagamento dell’imposta sulle importazioni. Ma nel momento in cui il carbon price è un prezzo, la differenza con i paesi dove si esporta non deve essere rimborsata. Nel 2021 la Commissione aveva escluso la possibilità di tali aggiustamenti. Tale posizione va mantenuta, nonostante il tema della competitività sia diventato centrale nell’agenda europea. Il rischio è di minare la credibilità delle ambizioni climatiche dell’Ue, nonché provocare ulteriori frizioni con i principali paesi partner rispetto alla compatibilità del CBAM con le regole del WTO.
I paesi partner commerciali dell’Ue hanno reagito con preoccupazione alla decisione di introdurre il CBAM. Quelli che saranno più colpiti a livello di importazioni nell'Ue di beni soggetti al CBAM sono Cina, Turchia, Russia, Regno Unito, Stati Uniti, paesi ad alto e medio reddito. Tuttavia, per paesi come Cina e Stati Uniti (principali responsabili di emissioni fossili), l’impatto del CBAM sulla loro economia non risulterà pesante. I veri danneggiati dall’introduzione del CBAM saranno quei paesi meno ricchi, in cui la quota sul totale delle esportazioni di quelle nei settori CBAM risulta più rilevante (tra questi, Albania, Montenegro, Ucraina, Macedonia del Nord, Bosnia-Erzegovina, Serbia, Moldova, Armenia, oltre a Bahrain, Mozambico e Zimbabwe).
Misure come il CBAM devono coordinarsi rispetto a iniziative quali il Climate Club per la decarbonizzazione dell’industria, nato alla COP28 di Dubai del 2023 come forum inclusivo di dialogo e negoziazione tra paesi ricchi e il Sud Globale. Chiedere ai paesi più colpiti (e meno responsabili) di contribuire oltre che ai costi dei danni e dell’adattamento, anche a quelli della mitigazione, non è ragionevole senza un impegno significativo in termini di risorse finanziarie da parte dei paesi più ricchi (e più inquinanti) e soprattutto senza un trasferimento di tecnologia, che accompagni la transizione verso fonti energetiche pulite.
Il CBAM deve oggi fare i conti anche con l’inasprimento delle misure protezionistiche dall’amministrazione Trump. L’annunciato aumento dei dazi sulle importazioni di acciaio e alluminio, a una tariffa fissa del 25% “without exceptions or exemptions”, rischia ora di dare inizio a una dura guerra commerciale che coinvolge anche l’Ue. L’atteggiamento degli Stati Uniti mette in serio pericolo gli sforzi finora fatti dalla diplomazia internazionale, in cui l’Unione si pone da sempre nella posizione di leader. Tuttavia, come Ursula von der Leyen ha dichiarato, “Unjustified tariffs on the EU will not go unanswered – they will trigger firm and proportionate countermeasures. The EU will act to safeguard its economic interests”. Deve quindi essere chiaro che ai dazi americani si dovrà rispondere con adeguate contromisure, senza rimettere in discussione il CBAM.
*Mario Albertini Fellow del Centro Studi sul Federalismo e Ricercatrice dell’Università Cattolica del Sacro Cuore.