Domenico Moro / 29 marzo 2024
Commento n. 292
Malgrado il ritorno della guerra in Europa, il dibattito politico europeo ancora non collega l’urgenza di dare un senso preciso all’espressione “difesa europea”, dotando l’Unione europea (UE) di forze armate proprie, con la questione del suo finanziamento. Le Conclusioni del Consiglio europeo del 21-22 marzo scorsi confermano la regola. Viene dato mandato alla Commissione europea e all’Alto Rappresentante di presentare, entro giugno, proposte per il finanziamento delle spese militari, ma la difesa che si vuole finanziare è quella nazionale.
Sui due punti – forze armate europee e loro finanziamento – i trattati esistenti pongono due ostacoli: il Protocollo “concernente le preoccupazioni del popolo irlandese relative al trattato di Lisbona” e l’art. 41.1 TUE. Il primo, ufficializzato il 13 giugno 2012, è stato aggiunto a seguito della riunione del Consiglio europeo del 18-19 giugno 2009, per favorire il Sì dei cittadini irlandesi nel secondo referendum di ratifica del Trattato di Lisbona. Il Protocollo prevede che il Trattato non debba comportare la costituzione di un “esercito europeo”, mentre l’art. 41.1 TUE esclude che le spese militari siano a carico del bilancio dell’UE, salvo una decisione presa all’unanimità. Politica e creatività giuridica hanno cercato di superare queste difficoltà, nel primo caso parlando di “forza di dispiegamento rapido”, invece che di “esercito”, nel secondo caso istituendo un fondo ad hoc per le spese militari al di fuori del bilancio UE, il Fondo europeo per la pace (European Peace Facility). Con l’aggressione russa all’Ucraina e il pericolo di un allargamento del conflitto, queste soluzioni tampone hanno mostrato tutti i loro limiti.
In una situazione di emergenza, l’UE potrebbe ricorrere all’art. 42.2 TUE, secondo cui il Consiglio europeo – decidendo all’unanimità – può istituire una “difesa comune”, senza prevedere l’obbligo di un particolare processo di ratifica, che porrebbe ostacoli forse insormontabili. Il voto unanime, tra l’altro, come è già successo due volte negli ultimi mesi con riferimento all’Ucraina, non esclude di poter ricorrere all’astensione costruttiva da parte dei paesi che non vogliano impegnarsi in una difesa comune. Ma gli Stati membri maggiormente disponibili verso una difesa europea sono oggi chiamati a fare scelte più impegnative. Quello che si può fare, fin da ora, senza modificare i trattati, è l’integrazione nei trattati esistenti del trattato istitutivo dell’Eurocorpo, di cui fanno parte Belgio, Francia, Germania, Lussemburgo, Polonia e Spagna (l’Italia è presente come “associata”, al pari di Austria, Grecia, Romania e Turchia). L’Eurocorpo – similmente allo Stato maggiore dell’Unione europea (EUMS) ed alla Capacità militare di pianificazione e condotta (MPCC) delle missioni, istituiti con Decisione del Consiglio – è una struttura di comando e controllo operativo delle forze di terra, di cui l’EUMS non è dotato e che potrebbe essere utilizzato per il comando della Forza di dispiegamento rapido prevista dalla Bussola strategica, colmando così una lacuna denunciata da quest’ultima.
Qualunque possa essere la soluzione formale per un’integrazione dell’Eurocorpo nei Trattati europei, il passo sostanziale che occorrerebbe compiere è quello di rovesciare l’approccio fin qui seguito per le istituzioni militari dell’UE, che funzionano in base a personale distaccato temporaneamente presso l’EUMS o l’MPCC. Se si insiste su quella strada, difficilmente nell’UE si formerà un pensiero strategico autonomo e difficilmente maturerà la necessaria esperienza operativa per la conduzione di missioni militari o civili. L’UE, infatti, per potersi dotare di una struttura militare permanente minima, deve essere in grado di assumere personale e acquistare sistemi d’arma direttamente. Le forze armate nazionali avranno comunque un ruolo decisivo: dovranno integrare, quando necessario, le forze armate europee, poiché la difesa UE, realisticamente, si baserà su un modello “duale”.
Resta il problema del finanziamento. Il punto è stato sollevato dal Presidente del Consiglio europeo, Charles Michel: a fine novembre 2023, alla Conferenza annuale della European Defence Agency, ha fatto presente che i governi europei, nei prossimi dieci anni, dovranno sostenere investimenti aggiuntivi nella difesa per 600 miliardi di euro e che per il loro finanziamento occorrerà pensare all’emissione di “European defence bonds”. Il Commissario europeo Thierry Breton, a inizio anno, ha affermato che l’UE ha bisogno di un fondo per la difesa di almeno 100 miliardi di euro per sostenere la propria industria militare. Il Presidente della Repubblica francese, Emmanuel Macron, al Forum di Davos, a gennaio di quest’anno, ha sollecitato l’emissione di eurobond per la difesa. La Prima ministra estone, Kaja Kallas, in un’intervista rilasciata nel febbraio scorso, ha sostenuto la necessità di emettere eurobond per 100 miliardi di euro per sostenere gli investimenti nella difesa. Il Ministro degli affari esteri italiano, Antonio Tajani, nel corso di una riunione dei popolari europei, prima del recente Consiglio europeo, ha affermato che “gli eurobond per la Difesa basati su un modello simile a quanto fatto per la ripresta post-Covid sono una buona idea”, mentre la Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, parlando alla Camera del finanziamento dell’industria della difesa, il 20 marzo scorso, sempre prima del Consiglio europeo, ha fatto riferimento alla necessità di pensare a “soluzioni innovative”. Il nodo verrà sciolto dopo le elezioni europee.
C’è un problema oggettivo alla base di queste dichiarazioni favorevoli all’emissione di eurobond per la difesa, che riguarda soprattutto la Francia. Il think tank americano RAND Corporation, nel giugno del 2021, pubblicò un rapporto sullo stato delle forze armate francesi, concludendo che non erano in grado di sostenere un conflitto ad alta intensità; a maggior ragione oggi, dopo che la Francia ha ceduto all’Ucraina sistemi d’arma e munizioni. Inoltre, quasi tutti gli Stati membri, e in particolare la Francia, non hanno margini di bilancio sufficienti per spese militari aggiuntive e in tempi rapidi, come consentirebbe l’emissione di debito piuttosto che il ricorso a nuove imposte. La Francia, infatti, ha i conti pubblici fuori controllo e difficilmente sarebbe in grado di sostenere un aumento significativo delle proprie spese militari.
L’ampio consenso che trova la proposta degli eurobond – che deve superare il parere contrario di Germania e Olanda – si riferisce, come detto, al finanziamento delle spese nazionali per la difesa, mentre non vi è alcun accenno al finanziamento di una difesa autonoma promossa dall’UE. L’integrazione dell’Eurocorpo nei trattati UE, ne farebbe il beneficiario di parte dell’emissione di bond europei, soprattutto se i paesi che ne fanno parte devolvessero ad esso una quota delle loro spese militari nazionali.
Il momento è propizio per una svolta decisiva verso la difesa europea. Si sta, infatti, creando l’occasione politica per un passo che, da questo punto di vista, può essere risolutivo ed è la situazione opposta rispetto a quella in cui si era trovata la Germania alla fine della Guerra fredda, con la prospettiva della sua riunificazione. Allora Kohl ebbe il via libera da parte di Mitterrand in cambio dell’assenso tedesco all’avvio dell’Unione monetaria. Oggi la Francia ha bisogno dei bond europei per finanziare le proprie spese militari e la Germania potrebbe dare il via libera a condizione che la Francia ceda una parte della propria sovranità militare, accettando, come primo passo verso una vera difesa europea, che l’Eurocorpo venga integrato nei trattati europei, cosa che fino ad ora si è rifiutata di fare.
*Membro del Consiglio Direttivo e Coordinatore dell’Area Sicurezza e Difesa del Centro Studi sul Federalismo